App e buoi dei paesi tuoiLa tentazione bipopulista di arrubbare i soldi ad Amazon per darli ad Alitalia

Se c’è elusione fiscale va sanzionata. Ma gli atteggiamenti contro le multinazionali “straniere” mostrati dall’autachico delle nocciole Salvini e dai fan del riferimento fortissimo sembrano la spiegazione migliore del perché molte meraviglie tecnologiche siano state sviluppate nei garage della Silicon Valley e non sui sofà di Reggio Calabria

Photo by Joshua Rawson-Harris on Unsplash

Matteo Salvini, quello dell’autarchia delle nocciole, dice che bisogna tassare «le multinazionali straniere che fanno affari in Italia e pagano poco e niente». Bisogna tassarle perché sono straniere, dunque. E se c’è un caso veramente esemplare di perfetta equivalenza del tratto identitario delle presunte controparti, la destra più scalcagnata d’Europa e la sinistra che concorre a far peggio di quella, è il caso della pretesa punitiva nei confronti degli imperialisti del web, quelli che consentono alla Bestia leghista di postare delizie sulle zingaracce e ai sottosegretari del punto di riferimento fortissimo di denunciare le cospirazioni degli usurai di Bruxelles.

Agli uni e agli altri, e implicando nel discorso le modernità progressiste che vagheggiano un bel mondo di app democratiche da raccogliere come funghi sotto i castagni, bisognerebbe spiegare che Amazon e Google e Facebook non le hanno fatte gli Stati tassatori né le carovane di parlamentari Ue, ma dei ragazzotti di nome Jeff e Larry e Sergey e Mark: e le hanno fatte là, dove quella tecnologia nasce, non qui, dove la usiamo con la pretesa di farne una specie di diritto acquisito e – sotto sotto – con un vago desiderio di espropriazione. Inutile dire che se c’è elusione fiscale, e se è illecita, va sanzionata: ma quel che risuona nel proclama anti-multinazionale non è tanto una sollecitazione del controllo tributario, quanto il dispetto per questa gente che usurpa il terreno nazionale imponendovi l’oscena logica del profitto.

Non è uno scherzo ipotizzare che uno Stato equanime dovrebbe semmai finanziarli, quegli egoistoni, giacché l’alternativa al plico di Amazon che ti arriva perfetto e in perfetto orario, e se sgarrano di cinque minuti si scusano, e che se non ti va bene se lo riprendono e ti rendono i soldi, l’alternativa, dicevo, è il pacco dell’ufficio italiano che spedisci e accendi un cero, ti ci picchiano su diciotto tasse e il destinatario, che magari avrà il diritto di non stare in casa h24 per due settimane nell’attesa della caravella, riceve una scartoffia che gli chiede di andare a ritirarlo in un altro ufficio a venticinque chilometri di distanza dove alle 11,59 un impiegato che legge la Gazzetta gli chiude in faccia lo sportello e dice di ripassare domani.

Perché una cosa bisognerebbe piantarsi in testa: che le acquisizioni tecnologiche – specie queste, che ricascano a cambiarci la vita e le mettiamo nel cedolino delle nostre guarentigie sindacali – i “regolatori” democratici non le assicurano perché non sono capaci di assicurarle, ed è normale che sia così perché non è il loro lavoro: ma il parlamentare della Repubblica di Santa Greta che diffonde il post ecosolidale e denuncia il profitto miliardario di Big Social mentre i nostri ggiovani sono costretti a espatrià, ecco, nelle pause tra un tweet e l’altro dovrebbe domandarsi se non c’entri qualcosa il nostro sistema fiscale e del lavoro e della concorrenza con il fatto che il gingillo su cui smanetta viene da un garage californiano anziché da un sofà di Reggio Calabria.

Dopo di che, e ancora, benissimo che se c’è da far rispettare una legge bisogna mettercisi (il che, di passaggio, non vuol dire che la legge sia giusta). Ma se il quadro di soluzione è arrubbare i soldi ad Amazon per darli ad Alitalia c’è qualcosa che non va.