Il presunto spirito legalitario che reclama l’abolizione del sostentamento al politico condannato e vuole annichilita la pensione al sindacalista divorato dalle metastasi viene da una società con pochissime carte in regola per agitare quelle pretese di presunta giustizia.
Bisognerebbe tenere a mente che il picchetto inneggiante alla politica onesta raggruppa perlopiù quelli abituati al favore e alla raccomandazione del funzionario pubblico non ancora caduto in disgrazia, e gli strilli contro la politica marcia sfiatano spesso la bolla di un risentimento che nella denuncia del privilegio altrui dissimula in realtà il disappunto per il mancato privilegio proprio.
Sarebbe inascoltabile anche se provenisse da una piazza tutta specchiata, ma la requisitoria plebea che adibisce a sputacchiera l’immagine dell’ex potente da ridurre in povertà è pronunciata da un coro statisticamente allocato in zona di illegalità pienissima, e un conto degli evasori, degli imboscati, dei finti invalidi, degli abusivi, dei percettori di prebende che ingrossano le adunate dell’onestà offrirebbe una descrizione più veritiera e decisamente meno nobile di quest’istanza sediziosa che vuole risarcire la società oltraggiata facendo bottino della pensione del sindacalista moribondo fatto salvo dalla solita politica marcia.
Destituire dei mezzi di sopravvivenza il “corrotto” – e lasciamo perdere l’ipotesi, tutt’altro che rara, che si tratti in realtà di un innocente – rimanda al brutale arcaico della turba che prende a sassate il reprobo: a una giustizia dopotutto abbastanza simile a quella che amputa l’arto del ladro, la giustizia perfetta in un sistema con tanta polizia e niente partiti politici.