Economia dell’attenzioneAnche i creatori di contenuti social saranno pagati (poco)

Ogni servizio in rete ha, da qualche tempo, il suo corrispettivo premium. Sempre più utenti in grado di convogliare interesse vengono ricompensati attraverso abbonamenti e sottoscrizioni. È un passo in avanti positivo per loro, ma un danno per la mentalità generale. Il concetto che qualsiasi espressione umana possa essere messa in vendita è diventato generale

di Nana Smirnova, da Unsplash

Tutto è cambiato cinque anni fa. Per l’esattezza quando le persone hanno cominciato a utilizzare il termine «contenuto» in maniera nuova, cioè consapevoli che, sui social, proprio quel «contenuto» poteva diventare una possibile fonte di guadagno.

È quello che sostiene il musicista e artista Leon Chang: in questo sottile, ma percettibile, passaggio, sta la differenza tra l’idea di un sito web libero, dove tutto può essere detto e diffuso alla più ampia platea possibile, e una piattaforma in cui le idee, le trovate, le immagini (perfino i meme!) sono diventate monetizzabili.

Non è un cambiamento da poco: come scrive questo articolo pubblicato dall’Atlantic, è un approccio più accurato della dinamica dei social. Gli utenti li utilizzano ma le piattaforme hanno bisogno di loro per tenere incollati gli altri utenti. Il risultato, sempre più diffuso, è che i creatori dei contenuti più originali hanno cominciato a lamentarsi di svolgere un lavoro gratuito, di contribuire all’arricchimento delle grandi aziende tech senza ricevere però una ricompensa adeguata.

A raccogliere le loro doglianze sono allora arrivati nuovi social, come Patreon (del 2013) o il più recente Substack, che hanno rotto un patto tacito e introdotto la sottoscrizione a pagamento. Il fenomeno OnlyFans, la piattaforma principale per i contenuti pornografici, offre canali a pagamento per seguire personalità più o meno famose (con 100 milioni di nuovi utenti). Consente anche di dare mance.

Di nuovo, il quadro è cambiato. Da Twitter a Instagram, anche i social tradizionali si sono adeguati alla nuova fase, prevedendo spazi e servizi speciali ottenibili solo a pagamento. Il primo ha inserito una “tip jar”, per gli utenti che accettano soldi da parte dei loro follower. Presto sarà disponibile anche la funzione bonus, in cui gli account più popolari potranno chiedere una sottoscrizione per accedere a tweet riservati. Instagram, dal canto suo, è dal 2018 che ha implementato la possibilità di mettere a pagamento le stories per i “Close Friends”. Esistono, in sostanza, versioni premium e a pagamento di ogni cosa. In questo contesto, chi crea contenuti viene ricompensato.

Ma, come sintetizza l’Atlantic, bisogna capire cosa succede – a livello di percezione – quando tutto ciò che ci passa per la testa, che sia utile, serio o divertente, non risulti più essere un’idea da condividere ma qualcosa che si possiede, si può mettere in vendita e monetizzare.

I “non-fungible-tokens”, del resto sono proprio questo. Contenuti digitali trasformati (non si sa come) in opere d’arte che possono essere messe in commercio. La celebre gif del gatto Nyan è stata venduta per 580mila dollari all’asta. Adesso alcuni pensano di vendere le NFT dei loro tweet migliori. E le dispute sulla proprietà intellettuale di nuovi concept inventati nelle chat-room di Clubhouse dimostrano che la logica sottostante porti a una conclusione definitiva: le espressioni umane, anche quelle più stupide ma di successo, sono in vendita.

È un nuovo capitolo dell’economia dell’attenzione, quella sorta negli ambienti social dove le informazioni (meglio: i contenuti) sono sovrabbondanti e le interazioni di maggior successo vengono premiate in termni monetari. Prima i guadagni erano appannaggio (solo) delle grandi aziende tech. Adesso c’è un piccolo esercito di utenti/creatori che riesce a prenderne una piccola (piccolissima) parte. Le briciole, insomma, che insieme a una sorta di copyright, vanno a compensare il loro lavoro intellettuale.

Le conseguenze di questa corsa all’oro digitale sono diverse. In primo luogo, sanciscono una vittoria definitiva della mentalità sottostante ai social network, in cui il contenuto e l’informazione sono (sempre e comunque) anche un mezzo per guadagnare. In secondo luogo mostrano che il successo non sarà deciso sulla base di criteri qualitativi ma sarà basato su diffusione e popolarità. Fa pensare – e pensare male – il fatto che l’ex parlamentare americano Anthony Weiner, uscito dalla scena politica per aver diffuso sui social le immagini delle sue parti intime, mediti di fare un NFT proprio del tweet incriminato.

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