L’alleanza dei riformisti è un po’ come la Superlega (quella di Florentino Pérez e delle italiane, non quella di Salvini): un’ottima idea, certamente elitaria, ma sensata e lungimirante, sviluppista e antipopulista e quindi per questo travolta da una melassa di bugie stomachevoli e di ipocrisie stucchevoli, per non parlare delle manovre e delle minacce dei leader sovranisti, degli sceicchi, degli oligarchi e dei burocrati con residenza fiscale in Svizzera. Ma il punto è che al di là del merito, su cui si può essere d’accordo o no, sia la Superlega sia l’alleanza dei riformisti sono progetti eseguiti in quel modo che i manuali di politologia o di business administration definiscono tecnicamente “alla cazzo di cane”.
Lasciamo risposare in pace la Superlega, e restiamo sull’alleanza dei riformisti: oggi è uscito un sondaggio SWG, uno dei tanti e non so quanto accurato, ma certo non dissimile dagli altri, che segnala il partito di Carlo Calenda, Azione, al 3,6 per cento, l’Italia Viva di Matteo Renzi all’1,9 per cento e Più Europa che non si sa più da chi sia guidato all’1,7 per cento (la Superlega almeno rappresentava la stragrande maggioranza dei tifosi di calcio nel mondo).
Il totale fa 7,2 che non sarebbe neanche malissimo, ma che al momento non c’è, non esiste, perché i tre gruppetti politicamente indistinguibili continuano a essere separati e si menano sui social e in televisione, e anche al loro interno, anziché proporsi al paese come polo dei liberaldemocratici e dei liberalsocialisti, come sponda politica del draghismo di governo, come argine al bipopulismo perfetto italiano, come catalizzatore senza cedimenti strutturali ai Cinquestelle e a Salvini della vastissima area elettorale che va dal Pd a Forza Italia compresi.
Carlo Calenda è l’unico che sembra avere una strategia precisa, che passa da un successo politico e personale a Roma, ma nonostante la passione e la competenza che ci mette resta scontroso malgrado gli altri nella Capitale lo sostengano. Matteo Renzi è il più abile del gruppo, ma le tracce dei suoi ragionamenti politici sembrano essersi perse, e anche all’interno del suo partito si diffondono malumori e iniziative personali. Il gruppo Bonino è alle prese con una faida interna, da cui la stessa leader ha saggiamente deciso di chiamarsi fuori. I riformisti del Pd come sempre non disturbano l’apparato dirigente pro tempore del partito. I troppo timidi esponenti liberali di Forza Italia sono eternamente indecisi su cosa fare da grandi.
Finché i leader di quest’area non metteranno da parte orgogli e risentimenti e non mostreranno coraggio e generosità sufficienti a costruire un’alternativa seria, coesa e credibile al sovranismo di destra e al populismo di sinistra i sondaggi non potranno che riflettere l’assenza di visione strategica. Insomma, servirebbe una superlega di riformisti, antipatica e arrogante quanto quell’altra ma studiata nei minimi dettagli, spiegata con passione agli elettori e guidata da leader adulti. Un vasto programma.