Cortocircuito giudiziarioIl ddl Zan protegge il diritto “bastardo” e non quello della persona

Nel disegno di legge in cui si introducono i reati di omofobia viene data la possibilità di reclamare protezione in quanto femmina, omosessuale, transessuale e quant’altro, anziché sottolineare che quella condizione non deve avere nessun rilievo perché l’individuo in sé è meritevole di protezione

Roberto Monaldo / LaPresse

Ancora due parole sul ddl Zan, perché i discorsi che rispettivamente vengono da una parte e dall’altra continuano a essere – e direi inevitabilmente, con questa destra e con questa sinistra – completamente scentrati.

Diamo per acquisito, innanzitutto, un punto: una buona aliquota degli argomenti d’opposizione, cioè la parte del movimento che fa le viste di remar contro per istanza liberale, dissimula in realtà un dispetto da Family Day e in buona sostanza il desiderio di una bella società con gli omosessuali nei recinti e il prete a spiegare che sono malati. Ma se questo non fa buoni gli argomenti, e soprattutto gli intendimenti, del grosso degli oppositori, nemmeno fa buono il disegno di legge.

Che non è buono per un motivo sovraordinato a quelli, e sono tanti, che giustamente lo espongono a censure di profilo tecnico. E il motivo sovraordinato è questo: che il disegno di legge attribuisce alla vittima (cioè il soggetto discriminato per ragioni di sesso od orientamento) un diritto bastardo: vale a dire il diritto di reclamare protezione in quanto femmina, omosessuale, transessuale e quant’altro, anziché quello di reclamare che quella condizione non deve avere nessun rilievo perché meritevole di protezione è l’individuo.

Non è troppo difficile da capire: un omosessuale, o un nero, o un fedele di questa o quella religione, dallo Stato non deve pretendere il diritto di “essere” quelle cose (nero o gay o altro), bensì il diritto tutto diverso di vedere considerate completamente “irrilevanti” quelle condizioni. Un omosessuale ha diritto di non subire violenza non perché è omosessuale, ma perché la violenza su un omosessuale lede un diritto personale: che non è tuttavia il diritto all’omosessualità, ma il diritto dell’individuo a “non” essere considerato null’altro che un individuo.

È un dettaglio (si fa per dire) tutt’altro che chiaro, ma l’approccio protettivo sarebbe più netto, e soprattutto più efficace, depurando totalmente la richiesta di protezione da rivendicazioni di genere od orientamento: perché, magari con tutte le migliori intenzioni, esse rinnegano in realtà il nucleo genuino dell’esigenza protettiva, che sta appunto nella completa irrilevanza delle condizioni di chi subisce violenza. Si conosce l’obiezione: «Ma lo picchiano proprio perché è gay, dunque è giusto costruirci su un reato»

Obiezione che denuncia il fraintendimento di cui dicevo: chi fa violenza su un omosessuale lede un diritto che con l’omosessualità non c’entra proprio niente, vale a dire il diritto della persona di non subire violenza.

E chiudo dicendo che non è un caso che questa perversa istanza punitiva venga perlopiù dagli esponenti di una cultura e tradizione politica che non ha mai tenuto in nessun conto i diritti individuali. Siccome il diritto personale non è nelle loro corde, si danno alla moltiplicazione dei succedanei.

E nel farlo, puntualmente, si rivolgono alla soluzione illiberale presidiata dalla galera. E a riscontro, da destra, in profundo non c’è ripugnanza per l’illiberalità intrinseca di quella soluzione, ma per l’idea che essa possa compromettere lo schema vero dell’equanimità Dio-Patria-Famiglia: e cioè non il dovere di rispettare e proteggere gli individui in quanto individui, ma la facoltà di “tollerarli” in quanto ricchioni.

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