Il ragionamento sull’integrazione in Europa infatti può – e forse deve – essere capovolto, come mi ha spiegato (sgridandomi) la mia prozia novantottenne, Deanice, che di quel «passato» dimenticato per ovvie ragioni se ne intende.
Nata nel 1922, come mia nonna Gianna, hanno vissuto entrambe il fascismo e la guerra, la pace successiva e la creazione dell’Unione Europea. Si conoscevano di vista perché negli anni quaranta lavoravano tutte e due come operaie alla Snia viscosa, all’epoca una delle più importanti aziende del paese nella produzione di rayon (una fibra trasparente che si ricava dalla cellulosa), in un paesino in provincia di Milano, ma le loro vite si sono veramente incrociate dopo la guerra – quando mia nonna si è fidanzata con Tersiglio, il fratello di Deanice, che poi sarebbe diventato mio nonno.
Così, all’inizio degli anni cinquanta hanno costruito assieme una villetta bifamiliare, circondata da un bel giardino in comune, tra una zona di bosco e una piccola stradina sterrata.
In questa villetta, oggi circondata da case e strade asfaltate, sono nate e cresciute le loro figlie. I suoi salotti ospitavano le attività che avevano loro permesso di abbandonare il lavoro in fabbrica: Deanice faceva la sarta e mia nonna la parrucchiera; erano conosciute nel paese – Cesano Maderno – per fornire sempre vestiti all’ultima moda e boccoli impeccabili.
Ancora oggi vivono in quella villetta, entrambe vedove, e passano le giornate ricordando il passato, parlando delle loro famiglie e discutendo di politica; e, ancora oggi, come quando ero piccola, commentano i miei vestiti e i capelli spettinati, offrendomi i loro bigodini comprati e conservati preziosamente dagli anni cinquanta «per dargli un po’ di forma».
La zia Deanice ormai cammina poco, non esce dal recinto del giardino e ogni volta che va su e giù per le scale è terrorizzata di rompersi per l’ennesima volta il femore. Per questo va in giro con una scopa, che le funge da bastone, «anche perché così» come dice sempre «appena vedo un po’ di sporco ne approfitto per darci una pulitina». Ma quello che le manca in mobilità, lo compensa con la vivacità d’intelletto: a novantott’anni è più sveglia e attenta della maggior parte di noi.
Ci sediamo e non ho neanche il tempo di farle la mia prima domanda che lei attacca a parlare: «Che ti credi? Io sono informata» mi dice con lo sguardo vispo e giudicante, mentre si tocca i capelli marroni e corti per controllare che la messa in piega che ha fatto la sera prima stia ancora in ordine (le ho detto che alla fine dell’intervista le avrei fatto una foto per ricordarmi di questo momento).
«Metto La7 e ascolto tutto il giorno la politica, perché a me e tua nonna quelli che cantano e ballano mezzi nudi mica ci piacciono» e, senza che io faccia in tempo a ribattere qualcosa, per provarmi che è vero mi fa la lista di tutti i personaggi politici che conosce, spiegando chi le piace e chi no: Di Maio si piazza in fondo, «quello non lo posso proprio vedere» mi dice, infastidita.
Poi continua a spiegarmi perché secondo lei la politica italiana di oggi non funziona: «Tutti discutono di tutto, ma cercando di affrontarsi e non di trovare punti di accordo. Litigano per egoismo, per prevalere. E lo fanno sia a destra che a sinistra. Un esempio? L’Europa». Io la guardo sorpresa perché con tutti i problemi che abbiamo in Italia non mi sarei aspettata da lei un esempio così: «Sì Gaia, senza Europa, te lo dico io, noi non facciamo niente» mi dice quasi sgridandomi, con una vera paura nella voce.
«L’Europa è la pace, io lo so perché ho vissuto la guerra. Pensa che poco prima che nascesse tua madre ci stavamo ancora ammazzando tra noi: tuo nonno Tersiglio è sopravvissuto dalla Russia, ha rischiato di morire là e tu di non nascere mai; noi vivevamo nel terrore, abbiamo fatto la fame e non sai quante notti abbiamo passato nelle cantine a proteggerci dalle bombe. Chiedi a tua nonna, per la sua famiglia è stata anche peggio che per noi, perché noi eravamo tutti comunisti ma loro erano apertamente antifascisti.» Sistema la sua scopa che sta pian piano scivolando giù lungo il muro, e poi continua a parlare:
«A un certo punto la guerra è finita. Non sai le feste in strada, la felicità, i canti che ci siamo fatti. All’epoca avevamo capito che per avere la pace, una pace duratura, serve essere uniti, creare un modo per impedirci di imbracciare di nuovo le armi gli uni contro gli altri. E ci siamo riusciti fino a poco fa».
Muove la mano e fa un gesto come per dire «ora ascoltami bene»: «Oggi invece mi sembriamo tutti rinscemoniti. La gente non è abbastanza intelligente per capire quanto è importante l’Europa, tutti ad attaccarla quando invece senza di lei l’Italia non sarebbe nulla, proprio un bel niente».
Alza lo sguardo verso di me e aggiunge: «Guardati in giro, la gente non sa neanche criticare le scemenze che sentiamo alla tv e da certi politici: ripetono a pappagallo e credono a tutto quello che gli viene detto! Figuriamoci se riescono a capire perché un progetto come l’Europa unita resta fondamentale, per quanto sia difficile».
da “Volti d’Italia. Viaggio nei nostri pensieri, desideri e paure”, di Gaia van der Esch, Il Saggiatore, 2021, pagine 214, euro 19