Oggi si celebra la Giornata mondiale della proprietà intellettuale. L’iniziativa, varata a cura dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale nel 2001, ha così superato la ventesima edizione. E, sempre in queste ore, fa i suoi ultimi passi alle Camere il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza).
Questo fondamentale documento prevede la proprietà intellettuale tra le materie oggetto di riforma. È il momento ideale, dunque, per formulare alcune riflessioni sulla odierna realtà della proprietà intellettuale e sulla direzione che dovranno assumere gli interventi in tema.
Tanto più che il sistema dei brevetti, in modo particolare, si trova in questo momento al centro di roventi polemiche, a causa delle difficoltà nel reperimento per le campagne di vaccinazione di adeguate dosi dei vaccini, che sono oggetto di privativa da parte di diverse case farmaceutiche.
Appare di cruciale importanza mettere subito a fuoco un principio di fondo: la proprietà intellettuale, negli ultimi lustri, ha compiuto una significativa evoluzione, tale per cui oggi svolge delle funzioni più ampie e più centrali rispetto a quelle sue tradizionali. Non esiste una definizione codificata del concetto di proprietà intellettuale e possiamo prendere come punto di riferimento quella accolta dall’Euipo, l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale:
«La proprietà intellettuale (PI) è un diritto sulle creazioni della mente: invenzioni, opere artistiche e letterarie, simboli, nomi, immagini e disegni utilizzati in commercio. La PI è divisa in due categorie:
– Proprietà industriale: comprende invenzioni (brevetti), marchi, disegni e modelli industriali, indicazioni di origine geografica e la privativa comunitaria per i ritrovati vegetali.
– Diritti d’autore: coprono le opere letterarie e artistiche quali romanzi, poesie e opere teatrali, film, opere musicali, opere artistiche quali disegni, dipinti, fotografie e sculture e progetti architettonici. I diritti connessi al diritto d’autore comprendono quelli di artisti dello spettacolo nell’ambito delle esibizioni, di produttori di fonogrammi nell’ambito delle registrazioni e quelli di emittenti di programmi radiofonici e televisivi».
I diversi istituti componenti la proprietà intellettuale – brevetto, design, marchio, know-how, etc. – vengono nel loro complesso detti anche IPR (intellectual property rights). La funzione svolta dagli IPR, nell’accezione più comune, consiste nell’assicurare al titolare un diritto di esclusiva sul relativo trovato inventivo, disegno industriale, brand, patrimonio di conoscenze, garantendogli così un vantaggio competitivo sul mercato.
Rispetto a questa funzione, che resta di centrale rilievo, si impongono due riflessioni. Vale la pena di sottolineare, in primo luogo, che la proprietà intellettuale delle imprese italiane rappresenta un loro insostituibile punto di forza per competere con successo nei mercati.
L’Italia, com’è noto, si caratterizza – rispetto ad altri Paesi – per una straordinaria densità di aziende medie, che si battono con coraggio a livello internazionale, confrontandosi usualmente con gruppi di dimensioni decisamente maggiori.
Le nostre imprese, costrette a vedersela con competitor di solito molto più strutturati dal punto di vista finanziario e organizzativo, riescono spesso a prevalere proprio in forza della proprietà intellettuale: grazie all’efficacia di un brevetto o di un design, all’appeal di un brand, al valore aggiunto del know-how aziendale.
È il caso di evidenziare, in secondo luogo, che non esiste alcuna incompatibilità tra gli IPR e le dinamiche della open innovation o della coopetition, che sono le nuove frontiere del progresso tecnologico e del netwoking d’impresa. Al contrario, un’azienda ricca di proprietà intellettuale ha maggiori possibilità di dare vita a interessanti operazioni di open innovation ovvero di entrare in valide iniziative di coopetition.
Infatti, come è inevitabile in una economia di mercato, esiste concorrenza anche tra le imprese interessate a fare parte di questo tipo di operazioni o di iniziative e certamente un’azienda dotata di validi contenuti tecnologici e/o creativi risulta più competitiva di altre. Infatti, l’open innovation e la coopetition, ovviamente, si basano su meccanismi di collaborazione e di cooperazione, e solo chi ha in partenza qualcosa da condividere può decidere di metterlo – in tutto o in parte – su un tavolo comune.
Tuttavia, ove ci si fermasse a questa visione della proprietà intellettuale, se ne trascurerebbero altri aspetti considerevoli, di grande importanza nell’economia contemporanea. Gli IPR, infatti, rappresentano sempre di più anche dei beni di assoluto rilievo tra i cespiti che costituiscono la ricchezza di un’impresa. E se, nel valutare il patrimonio economico di un’azienda, fino ad alcuni anni addietro gli strumenti della proprietà intellettuale rivestivano un ruolo secondario, oggi la situazione è radicalmente cambiata:
i brevetti, i marchi, i design, il know-how di un’impresa ormai rappresentano – nella maggior parte dei casi – il cuore del valore di un’azienda, relegando in secondo piano le proprietà immobiliari, i beni strumentali, eccetera.
Questo significa, tra l’altro, che la proprietà intellettuale assume nell’impresa anche un innovativo ruolo come elemento di attrazione per nuove risorse economiche e finanziarie.
Gli IPR, in altri termini, rappresentano degli strumenti di grande efficacia per fare in modo che in azienda giungano investimenti e si concretizzino partnership. Business angel e venture capitalist, club deal e gestori di capitali, popolo del crowdfunding e tradizionale settore bancario: l’intero mondo della Finanza guarda con attenzione alla proprietà intellettuale esistente in azienda e solitamente privilegia le imprese target che presentano un convincente portafoglio di IPR.
Significativo è poi il discorso dell’Internazionalizzazione. Adriano Olivetti, anche su questo versante, è stato un lucido precursore dei tempi, immaginando e realizzando un’azienda capace di «innalzare le nostre insegne a New York come a Francoforte, a Vienna come a San Francisco, a Rio de Janeiro o a Città del Messico o nella lontana Australia…». Oggi è pacifico che le imprese italiane siano inappellabilmente chiamate ad affermarsi in tutti i mercati esteri, andando oltre i propri limiti organizzativi, economici e dimensionali. Ed è necessario, per il nostro tessuto produttivo, riuscire a formulare una proposta di beni e servizi ad alto valore aggiunto: brevetti, marchi, design, know-how sono strumenti di inestimabile utilità per riuscire nell’intento.
La proprietà intellettuale, dunque, rappresenta una realtà di importanza cruciale, per tutte le aziende e per quelle italiane in modo particolare. Gli IPR, oltre a garantire alle imprese un netto vantaggio competitivo, costituiscono asset fondamentali per entrare in interessanti operazioni di open innovation e coopetition, per veicolare in azienda nuove risorse economiche e finanziarie, per proporre produzioni vincenti in Italia e nel mondo.
Il Pnrr, nel guardare alla proprietà intellettuale, la consideri nella sua pienezza, tenendone presenti le diverse e importanti funzioni che svolge nell’economia contemporanea.
La riforma della proprietà intellettuale rappresenta una partita decisiva per l’intero Paese, perché forte e stringente è il legame tra IPR e innovazione.
E l’innovazione, nel segno della sostenibilità e della circolarità, deve essere la carta vincente dell’Italia, per assumere una nuova leadership a livello internazionale e uscire dalla crisi, in modo da (per prendere in prestito una bella immagine da Enrico Giovannini) «rimbalzare in avanti».