Non ci sono più le spie di un tempo. C’era una volta Mata Hari, al secolo Margaretha Geertruida Zelle, che nei sofisticati salotti della Bella Epoque carpiva i segreti di potenti e adoranti ammiratori sconvolti dalla conturbante danza dei sette veli in cui si esibiva nei teatri di Parigi. Ebbe una bella vita ma fece un brutta fine, legata al palo del cortile del castello di Vincennes il 15 ottobre del 1917 davanti a un plotone formato da dodici esitanti fanti francesi che volle guardare negli occhi.
Ancora non si erano spente le atmosfere coloniali dell’Impero britannico dove insospettabili agenti quali Rudyard Kipling osservavano con attenzione e con la collaborazione di decine d’indimenticabili Kim le mosse dei russi nelle terre di mezzo del Grande Gioco. Seguirono le guerre mondiali con l’immenso corredo di spie del geniale quanto poco convinto nazista, l’ammiraglio Wilhelm Canaris e i segreti custoditi a Bletchley Park dove Alan Turing si spremeva le meningi; poi fu il tempo di James Bond, proiezione autobiografica del suo ideatore Ian Fleming, che ha attraversato la storia del cinema con, ben distinto dagli altri, il volto dell’indimenticabile Sean Connery che tanto ci manca.
Numerosi i padri nobili del genere: James Fenimore Cooper, il celebre autore de “L’ultimo dei Moicani”, con “La Spia” del 1821, ambientato durante la Guerra d’Indipendenza americana, Erskin Childers con “l’Enigma delle sabbie” del 1903, “La primula rossa” del 1905 ambientato durante la Rivoluzione Francese, Joseph Conrad nel 1907 con “La spia”.
Nel XX secolo, Somerset Maugham che prendeva il tè insieme a Winnie Churchill e faceva da tramite con Roosevelt, Graham Greene, John Le Carré, Robert Ludlum, Frederick Forsyth, Ken Follet – insieme ai più recenti Len Deighton con “Gioco a Berlino” del 1983 “Gorky Park” di Martin Kruz Smith del 1987, Tom Clancy con “Il Cardinale del Cremlino” del 1988 – sono stati gli autori “classici” di quel mondo, peraltro in compagnia di centinaia di scrittori minori consegnati all’oblio o al collezionismo di appassionati del genere raccolti intorno alla celeberrima collana “Segretissimo”.
Un prodotto editoriale di successo che ha fatto la fortuna di Mondadori a partire dal 1960, con oltre millequattrocento titoli. Meno conosciuta la schiera degli scrittori italiani che hanno attinto al genere, pur penalizzati in termini di lettori dalla preponderante produzione in lingua inglese. Vanno comunque ricordati Alan D. Altieri, Stefano Di Marino, Andrea Carlo Cappi, Giancarlo Narciso con ambientazioni a Singapore, in Afghanistan, a Cuba, in anni più vicini.
Insomma, un genere letterario evergreen che ha subito un’inevitabile battuta d’arresto con il progressivo indebolimento della Guerra Fredda e la caduta del Muro di Berlino, set di film indimenticabili che hanno segnato la storia del cinema. Ne ricorderò soltanto uno che considero paradigmatico del genere e dell’epoca: “Il ponte delle spie” del 2015 diretto da Steven Spielberg, con Tom Hanks e sir Marc Rylance, l’attore shakespeariano premio Oscar e già presente in “Anonymous” di Ronald Emmerich nel 2011 e successivamente in “Dunkirk” di Cristopher Nolan nel 2017.
I protagonisti veri o immaginati delle spy stories esprimono una vasta gamma di caratteri e un caleidoscopio di motivazioni. Aitanti e dal fascino prorompente, schivi e imbranati, professionali o improvvisati, venali o ideologicamente motivati, più uomini che donne, in verità, nonostante l’emblematica Mata Hari ricordata in apertura, forse a motivo del machismo connesso al ruolo dei personaggi più noti.
Le altalenanti vicende politiche italiane hanno riconfigurato più volte nei decenni lo schema dei servizi d’intelligence la cui storia è ufficialmente illustrata nel sito governativo. Della corposa bibliografia sui servizi italiani va segnalata la trilogia “Storia dei Servizi segreti italiani, dall’Unità d’Italia alle sfide del XXI” secolo di Antonella Colonna Vilasi la saggista italiana, docente d’intelligence in Svizzera e negli Stati Uniti. Vi si trova la storia degli imbelli servizi che non seppero anticipare la notizia dell’attentato che si preparava contro Umberto I a Monza, l’OVRA di Mussolini, il ruolo della CIA nell’Italia del Piano Marshall e, decenni dopo, di Mani Pulite, del Teorema Buscetta e tanto altro che può essere utile conoscere e tenere a mente.
Nel 2011 di Vilasi è uscito “Manuale d’intelligence” edito dalla reggina Città del Sole. Un manuale che analizza le finalità dell’intelligence nelle moderne democrazie occidentali. Tratta il processo e la selezione delle informazioni utili al decisore finale. L’introduzione è a cura di Stefano Folli, e la prefazione è del Direttore dei Servizi Esterni Francesi (DGSE). Un’intervista all’ex Direttore dell’Ufficio Analisi dell’AISI completa l’opera.
«Il vocabolo intelligence usato e abusato in racconti, spy stories, pubblicistica e mass media risveglia nella mente una particolare aura di mistero, ora affascinante, ora esecrabile, ma sempre evanescente riguardo al suo significato e alle caratteristiche dell’attività a esso connessa. Nella sua opera, l’autrice conduce un’ampia disamina del tema, accostando due percorsi espositivi principali: la trattazione degli elementi fondanti, ovvero la storia dell’intelligence e la descrizione dettagliata dei suoi processi di funzionamento, e la presentazione delle nuove sfide che si affacciano sul panorama geopolitico internazionale. Con un linguaggio puntuale e piano, il saggio riesce ad avvicinare alla materia trattata, spesso confinata ai circoli di esperti, un pubblico vasto» (Dall’introduzione di Stefano Folli)
Intervistata nel 2012 da Cinzia Ficco, alla domanda se l’intelligence sia ancora un mondo maschile Villasi ha risposto: «No. Il direttore generale dei servizi segreti svizzeri è una donna. I servizi segreti britannici hanno avuto due donne alla direzione generale. In Italia qualcosa è cambiato quando Vittorio Stelo, ex direttore Sisde, nominò qualche anno fa come suo vice una donna. In Europa l’intelligence non è più appannaggio degli uomini. E l’intelligence rosa è svolta in modo diverso. Più completo. Perché noi donne abbiamo un sesto senso, che gli uomini non hanno».
Il Sistema d’informazione per la sicurezza della Repubblica è così composto: Presidente del Consiglio dei ministri, Autorità delegata, Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (CISR) Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI).
La vigilanza è assegnata al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR), organo bicamerale composto da 5 senatori e 5 deputati scelti in maniera tale da garantire comunque la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni. Il Comitato è presieduto da un esponente dell’opposizione.
Al riguardo è in corso un gustoso teatrino riportato dal Post del 23 marzo secondo cui: «Lo scontro tra Lega e Fratelli d’Italia, i due principali partiti della destra, sulla nomina del presidente del COPASIR, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che esercita il controllo sulle attività dei servizi segreti e ha ampi poteri. Attualmente il presidente, Raffaele Volpi, nominato nel 2019, è della Lega: ma la legge prevede che l’incarico spetti a un partito di opposizione, condizione in cui in questo momento si trova soltanto Fratelli d’Italia, che quindi lo pretende. I giuristi sembrano prevalentemente d’accordo con la richiesta, ma la Lega sta opponendo una certa resistenza, appellandosi a un precedente di una decina di anni fa che però sembra avere caratteristiche sostanzialmente diverse». Si vedrà.
Il Presidente del Consiglio dei ministri può delegare le funzioni che non gli sono attribuite in via esclusiva a un’Autorità delegata che può essere ricoperto da un sottosegretario di Stato o da un ministro senza portafoglio che non può esercitare ulteriori funzioni di governo.
La legge prevede che l’Autorità delegata informi costantemente il Presidente del Consiglio dei ministri sulle modalità d’esercizio delle funzioni delegate. L’Autorità delegata fa parte del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (CISR) e presiede il Collegio di vertice, composto dal Direttore generale del DIS e dai Direttori dell’AISE e dell’AISI. Nel governo Draghi essa è in capo al Prefetto Franco Gabrielli e il lettore ricorderà le polemiche sorte nel Governo Conte bis per la riluttanza del presidente di allora a rilasciare la delega di cui sopra. Ma questa è un’altra storia che, fortunatamente, appartiene al passato.
Come al passato, almeno si auspica, appartengono le pagine più buie della cosiddetta strategia della tensione il tentato golpe Borghese, i generali felloni, i tintinnii di sciabole, la strage di Ustica del 27 giugno del 1980 e tanti altri episodi che oggi fanno la fortuna di note trasmissioni televisive del servizio pubblico e non. Non mancano tuttavia pagine ancora inesplorate come la sparizione dell’agente segreto Emanuele Piazza il 16 maggio del 1990 a Palermo o il tragico evento che costò la vita all’eroico Nicola Calipari nel corso della liberazione della giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena, a Baghdad il 4 marzo del 2005.
Il mondo dei servizi e il tema dello spionaggio è tornato agli onori della cronaca martedì scorso con l’arresto in flagrante del capitano di fregata della Marina Militare, Walter Biot fermato insieme a un funzionario delle forze armate russe: sono accusati di reati di spionaggio. Ne ha dato conto, tra gli altri, il Corriere della Sera del 31 marzo.
Della vicenda destinata ad avere ripercussioni sui rapporti con la Russia di Vladimir Putin, a far discutere su eventuali collegamenti con la politica italiana e tanto, tanto altro, colpisce intanto l’ammontare del compenso pagato dall’ufficiale russo di cui non è stato reso pubblico il nome e già espulso dall’Italia su iniziativa del Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha provveduto a convocare l’ambasciatore Sergej Razov alquanto piccato.
La somma di cinquemila euro sequestrata durante l’incontro avvenuto in un parcheggio della Capitale appare sinceramente tanto esigua quanto patetica e, per quanto possa essere un’ eventuale rata di servizi pregressi, demolisce il mito di uno spionaggio cinematografico, alla Mission Impossible, a base di transazioni milionarie sul deep web, scenografici luoghi del mondo con il contorno di bellissime spie dal fascino mortale. La storia, stavolta vera, sembra piuttosto somigliare alle vicende dell’imbranato Sarto di Panama o del disperato Uomo all’Avana, poveretti entrati in mondi più grandi loro e di cui saranno gli unici a pagare le spese.
Nel romanzo di Graham Greene del 1958 (Our man in Havana) il protagonista è James Wormold, mite rappresentante commerciale e venditore di aspirapolvere afflitto da problemi economici e da quelli causati dalla figlia adolescente, fervente cattolica ma anche materialista e amante della bella vita, a cui deve badare da solo essendo stato lasciato dalla moglie. Il nostro uomo si lascia arruolare dai servizi segreti britannici per guadagnare qualche soldo, e per restarci inizia a inventarsi clamorose rivelazioni. Non essendo in grado di reperire alcunché, inventa di sana pianta informazioni e una rete di collaboratori fino a spedire a Londra i progetti di un macchinario da guerra basato sulle componenti di un aspirapolvere. Presto finisce inguaiato tra i sospetti dell’MI6 e le indagini del capitano Segura, un poliziotto antispionaggio cubano invaghito della figlia di Wormold.
Alla fine, solo l’imbarazzo di dover rivelare alla pubblica opinione una tale grottesca vicenda spingerà i servizi britannici a premiare Wormold con un posto fisso a Londra dove potrà anche sposare Beatrice, un’agente inviata per controllarlo che presto si innamora di lui, e pagare il collegio di studi alla figlia.
Una figura cacina simile a quella fatta dal co-protagonista del romanzo del già citato Frederick Forsyth “Il Quarto Protocollo”: George Berenson, direttore delle forniture della Difesa, simpatizzante di destra e del regime segregazionista sudafricano, cosa questa che in passato gli ha precluso la nomina a baronetto.
Proprio la mancata nomina ha ingenerato in Berenson i risentimenti verso chi non ha capito la sua battaglia anticomunista. Venuto a scoprire che la persona con cui Berenson ha rapporti è un funzionario dell’ambasciata del Sud Africa, Jan Marais, l’agente John Preston viene distaccato all’MI6 per il tempo necessario a recarsi in quel Paese e aiutare il NIS, il National Intelligence Service sudafricano, a capire chi sia la persona che hanno a Londra.
Tra Pretoria, Johannesburg ed East London, Preston scoprirà che Jan Marais è in realtà morto nel 1944 e la sua identità è stata assunta fin dal 1945 da un suo commilitone, Friedrich (Frikki) Brandt, figlio di un immigrato comunista tedesco che nel 1936 fuggì dalla Germania di Hitler chiedendo un visto d’espatrio in Sud Africa spacciandosi per ebreo. Da quarant’anni il sedicente Marais è una spia al servizio dell’URSS dall’interno del servizio diplomatico sudafricano, e Berenson è una sua vittima reclutata sotto falsa bandiera, in quanto questi credeva di passare informazioni al Sud Africa (a suo dire, l’unico baluardo nell’Emisfero Australe contro il comunismo). Quando Nigel Irvine mostra a Berenson le prove che Marais è un agente sovietico, Berenson crolla e collabora. Irvine si rende quindi conto che l’ingenuo funzionario può essere utilizzato come canale di disinformazione per passare ai sovietici false informazioni. Segue una narrazione mozzafiato che nel 1987 diede vita all’omonimo film diretto da John Mackenzie e interpretato da Michael Caine, Pierce Brosnan e Joanna Cassidy.
In conclusione, sembra proprio che, romanzi e film a parte, per fare la spia occorrano requisiti di ben altro genere, come quelli dei “Cinque di Cambridge”, gli agenti segreti doppiogiochisti britannici che, a partire dagli anni trenta, cominciarono a trasmettere importanti informazioni dei servizi segreti britannici all’Unione Sovietica. Si trattava di: Kim Philby (Stanley), Guy Burgess ( Hicks), Donald Duart Maclean (Homer), Anthony Blunt (Johnnson) e John Cairncross (Liszt). Si erano conosciuti nella prestigiosa università britannica in cui giravano negli anni ’30 i principi guida della Rivoluzione d’ottobre, influenzando molti giovani dell’Upper Class che, oppressi da un ambiente sociale tipicamente rigido e snob, cominciarono a cercare una maggiore libertà sociale e di costumi, abbracciando l’ideologia comunista che si caratterizzava, ai loro occhi, per l’assenza completa di differenze classe, e dunque per un ambiente sociale completamente antitetico a quello britannico. Fecero parecchio danno alla NATO.
Ancora oggi, nonostante la fine dell’Unione Sovietica, le “Spie di Cambridge”, i doppiogiochisti che servirono il loro paese solamente per tradirlo, e in modo premeditato, sono ricordate con grande ammirazione dai servizi segreti russi, che continuano a onorare l’operato di cui hanno beneficiato. Un mito per il giovane Putin che crebbe sotto la protezione di Yuri Andropov e nei sotterranei insonorizzati del Palazzo della Lubjanka nella piazza moscovita dove tra il 1958 e il 1990 ha svettato la statua di Feliks Dzeržinskij il fondatore della CECA nel 1926, poi diventata KGB.
Nel 1991 fu rimossa dai manifestanti liberali dopo il fallimento del tentativo di colpo di stato contro Michail Gorbačëv. Un’epoca finiva e una nuova sembrava stesse per iniziare pur con la cautela indicata da Lawrence Feringhetti ai rivoluzionari del proprio tempo: «Svita le serrature delle porte, ma non buttare via i cardini». E così è stato nella Russia oligarchica dei nuovi zar senza corona.
Non solo astuzia, quindi, ma anche profonda cultura, immediatezza del pensiero, ponderatezza dell’azione e capacità mimetica, quel complesso di doti che viene da lontano e che ancora credo risuoni in tutte le scuole per 007 del mondo in onore dell’archetipo di ogni spia che si rispetti, quell’uom dal multiforme ingegno che sembra dire beffardo alle spie de noantri: astenersi i dilettanti!