Avrà voglia Matteo Renzi a dire che lui una commissione d’inchiesta su come l’Italia ha affrontato la pandemia l’ha chiesta illo tempore, quasi – direbbe Totò – a prescindere. E però che lo abbia ricordato nella sua e-news proprio nelle ore in cui ha cominciato a piovere su Roberto Speranza non può essere casuale, e anche se è fuori misura sostenere che ci sia lui dietro gli scoop di alcuni giornali sul ministro della Sanità di certo la coincidenza non è una coincidenza ma un tassello di un puzzle in costruzione. Perché è sicuro che sia in atto una campagna politica pubblica ordita dalla Lega, con la compiacenza di Giorgia Meloni, esplicitamente contro il ministro che vede rosso (Matteo Salvini).
Il punto inquietante è lo stesso da decenni: in Italia quando la magistratura e la politica, o pezzi della politica, si muovono simultaneamente su un medesimo terreno e con lo stesso target umano vuol dire che il clima sta cambiando o meglio può cambiare. È presto per dire quanto sua concreto lo spettro di una Covidopoli ma da tempo i giornali di destra cavalcano qualunque cosa pur di arrivare al bersaglio-Speranza, che non a caso, come dice il suo partito – Liberi e Uguali – «è sotto assedio».
Persino le peripezie del suo libro “Perché guariremo prima” ritirato ma ora acquistabile all’estero e dunque circolante su decine di cellulari testimoniano di un brutto clima intorno al ministro che rischia di passare come il caprio espiatorio delle tante cose che non vanno. Ma il salto di qualità lo ha fatto fare ieri Il Messaggero che in un retroscena di un giornalista di grande esperienza come Marco Conti ha fatto emergere un progetto coltivato a Palazzo Chigi per liberarsi proprio di Speranza, magari promuovendolo (per rimuoverlo) a qualche incarico internazionale, notizia subito destituita di ogni fondamento da una nota diffusa da Palazzo Chigi. Proprio la sede ove pochi giorni fa Mario Draghi, a domanda diretta, confermò la sua stima per il ministro della Sanità, circostanza che rende dunque difficile capire cosa ci sia di vero e cosa di falso nelle notizie di queste ore.
Di certo la guerra al virus nella sua prima fase si sta delineando come un affaire in cui si mescolano diverse vicende per nulla chiare: infatti è sotto indagine a Bergamo direttore vicario dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Ranieri Guerra, sospettato di aver insabbiato un rapporto molto negativo per il ministero della Salute guidato da Speranza; è inquisito per peculato Domenico Arcuri nel quadro dell’indagine della Procura di Roma sul mega-pasticcio dell’acquisto delle mascherine all’inizio della pandemia nel quale sarebbero finiti nelle tasche di alcuni personaggi un mare di euro, in particolare di quel Mario Benotti, ex giornalista Rai, che da giovanissimo bazzicava il Transatlantico di Montecitorio a caccia di abboccamenti e poi ha fatto una carriera che lo ha portato fra l’altro a stabilire un rapporto personale con Arcuri, un rapporto tornato buono in occasione della mediazione per l’acquisto delle mascherine pagate a caro prezzo; e persino il nome di Massimo D’Alema torna sui giornali in relazione alla vendita di ventilatori da parte della Cina.
Come ha osservato Augusto Minzolini sul Giornale sembra di essere sulla soglia di una Norimberga che sul banco degli imputati potrebbe un domani vedere i protagonisti della battaglia anti-Covid nell’era di Giuseppe Conte, nel frattempo sbalzato da Palazzo Chigi – visto che siamo in tema di cose poco chiare – secondo Goffredo Bettini, suo grande fan, a causa di una specie di intrigo internazionale, una tesi buttata là con molta spregiudicatezza e anche mancanza di riguardo istituzionale nei confronti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Al solito crocevia fra giustizia e politica i semafori dunque sembrano non funzionare alimentando chiacchiere, realtà, finzioni, giochetti politici come nelle ore buie della Repubblica. Mentre là fuori, nel Paese reale, si soffre. E molto.