L’operazione “Unire i riformisti” sembra sia per ora paralizzata nell’incertezza della scelta tra i due mucchi di fieno, che Giovanni Buridano nel XIV secolo ebbe la crudeltà filosofica di collocare davanti a uno stordito ronzino. L’asino, incapace di scegliere, morì di fame. Oggi l’asinello riformista si trova davanti ai due mucchi: primum vivere? o primum philosophari?.
Fuor di metafora, se l’Unione riformista vuole creare le condizioni di percepibilità e di efficacia del proprio messaggio, deve battersi per una democrazia governante/decidente e perciò per un assetto costituzionale presidenziale e per una legge elettorale maggioritaria.
Solo in questo caso le idee riformiste dispongono di un ambiente favorevole alla loro realizzazione. Peccato che un ambiente siffatto non sia per nulla favorevole all’Unione riformista così com’è oggi. Perché o riesce a divenire un polo sufficientemente grande da poter stare sul campo di battaglia con altri soggetti oppure è destinata a fare da reparto frombolieri di un esercito più grande, non necessariamente riformista.
L’ansia esistenziale di esistere provoca pertanto una riduzione del contenuto riformistico del messaggio. Porta a preferire il primum vivere al philosophari. Cioè: battiamoci sì per una democrazia competitiva e governante, ma possiamo arrivarci soltanto sulla passerella tibetana di una legge elettorale proporzionale, sulla quale ciascuno di noi, soggetti riformisti, oscillanti tra lo 0% e il 3%, possiamo transitare, senza cadere nell’abisso.
Il guaio è che, eventualmente arrivati vivi sull’altra riva, il philosophari resta ininfluente. La scelta del primum vivere non solo pregiudica il discorso del philosophari riformista fino a renderlo scarsamente credibile, perché intaccato da un’aporia interna, ma mette a rischio il vivere stesso, cioè l’esistenza come tale. È una scelta miope e suicida.
È tempo di investire decisamente la propria esistenza politica nel philosophari come condizione necessaria per la costruzione di un’Unione dei riformisti.
Vero è che il discorso e l’iniziativa politica dei riformisti filosofanti non trovano oggi circostanze straordinariamente favorevoli. Il governo sta procedendo alla redazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la cui caratteristica è il nesso strutturale tra il denaro e le riforme: se non si fanno queste, il denaro non arriverà. Nesso che il Governo Conte era palesemente incapace di assicurare.
Perché Draghi lo è di più? Elementare Watson: perché è meno dipendente dai partiti. Questo però non li ha resi meno interessati alla gestione spartitoria del denaro, da distribuire alle corporazioni che essi rappresentano e che proteggono – si chiama, in forbito linguaggio politologico, constituency – in cambio di voti.
Né li vede più entusiasti delle riforme, le quali inevitabilmente tendono a disboscare la giungla elettorale corporativa, dentro la quale destra e sinistra hanno i propri percorsi protetti: chi i commercianti, chi gli insegnanti, chi le partite IVA, chi i dipendenti pubblici… Insomma, come all’epoca d’oro del Governo Conte, che una parte della sinistra tanto rimpiange, i partiti vogliono i soldi, ma non le riforme. Ora, se si spezza quel nesso tra denaro e riforme, salta il governo Draghi. Peggio: il Paese cade all’indietro nel declino.
Ma, a parte le convulsioni della politica, oggi lo Zeitgeist è quello della paura. Basterà leggersi, da ultimo, FLAIR – traducibile qui con “fiuto”- il Rapporto IPSOS Italia 2021 di Nando Pagnoncelli e collaboratori.
«La paura è il sentimento dominante tra commercianti, artigiani, lavoratori autonomi e disoccupati (39% contro una media del 28%). È la principale pulsione tra le donne (36%) e domina i sentimenti tra le persone che si collocano nei ceti popolari (48%). La rabbia è l’emozione che alberga maggiormente tra gli uomini (15%) rispetto alle donne (11%), colpisce le persone anziane over 65 anni (17%) e gli studenti (19%). Da un punto di vista territoriale, questo sentimento è maggiormente presente nel Centro Sud (16%) e nei centri urbani medio-grandi tra 30mila e 100mila abitanti (16%). Dal punto di vista politico, la rabbia imperversa tra le fila delle persone che si collocano nel centro-destra (24%) e nella destra (25%), con punte alte al 25% tra gli elettori di Fratelli d’Italia e del 20% tra quelli della Lega. Infine dal punto di vista sociale, la rabbia aleggia maggiormente tra le fila dei ceti popolari (16%) rispetto al ceto medio (12%)… L’Italia è il primo paese, a livello globale, per livello di preoccupazione sul fronte del lavoro (62%). Nel nostro continente vicino ai dati italiani troviamo solo la Spagna (59%); al 39% della Francia, la Germania al 19%».
Intanto, ci conferma FLAIR, si allargano le pre-esistenti fratture: tra ceti popolari e classi abbienti; tra Nord e Sud; tra campagna e metropoli; tra lavoratori garantiti e precari; tra uomini e donne; tra generazioni giovani e anziane. Così, se il 51% degli italiani si sente incluso, il 46% si autocolloca sul fronte degli esclusi. Gli auto-inclusi salgono al 65% nel ceto medio, mentre gli auto-esclusi salgono al 66% nei ceti popolari. Non sono sopite né le pulsioni anti immigrati (il 54% è d’accordo con la politica di chiusura completa degli ingressi ai migranti nel nostro Paese) né quelle securitarie (il 41% è favorevole a difendersi da sé).
Insomma, lo studio della realtà ci segnala che il clima non è per nulla favorevole alle riforme. La stesse persone che chiedono una leadership muscolare e orientata alla pulsione del far saltare il banco sono anche le stesse che ne chiedono una tranquillizzante e protettiva. La paura chiede protezione, non riforme. Ma di paura un Paese muore.
Perciò, la questione centrale dei riformisti, oggi, è quella di generare quello che Nando Pagnoncelli nel Rapporto chiama «lo spirito costituente».
La prima mossa è quella del dire la verità di Churchill al Paese circa la nostra drammatica condizione attuale. I partiti esistenti non sono più in grado di farlo né lo vogliono fare, accecati dallo spirito corporativo, che eleva a interesse generale del Paese quello specifico di un settore sociale. Sono tramontate da tempo “le classi generali”, le borghesie e i proletariati.
I partiti-oligarchia, i partiti-lobby, i partiti-corporazione sono precipitati in una crisi epistemica, senza più rapporto con la realtà totale. L’antidoto è lo studio scientifico della realtà economico-sociale, il rapporto con i centri di ricerca, la presenza viva nel tessuto sociale. Non servono intellettuali embedded. Non si può suscitare il senso di responsabilità degli individui verso il Paese senza dire loro la verità sul Paese. Perché non dire che il Paese sta davanti al suo ultimo bivio, di cui un sentiero è il declino irreversibile dentro lo scenario globale?
La seconda mossa è quella di un’elaborazione sistematica coerente del Sillabo delle riforme – scuola, giustizia, pubblica amministrazione… – del quale la riforma costituzionale presidenziale e un coerente sistema elettorale maggioritario a doppio turno costituiscono il fondamento. Senza governi stabili, eletti direttamente dai cittadini, ogni più modesta proposta di riforma si riduce d un libro dei sogni.
La terza mossa consiste nel costruire, da adesso, un partito riformista a tripla elica: liberal-democratico, socialista- liberale, cattolico-liberale. E allora il Partito democratico? Né aderire né sabotare. Vi sono settori autenticamente riformisti, che sono convinti che il PD sia un partito capace di riforme, se non ora, domani. E si battono al suo interno.
Altri sono convinti di no e passano il loro tempo a polemizzare con il PD e a suggerirgli strategie. Altri stanno appesi alla corda del proprio 3% e del proprio Ego. Corda, avrebbe osservato Lenin, che li sostiene come sostiene l’impiccato. Eppure, qui continua a valere la legge dell’Evangelista Marco: «chi vuole salvare la propria vita, la perderà».
Dunque, da subito, serve un soggetto unico per programma, per leadership, per organizzazione. La quarta mossa: un simile partito non dura il tempo di un Congresso costituente, se non ricorre a una mobilitazione referendaria dei cittadini. Resta pur sempre un modello il Partito radicale di Pannella: quattro fiocchi di neve in grado di trasformarsi in valanghe. Solo che serve un Pannella.