Il senatore Zan, la Senatrice Cirinnà e tutti gli oltranzisti del dogma della “identità di genere”, devono rispondere a questa domanda: si rendono conto che con la loro legge mandano in galera Caitlyn Jenner, noto transessuale americano, medaglia d’oro olimpica nel 1976 nel decathlon maschile prima del cambio di sesso e candidata Gop alla carica di governatore della California, e Marina Navratilova eccelsa tennista lesbica, che sostengono che nello sport l’identità di genere è né più né meno che una truffa che mortifica e penalizza le donne?
Secondo l’articolo 4 della legge Zan la risposta è inequivocabile: le manderebbero in galera, così come tutti gli italiani che la pensano come loro, perché l’una e l’altra hanno sostenuto tesi apertamente discriminatorie nei confronti delle donne e ragazze trans nello sport.
Caitlyn Jenner ha detto: «La partecipazione delle ragazze trans negli sport femminili non è giusta. È una questione di giustizia, per questo mi oppongo alla partecipazione nello sport femminile delle ragazze trans, ma biologicamente maschi. E dobbiamo proteggere gli sport femminili nelle nostre scuole».
Da parte sua Martina Navratilova ha scritto sul Sunday Times: «È ingiusto che le donne debbano competere contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini. Sono felice di rivolgermi a una donna transgender in qualsiasi forma preferisca, ma non sarei felice di competere contro di lei».
Come si vede, se si guarda allo sport, il bianco e il nero sulla questione del genere diventa meno impalpabile e scivoloso di quanto accade se si discute o discetta riferendosi alla sfera sessuale.
Nell’esercizio dello sport esistono solo uomini e donne, maschi e femmine, nessuna sfumatura, per una ragione reale, incontrovertibile, fisiologica: la massa muscolare, la struttura ossea e il sistema ormonale di chi è nato maschio, uomo, esprimono incomparabilmente più potenza e forza di quelle che può esprimere chi è nata femmina, donna. Il cambio di sesso, non modifica questa realtà dettata dalla natura. Nello sport si è uomo o donna. Niente terzo sesso e varietà soggettive.
Dunque, nello sport, «l’identificazione percepita di sé, anche se non corrispondente al sesso», base strutturale della teoria del genere, non può, non deve essere applicata. È necessario, la natura questo impone, discriminare per sesso di nascita. Se non lo si fa, si commette una palese, intollerabile, ingiustizia che per di più manda a catafascio tutta la struttura di base di tutte le attività sportive.
E questo non riguarda lo sport di élite, professionale, ma una platea di centinaia di milioni di studenti e giovani che praticano attività sportive e dunque partecipano a tornei e campionati.
Dunque, una delle basi concettuali del disegno di legge Zan, che ribadisce infinite volte nei suoi articoli il termine “genere” è fasulla, sbagliata e impraticabile. Ma ancor più grave e ingiusto è che chi sostiene, a ragione, che nello sport è indispensabile discriminare (secondo la Treccani: distinguere, separare, fare una differenza) tra donne e uomini, chi è nata femmina e chi è nato maschio, possa un domani essere condannato a pene detentive pesanti sulla base dell’articolo 4 della legge Zan.
Ma questo avverrà grazie alla insostenibile leggerezza dell’essere del pensiero di una sinistra progressista che ha scelto di inseguire pasticciate chimere.