Dopo un’autentica bagarre, la Commissione Giustizia del Senato ha deciso ieri con 12 voti favorevoli e nove contrari che sarà solo il testo del ddl Zan, già approvato alla Camera il 4 novembre, a essere oggetto di discussione. Sono state infatti ritirate dalle rispettive proponenti i disegni di legge in materia di omotransfobia che, presentate a inizio legislatura, erano state abbinate e calendarizzate mercoledì scorso. Un’azione, che, prevista dal Regolamento del Senato, viene così a velocizzare i lavori della Commissione. Ma che ha suscitato l’ira del senatore leghista Pillon, per il quale, parole sue, «non c’è più la maggioranza di governo».
Intanto il centrodestra, sempre ieri, ha presentato un disegno di legge cofirmato da Licia Ronzulli (Fi), Matteo Salvini (Lega), Paola Binetti (Fi) e Gaetano Quagliariello (Fi), che, composto di soli tre articoli, reca «disposizioni in materia di circostanze aggravanti nei casi di violenza commessa in ragione dell’origine etnica, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale, età e disabilità della persona offesa». L’elemento centrale è costituito dalla modifica del comma 1 (quello relativo all’azione per futili e abietti motivi) dell’articolo 61, normante le aggravanti generiche, con l’inserzione del seguente comma 1-bis: «l’aver agito in ragione dell’origine etnica, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale, disabilità nonché nei confronti dei soggetti che versano nelle condizioni di cui all’articolo 90-quater del codice di procedura penale».
Al riguardo Salvini ha dichiarato: «Se il Parlamento è serio si approva la nostra proposta con le aggravanti. Se invece si vogliono portare avanti teorie gender e fare processi alle intenzioni a chi pensa che la mamma sia la mamma, allora non ci siamo. Sarebbe un problema per Draghi. Noi abbiamo raccolto l’appello di Mattarella per un governo che si occupi delle emergenze, ricostruendo, ripartire e curare. Se la sinistra pensa di occupare il Parlamento con il ddl Zan, con lo ius soli, con il voto ai sedicenni, temi palesemente divisivi, non fa un dispetto Salvini ma agli italiani e non corrisponde agli appelli di Mattarella e Draghi.
Al di là delle parole vagamente minatorie per la stabilità del governo Draghi e di un totale (prevedibile) silenzio sull’identità di genere, che esclude la tutela delle persone trans, con un tale disegno legge i proponenti si sono gettati letteralmente la zappa sui piedi. Si ritrovano infatti tra le circostanze che vanno ad aggravare il reato anche «l’origine etnica, il credo religioso e la nazionalità» che, insieme con la razza, costituiscono aggravanti speciali già normate dalla legge Reale-Mancino e recepite dagli articoli 604 bis e ter.
Non si viene quindi solo a configurare un monstrum bicefalum sul piano giuridico con due norme che sembrano cozzare l’una con l’altra. Ma si offre, nondimeno, una minore tutela a chi subisce violenze e discriminazioni per origini etniche, nazionalità e credo religioso. Il che – l’ha capito questo l’opusdeiana Binetti? – sta facendo sobbalzare più di qualche vescovo (uno dei più agguerriti contro il ddl Zan mi ha detto lapidario a telefono: «Si stava meglio quando si stava peggio») ed esponente di comunità di altre religioni.
Sorvolando sulla chiara volontà ostruzionistica dei proponenti, che hanno a cuore il solo affossamento di un testo già approvato della Camera e che hanno sempre mostrato disprezzo per le rivendicazioni Lgbt+, il pasticciato ddl del centrodestra di maggioranza ha una sola evidenza palmare: è l’ennesimo tentativo di picconare quella legge Reale-Mancino, che è fumo negli occhi per Lega e parte di Forza Italia – come d’altra parte per Fratelli d’Italia e movimenti neofascisti extraparlamentari – e che da 28 anni le stesse forze politiche non riescono ad abrogare. Ma che un’ipotetica approvazione di un tale ddl invece modificherebbe secondo il brocardo: «Lex posterior derogat priori».