Pannelli costosiCome sta andando l’energia solare in Italia (e nel mondo)

La costruzione di parchi fotovoltaici in questi anni ha registrato una crescita esponenziale, ma con l’aumento dei prezzi delle materie prime, degli oneri di spedizione, e una burocrazia che blocca buona parte dei progetti, il rischio è quello di una brusca frenata del trend finora positivo

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Il solare è di fronte a un bivio. Le condizioni climatiche e sociali sarebbero ideali per un’affermazione globale, ma l’aumento dei prezzi delle materie prime e dei costi di spedizione, e la burocrazia che blocca buona parte dei progetti, stanno erodendo i margini di profitto e ingolfando la transizione verso questa rinnovabile.

Il costo della costruzione di parchi solari è in calo da diversi anni, ma il trend, tuttavia, sta cambiando, perché da qualche mese i nuovi progetti fotovoltaici delle utility stanno iniziando a diventare più costosi a causa dell’aumento dei costi per moduli, spedizione e manodopera.

Lo rivela il rapporto di Rystad Energy, che spiega come «l’aumento dei prezzi delle materie prime e dei costi di spedizione stanno portando potenzialmente a ritardi per gli sviluppi prossimi alla chiusura finanziaria. I moduli rappresentano la più grande singola voce di investimento dei progetti fotovoltaici delle utility, il che significa che anche modeste variazioni dei costi possono portare a sfide significative per l’economia del progetto».

Negli ultimi 10 anni, il settore ha registrato un calo dell’80% dei prezzi dei moduli su base dollaro per watt, da oltre 1 dollaro per watt di picco nel 2011 a meno di 0,20 dollari nel 2020. Quest’anno i costi dei moduli FOB (Free on board) dalla Cina sono già saliti oltre 0,22 dollari invertendo una tendenza in atto da sette anni. «Questo sviluppo è stato causato da un aumento dei prezzi delle materie prime chiave utilizzate per produrre celle solari in silicio, tra cui polisilicio, argento, alluminio e vetro, nonché da costi di spedizione più elevati», spiega Rystad Energy.

Una nota a parte riguarda invece il fotovoltaico “acquatico”. I parchi solari a terra sono costosi, in termini di infrastrutture, trasporto, distribuzione e perdite di trasmissione, e sono raramente disponibili vicino alle infrastrutture e all’allacciamenti alle reti. In un Paese come il nostro, quindi, il fotovoltaico galleggiante può essere una valida alternativa a valore aggiunto. Ancor più in luoghi come le nostre isole che hanno pochi spazi e costi energetici elevati.

Le soluzioni di fotovoltaico galleggiante sono adatte a diverse tipologie di bacini idrici, per esempio laghi, dighe, corsi d’acqua, vasche per l’irrigazione o per il trattamento delle acque, o ancora in mare aperto. Luoghi per la maggior parte sempre soleggiati, con consumo intenso di energia e costi correlati.

Anche per il “galleggiante” però è sorto il problema dell’argento. Uno dei prodotti chiave utilizzati nella produzione di celle solari è infatti l’argento, che grazie alle sue proprietà elettriche è ideale per la parte anteriore e posteriore della cella. Tra il 2012 e il 2016, l’industria ha ridotto drasticamente l’uso di argento da oltre 200 milligrammi a circa 100 mg per cella. Attualmente si trova nell’intervallo di 80-90 mg.

Il contributo dell’argento ai costi totali dei moduli è ora di nuovo in aumento «poiché l’utilizzo dell’argento per cella si è stabilizzato mentre i prezzi aumentano. Il settore fotovoltaico rappresenta il 10% della domanda globale di argento, mentre la crescita aggiuntiva prevista indotta dall’industria automobilistica causata dall’aumento dei veicoli ibridi ed elettrici potrebbe spingere la domanda di argento da questo settore da 51 MMoz nel 2020 a 88 MMoz nel 2025, spingendo i prezzi ancora più in alto», osserva la società.

A questa situazione globale si aggiunge l’impasse amministrativo dell’Italia. La procedura, detta “semplificata”, è complessa e cambia in base alla regione e al comune. Non c’è una regola fissa, le norme per di più cambiano di frequente e tanti possono mettere bocca e bloccare tutto. I centri storici poi sono del tutto tagliati fuori in virtù dei vincoli paesaggistici, ma anche in campagna la situazione non è delle migliori.

Come sottolinea l’osservatorio Anie (federazione che rappresenta le imprese elettroniche ed elettrotecniche italiane), gli impianti vengono fatti ma ad un ritmo che non è compatibile con gli obiettivi stabiliti per il 2030 di 51 Gigawatt per il fotovoltaico contro i 21 di oggi.

Un esempio sono i parchi solari nati su ex discariche. È una pratica usata soprattutto negli Stati Uniti, in Europa, in Giappone. In Europa possiamo citare la discarica di Manosque, in Francia, che dal 2009 ospita un parco solare con 54.600 pannelli da 4 megawatt totali. O quella nel sud ovest della Germania, a Heckfeld: oltre 23 mila pannelli e 1,9 megawatt su una vecchia discarica di rifiuti edili. A Gloucester, 170 km a ovest di Londra, nel sito di una ex discarica, sta per nascere quello che viene definito un ecoparco con pannelli solari, un generatore da biomassa e un impianto di compostaggio.

In Italia, invece, a Malagrotta, Roma, dal 2008 c’è un impianto con pannelli solari – in parte tradizionali in parte flessibili a film sottile fissati direttamente sulla copertura della discarica, senza strutture di sostegno – che fornisce circa 1,4 gigawattora l’anno. Dal 2012 l’ex discarica di Padernello di Paese (Treviso) produce energia grazie ad un impianto da 1 megawatt: 10 mila metri quadri di moduli fotovoltaici flessibili applicati con sistema a velcro sulla membrana in gomma usata come copertura della discarica. E poi Novellara, nel reggiano; i 3 mila pannelli della discarica Barricalla, nel comune di Collegno, Torino. Oppure le discariche toscane di Sinalunga, Poggibonsi, Monticiano, Asciano, con 1 gigawatt totale installato.

Mentre chi vuole tentare oggi la via del parco fotovoltaico dovrà fare i conti anche con i costi di spedizione. Il costo del trasporto di una spedizione dalla Cina ai mercati chiave di tutto il mondo è stato di 0,006 dollari per watt, ma nel 2021, all’indomani del Covid-19, è salito a 0,02 dollari / Wp. «Questo è un altro aumento significativo dei costi per gli sviluppatori fotovoltaici poiché la spedizione ora rappresenta poco meno del 10% del costo del modulo FOB (prima della spedizione). Fino al 2019, questo rappresentava solo il 3%. Sebbene questo aumento possa essere un effetto a breve termine della pandemia, la produzione di moduli incentrati sull’Asia significa che i costi di spedizione rimarranno un fattore chiave da tenere d’occhio per gli sviluppi in altri continenti», svela Rystad Energy.

«L’aumento dei costi avrà un impatto significativo sull’economia del progetto nelle strutture ad alta capacità che beneficiano delle economie di scala. Per un tipico progetto fotovoltaico su larga scala da 100 megawatt (MW), un aumento dei costi di un modulo da 0,18 a 0,24 dollari / Wp rappresenta un aumento del 9% degli investimenti del progetto su base dollaro per watt», conclude la società di consulenza.

Ma non finisce qui. Ad aggravare la situazione c’è anche la spesa per il capitale umano. La costruzione di un asset fotovoltaico richiede personale qualificato diverso come operai edili, elettricisti, ingegneri, operatori di macchine e personale logistico, oltre al lavoro burocratico relativo all’acquisizione e alla preparazione legale del sito. Gran parte di questo lavoro non può essere facilmente automatizzato e l’industria solare continuerà a esserne dipendere anche per i progetti futuri.