Soldi, sesso, potereLa storia di come Jeff Bezos ha brutalmente sconfitto il tabloid che voleva infangarlo

Il fondatore di Amazon è riuscito, con coraggio e astuzia (e molti mezzi), a trasformare un pettegolezzo sulla sua relazione extra-coniugale in un attacco politico, creando una narrazione in cui è diventato il paladino della stampa libera

AP Photo/Pablo Martinez Monsivais, File

Una settimana difficile, aveva detto laconico ai suoi collaboratori. Nell’incontro del 14 febbraio 2019 il Ceo e fondatore di Amazon, Jeff Bezos, era reduce da uno dei momenti più turbolenti della sua vita personale.

Aveva da poco annunciato la notizia del suo divorzio da MacKenzie Scott e, dopo alcune ore, il tabloid National Enquirer aveva reso pubblica la sua relazione con Lauren Sanchez. Era un momento complicato, ma – si capì poi – era anche l’inizio di una guerra personale che Bezos aveva intrapreso a difesa della sua vita privata – e forse anche di qualcos’altro.

Come racconta questo articolo pubblicato su Bloomberg, adattamento di un capitolo del libro “Amazon Unbound: Jeff Bezos and the Invention of a Global Empire”, scritto da Brad Stone, è in quelle ore che vede gli effetti della sua strategia di difesa (e poi di attacco) alle rivelazioni del tabloid.

Anziché cedere, aveva pubblicato tutto. Anziché chiudere con un accordo, aveva deciso di rilanciare e approfittare delle debolezze dell’avversario. Lo scoop del National Enquirer, in cui veniva raccontata, con immagini prese chissà dove, la sua relazione clandestina con Lauren Sanchez non aveva niente di normale. Piuttosto, aveva insinuato, si era trattato di una ritorsione per quello che il suo giornale, il Washington Post, aveva scoperto su Donald Trump (amico dell’editore dell’Enquirer) e sui sauditi.

Una mossa astuta, la sua. Lo trae d’impaccio, gli conferisce una posizione di vantaggio (è lui che detta l’agenda degli argomenti, adesso, non la subisce) e gli permette di uscire vincitore. Anzi, di uscirne trasformato (almeno a detta dei suoi collaboratori).

Per capire la portata di quanto accaduto, bisogna però riavvolgere il nastro di almeno un paio di anni. Quando tutto inizia, cioè nel 2018: è in quel periodo che Jeff Bezos aveva già cominciato a vedersi con Lauren Sanchez, un volto noto del giornalismo e della televisione americana, continuando però a mantenere in piedi l’immagine del matrimonio felice con la moglie MacKenzie.

Rispetto a lei, donna solitaria e innamorata della lettura e della scrittura, Sanchez (48 anni a quei tempi) era l’opposto. Solare, amante della socialità, era stata reporter televisiva, aveva condotto il “Ballando con le stelle” statunitense sulla Fox e, di comparsata in comparsata, era riuscita a ottenere anche qualche particina in alcuni film. Il più importante era stato “Fight Club”.

Anche lei, come Bezos, era originaria di Albuquerque (ma non si erano mai visti prima) e, cosa particolare, amava pilotare elicotteri. Un dettaglio importante, pare, visto che Bezos aveva chiesto, come clausola per la creazione dei nuovi quartieri generali di Amazon, la costruzione di un eliporto nei paraggi. Una richiesta bizzarra su cui non ha mai voluto cedere, anche a costo di far saltare l’accordo per il mega centro di New York. Secondo alcuni sottoposti, la ragione di tanta intransigenza va ricercata proprio lì, nella passione per il volo della fidanzata/amante.

È nell’aprile di quello stesso anno che Lauren, ormai innamorata, decide di farlo conoscere a suo fratello Michael, che lavora a Los Angeles nell’ambito della comunicazione. Per l’occasione viene scelto un ristorante piuttosto chic di Hollywood.

Era un incontro con il fratello, suo marito e qualche altro amico. L’atmosfera era rilassata, forse anche troppo: Bezos e Lauren erano entrambi sposati, ma non avevano problemi a esprimere il loro affetto reciproco in pubblico. Michael si preoccupa: può essere pericoloso, dice alla sorella. I fotografi sono ovunque. Ma l’avvertimento non viene preso in considerazione. Il futuro dimostrerà che, nonostante le buone intenzioni, il vero pericolo sarebbe stato proprio lui, Michael.

Bezos non nascondeva la sua fidanzata. La portava con sé, in qualche occasione coglieva l’occasione per mostrarle i suoi quartieri generali di Amazon, o la redazione del Washington Post. Lei non si sottraeva: è presente al lancio del suo razzo Blue Origin e lo aiuta a realizzare un video promozionale.

Insomma, sono una coppia. E come molte coppie si scambiano messaggi erotici e immagini via chat. Tutte cose che la donna condivideva (chissà perché) con il fratello. Bezos, dall’altra parte della comunicazione, non immaginava (per natura è portato a essere poco diffidente) che quegli scambi personali e riservati si sarebbero, di lì a breve, rivoltati contro di lui.

A questo punto occorre introdurre il cattivo della storia: il National Enquirer.

In quel momento il giornale proviene da un periodo difficile. Il bilancio traballa e le copie vendute sono in picchiata. In più sul Ceo David Pecker incombe l’accusa, cavalcata dal Washington Post, di avere comprato i diritti di alcune storie imbarazzanti su Donald Trump e di non averle pubblicate di proposito. Una procedura definita “catch-and-kill”, cioè il contrario del giornalismo, una condotta poco trasparente che messo la società madre, la American Media Inc, AMI, sotto i riflettori del procuratore generale del Distretto Sud di New York. Non una bella situazione, dal momento che le indagini, a seconda della piega che avrebbero preso, avrebbero potuto portare anche alla chiusura del giornale.

È anche per questo che il Chief Content Officer dell’AMI, Dylan Howard, decide – in accordo con Pecker – di vendicarsi degli attacchi andando all’attacco di Bezos. Ai giornalisti della società viene dato un mandato chiaro: trovare e pubblicare informazioni imbarazzanti, scandali di qualsiasi genere che lo riguardassero. Qualsiasi cosa, purché torbida.

Viene accontentato presto. Già a settembre di quell’anno Michael Sanchez (sì, il fratello di Lauren) contatta Andrea Simpson, una reporter dell’AMI di Los Angeles, promettendo di fornire quello che cercavano.

Capire cosa abbia spinto Michael a dare in pasto alla stampa i messaggi e le immagini private che la sorella gli mandava non è semplice. Forse i soldi: nelle sue mail ai redattori dell’Ami chiedeva ricompense a sei cifre. Forse – come si giustifica lui – l’opportunità stessa.

Secondo i suoi calcoli la notizia, vista la disinvoltura con cui la sorella e Bezos si facevano vedere in pubblico, prima o poi sarebbe uscita. Meglio essere preparati o, meglio ancora, governarla in anticipo. Anche perché era convinto, con una certa ingenuità, che il contratto da 200mila dollari che firma a ottobre con la AMI lo avrebbe messo al riparo (la società si era impegnata a non rivelare in nessun modo il suo nome) e, soprattutto, avrebbe fatto sì che le immagini e le informazioni più scabrose non venissero utilizzate.

La collaborazione, insomma, si dimostra proficua. Sanchez fornisce tutto quello che promette: un file con le conversazioni tra Bezos e la sorella e in più qualche scatto personale. Quello più hot, cioè le parti intime dello stesso Bezos invece, lo tiene per sé (si scoprirà poi che non è mai nemmeno esistito). Bisogna sottolineare a questo punto che, a dispetto delle congetture che accompagneranno lo scoop del National Enquirer – ipotesi che tiravano in ballo, come autore del leak, qualche governo straniero – l’unica fonte è sempre stata Michael Sanchez.

A novembre, per corroborare le rivelazioni, il fratello manda anche lo scatto osé, che però è un falso (usa uno screenshot preso da un sito pornografico).

Ma a quel punto però la storia è già confezionata, verificata e pronta per essere lanciata. Ma Howard, che aveva salvato l’AMI firmando un accordo non giudiziario con il Dipartimento di Giustizia americano con l’impegno di mantenere una condotta cristallina e collaborare su loro richiesta, era molto preoccupato. Stava per andare contro l’uomo più ricco del mondo. Era in una posizione precaria. Anche se la notizia era più che garantita, tutto doveva essere a prova di bomba. E così il National Enquirer scrive, il 7 gennaio 2019, allo stesso Bezos, per chiedere un’intervista su di lui e sulla sua relazione segreta. Iniziano le ostilità.

Bezos e la fidanzata reagiscono con rapidità. Lei si rivolge al fratello (che per mestiere aveva entrature nel mondo dei media) e, non sospettando di nulla, gli dà mandato – pagandolo 25mila dollari al mese – per trattare la sua posizione con il National Enquirer e chiedere loro riscrivere il pezzo. Lui, diventando il protagonista di un doppio gioco, accetta.

Bezos, invece, si rivolge al suo consigliere sulla sicurezza Gavin de Becker e mette insieme un piano d’azione. Primo passo, non concedere l’intervista. Secondo, cercare di sgonfiare la notizia e depotenziare il tabloid, anticipandolo con l’annuncio del divorzio dalla moglie – era nell’aria da tempo, spiegano i suoi collaboratori – già mercoledì 9 gennaio. Il magazine, avevano ragionato, viene pubblicato di lunedì, per cui lo scoop sarebbe stato bruciato di qualche giorno.

Esce il comunicato: Bezos divorzia. Howard risponde allora decidendo di andare in stampa già quella sera stessa, ribaltando la normale cadenza della pubblicazione. Lo scoop è salvo: anzi, nei giorni successivi il National Enquirer fa uscire nuove rivelazioni. Diventa uno stillicidio, e per bloccarlo sarà necessario l’intervento di Michael Sanchez, ora nelle vesti di mediatore. In cambio di una pausa delle pubblicazioni garantisce all’AMI l’esclusiva di alcune fotografie finto-paparazzate della sorella mentre va all’aeroporto.

Bezos però non si arrende. Prima di tutto, vuole sapere chi è la fonte e incarica per le ricerche lo stesso de Becker. Nel giro di poco (basta qualche telefonata) il consigliere capisce tutto: è stato il fratello.

Ma anche lui non si ferma lì. Al Daily Beast (di proprietà di un amico di Bezos) fa scrivere, in un articolo, che una delle fonti possibili è proprio Michael. Ma il movente, fa insinuare, sarebbe politico. Bezos è la vittima di una ritorsione, ipotizza. Si trova a dover pagare di persona per l’impegno del suo giornale contro il sistema di potere del presidente americano. È una tesi campata per aria, non ci sono prove, non c’è nulla. Ma basta a far cambiare la situazione e mettere in cattiva luce il National Enquirer. Con poche righe, Bezos diventa un eroe della libertà di stampa.

Il problema è che un’accusa del genere, ragionano Pecker e Howard, potrebbe far saltare il non-prosecution agreement firmato pochi mesi prima, decretando la fine del giornale. Occorre riparare ai danni e far di tutto perché lo stesso Bezos intervenga e riconosca che la storia è autentica, che le informazioni sono state ottenute in modo legale e, soprattutto, che non c’è alcun movente politico dietro.

Non sarà così facile. Di fronte all’offerta di un accordo, la manovra di Bezos è a tenaglia. Da un lato i suoi legali premono per sapere quali altre informazioni siano in loro possesso (forse per ottenere conferma sui sospetti che hanno riguardo alla fonte). Dall’altro, il Washington Post ha pronto, sulla rampa di lancio, un altro articolo pensato per corroborare l’idea del movente politico.

Le mediazioni vanno avanti. Howard, sotto la pressione degli avvocati di Bezos, invia una mail con la descrizione delle conversazioni in loro possesso e con le immagini. Il colpevole, diventa sempre più chiaro, è Michael. Ma il pezzo sul movente politico del Washington Post viene fatto uscire comunque.

Howard è allarmato. Il dialogo continua. Parla al telefono di persona con de Becker e, dopo una lunga conversazione (registrata da entrambi) viene fatta l’offerta definitiva: il magazine smette per sempre di pubblicare quella storia e Bezos riconosce che non c’è nessun movente politico dietro quella vicenda. Sembra fatta, non lo è. Perché Jeff Bezos ha deciso di andare avanti.

Con un colpo inaspettato, il fondatore di Amazon decide di rendere tutto pubblico. Prende le conversazioni che gli sono state inviate, le include in un piccolo articolo di mille parole e sceglie di illustrare la situazione – a modo suo – pubblicando il tutto su Medium.

È una mossa a sorpresa. Nella sua ricostruzione Bezos fa sparire il divorzio, il tradimento del fratello di Lauren, il tentativo disperato dell’AMI di evitare l’accusa di movente politico. Al contrario gli basta una semplice omissione (non dice che le informazioni fornite da Howard via mail erano state chieste del suo avvocato) per trasformare la richiesta di un accordo in un tentativo di ricatto.

Una manipolazione da poco, ma importante, perché cambia le carte in tavola in modo definitivo: Jeff Bezos diventa un paladino della libertà di stampa. Non solo. Sempre nel suo testo rilancia la tesi sul movente politico del suo attacco e si spinge oltre: i mandanti sono Donald Trump e l’Arabia Saudita («Essere proprietario del Washington Post è qualcosa che mi complica la vita. È inevitabile che certe persone di potere che subiscono le conseguenze delle inchieste del mio giornale mi prendano per un loro nemico»).

La sua spregiudicatezza sembra coraggio, la furbizia trasparenza. Ma l’abilità con cui muove le leve dell’informazione gli permette di annientare la posizione dell’AMI. In suo aiuto arrivano i media anti-Trump e, di nuovo, il Daily Beast, che allarga il raggio e lancia il sospetto che dietro tutta l’operazione ci siano i leak dei sauditi.

Come ultima spiaggia per la propria difesa, l’AMI infrange l’accordo firmato con Michael Sanchez. Rivela la fonte: altro che sauditi, altro che complotto internazionale. È stato il fratello di lei.

Ma è troppo tardi: la narrazione si è cristallizzata e la macchina dei media si è messa in moto. Il fondatore di Amazon, con astuzia e spregiudicatezza, ha saputo aggirare l’ostacolo, ha ribaltato una situazione difficile e ha messo all’angolo i suoi avversari.

Ma non si è trattato soltanto di mettere nei guai il National Enquirer o guadagnarsi un ruolo nobile nella battaglia contro la Casa Bianca di Trump. Bezos, così facendo, forse ha ottenuto anche qualcosa di più: la libertà di poter uscire, a volto scoperto, con la sua fidanzata. Senza subire nessuna pressione.

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