«Sono nervoso al pensiero di qualsiasi aggregazione di più di due persone, mi turba persino veder passare le automobili per strada». Un ministro della Salute preoccupato, preoccupatissimo. Roberto Speranza non teme di essere retorico quando racconta il suo stato d’animo nei giorni del primo lockdown. La cronaca di quel periodo è affidata alle pagine del libro “Perché guariremo”, ritirato in fretta e furia dagli scaffali delle librerie a pochi giorni dall’uscita fissata per fine ottobre.
Perché non è mai arrivato nei negozi? Nel pieno dell’emergenza sanitaria «non posso impegnare tempo nelle presentazioni», si è giustificato il diretto interessato. Il mistero s’infittisce: come ha fatto allora a trovare il tempo per scriverlo? Le Iene avevano perfino dedicato un servizio alla vicenda con tanto di agguato sotto casa del ministro, mentre Fratelli d’Italia organizzava una «presentazione non autorizzata» del libro. In realtà la spiegazione è molto più semplice: il saggio rischiava di uscire nel momento meno opportuno.
Le copie sono rimaste negli scatoloni. E forse è meglio così. Basta arrivare a pagina 13 per incontrare la prima previsione sbagliata del ministro. «Il potere di questo maledetto virus ha i mesi contati», assicura Speranza. Peccato che mentre il suo saggio veniva dato alle stampe, in Italia era già scoppiata la seconda ondata del Covid. Quasi una beffa. Un tempismo sfortunato e un titolo infelice. Come se la pandemia fosse alle spalle.
Così il libro è diventato introvabile. Sui siti in autunno il saggio risultava «fuori catalogo» oppure «non ordinabile». In poche settimane le uniche copie disponibili sono finite sul “mercato nero”. Incredibile ma vero, su eBay bisognava sborsare 250 euro per assicurarsi l’opera di Speranza. Neanche fossero le scarpe della Lidl in edizione limitata. Qualche tempo dopo il testo, il cui ricavato è devoluto alla ricerca degli istituti scientifici, è tornato disponibile. Ma solo sulle piattaforme francesi, spagnole e olandesi di Amazon. I prezzi ragionevoli hanno convinto un po’ di lettori a emigrare. E così oggi capita che su Amazon Spagna il volume italiano sia al 64° posto dei libri di medicina più venduti.
Quello di Speranza è un diario della pandemia, un po’ un inno retorico e un po’ un elenco dei compiti svolti con zelo. Una lunga cronaca raccontata con gli occhi del ministro più rigorista dei governi Conte e Draghi. Chiamato a gestire la più grande emergenza sanitaria dal dopoguerra. E, nottetempo, ad appuntare le sue memorie. «Ho deciso di scrivere nelle ore più drammatiche della tempesta, nelle lunghe notti in cui il sonno mi sfuggiva perché ero tormentato dalla preoccupazione».
Le interminabili giornate in ufficio, tranne «quando gioca la Roma». La sveglia biologica puntata alle 4.30 del mattino. Le decisioni da prendere a bruciapelo. Nelle pagine (in)edite da Feltrinelli emerge la personalità di Speranza. Il carattere mite, esclusa quella volta in cui ha alzato la voce e sbattuto il pugno sul tavolo davanti a una funzionaria. «Per un paio di giorni mi ha fatto male il polso». Il profilo sempre basso di un politico atipico che non vorrebbe andare in tv. Ma per diffondere i messaggi anti-Covid è disposto a fare il giro dei talk show. «Cerco anche l’appoggio di trasmissioni popolari come quella di Mara Venier e quella di Barbara d’Urso».
Niente polemiche, nemmeno con i politici. Al massimo qualche aneddoto, come il primo incontro con Silvio Berlusconi. Era il 2013 e il leader di Forza Italia lo salutava alla sua maniera: «Lei ha una faccia così pulita, da bravo ragazzo, ma che ci fa con questi comunisti? Ma se ne venga con noi!». Gentile e disponibile, mica come Salvini. Il leader della Lega è quello che «non risponde alle telefonate né ai messaggi».
Nessun attacco agli avversari, figuriamoci agli alleati. Le lodi all’operato dell’ex premier Conte in qualche passaggio sconfinano nell’apologia. «Lucido e fermo senza cedere a impulsi emotivi, Giuseppe ha fatto un lavoro straordinario mettendo davanti a tutto l’interesse del Paese». Speranza difende anche Domenico Arcuri. Appena l’ex commissario si insedia alla Protezione Civile, il ministro gli cede il suo ufficio. Non contento, si preoccupa: «Mi colpisce un pensiero, non posso lasciare solo Arcuri». E allora gli presta due fidati collaboratori. Nel saggio l’ad di Invitalia viene descritto «svelto, determinato e risoluto». Così bravo, che resta difficile capire perché il nuovo premier Draghi l’abbia sostituito tanto in fretta.
Tanti complimenti anche a Walter Ricciardi, suo consigliere al ministero che ha dato «un contributo prezioso e costante». Proprio lui, il prolifico censore mediatico che con cadenza settimanale ammoniva i cittadini e chiedeva lockdown. A nome di chi parlava? Ancora non si è capito. Molti commenti positivi e poca autocritica per la gestione della pandemia. Il modello italiano, almeno nel libro di Speranza, è caratterizzato da «scelte coraggiose». Il ministro ha un rimpianto: se tornasse indietro, il primissimo lockdown del 7 marzo 2020 lo estenderebbe a tutta Italia, non solo alle regioni più colpite.
Difende il suo governo anche da chi lo ha accusato di abusare della decretazione. «Guai se un’emergenza sanitaria diventasse la scusa per una torsione antidemocratica», mette le mani avanti. Ma anche: «La democrazia è una risorsa nella gestione dell’emergenza». Peccato che il Parlamento sia stato più volte scavalcato dai famigerati dpcm che portavano la doppia firma di Conte e Speranza.
L’ex capogruppo del Pd cita Nanni Moretti, Papa Francesco e Max Weber. Dalle pagine traspare un uomo tranquillo, ma anche uno dei ministri più intransigenti nella gestione della virus. Fosse stato per lui, sarebbero state adottate misure ancora più dure. Sicuramente è uno che non ha mai sminuito la pericolosità del Covid. A fine febbraio 2020, quando impazzano gli slogan “Milano non si ferma” e Zingaretti fa l’aperitivo ai Navigli, «io e i miei – scrive Speranza – ci sentiamo controvento».
Un passaggio è più chiaro e riguarda il rapporto con i grillini. «Io sono tra quelli che hanno spinto continuamente per un’alleanza con i Cinque Stelle e che più credono all’esperienza del governo Conte». Ciò che secondo Speranza unisce la sinistra e il Movimento è la «comune radice popolare». La spiega così: «Nessuno è figlio dell’establishment, nelle biografie di molti di noi c’è un connotato popolare vero». Non mancano le riflessioni sulla sua parte politica, che deve «archiviare la subalternità al liberismo». Poi una frase che fa infuriare la destra: «Credo che dopo tanti anni controvento per la sinistra ci sia una nuova possibilità di ricostruire un’egemonia culturale». Grazie alla pandemia, s’intende.
Negli scatoloni delle librerie resteranno anche le idee di Speranza sul futuro della sanità. Il ministro propone «valori e progetti per rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale». Le riforme da fare coi soldi del Recovery Plan per superare le disuguaglianze.
Tra il riassunto dei «giorni più duri» e i ringraziamenti alla famiglia, c’è tempo anche per i ricordi del giovane lucano. Come il racconto dell’interrail fatto con gli amici ai tempi dell’università. «A Bruxelles avevo trascinato i miei compagni di viaggio a vedere la sede del Parlamento Europeo, un’emozione che ricordo ancora. Dormivamo dove capitava, passando la notte anche sulle panchine dei parchi». Oggi, col coprifuoco, non si potrebbe fare.