Venerdì scorso sono stati presentati alla Camera dei Rappresentanti di Washington cinque disegni di legge per regolamentare in chiave di Antitrust l’attività delle Big Tech. Una premessa era stata lo scorso 6 ottobre, quando Amazon, Apple, Facebook e Google furono presi di mira in un rapporto di 449 pagine, redatto dopo una indagine di 16 mesi. «Per dirla in breve, le aziende che una volta erano piccole start-up un po’ caotiche che sfidavano lo status quo sono diventate l’equivalente di quei monopoli che avevamo visto per l’ultima volta nell’era dei baroni del petrolio e dei magnati delle ferrovie», denunciava il rapporto, in cui la parola chiave «monopolio» è ripetuta 120 volte.
Era soprattutto farina del sacco della maggioranza democratica alla sottocommissione giudiziaria della Camera sull’antitrust. Ma il successivo 28 ottobre gli amministratori delegati di Twitter Jack Dorsey, di Google Sundar Pichai e di Facebook Mark Zuckerberg furono convocati per testimoniare davanti al Comitato del Commercio del Senato, su quella «Sezione 230» che da una parte protegge le piattaforme tecnologiche dalla responsabilità dai post dei loro utenti, ma dall’altra consente loro di moderare e rimuovere i post che trovano discutibili. E a quel punto si è visto che il consenso poteva essere bipartisan, anche se per motovi molto diversi.
Per il secondo aspetto questo «scudo» è infatti attaccato dai repubblicani, che lo accusano di censurare contenuti non politically correct. Per il primo aspetto è invece attaccato dai democratici, che lo tacciamo di non riuscire a rimuovere con la necessaria prontezza contenuti di odio o discriminatori. Va pure ricordato che durante gli ultimi mesi del mandato di Donald Trump, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti aveva fatto causa a Alphabet di Google e la Federal Trade Commission a Facebook, accusandoli di aver violato le attuali leggi sulla concorrenza.
Il rapporto consigliava innanzitutto di chiarire le leggi esistenti, ma col tempo di farne anche di nuove. E con la partenza dell’Amministrazione Biden si è ulteriormente precisata la strategia studiata dal Rappresentante democratico del Rhode Island David Cicilline di spacchettare l’antitrust sul Big Tech in varie proposte di legge: appunto per poter più facilmente raggiungervi un consenso bipartisan, oltre che per rendere più complicate le contromosse delle società colpite. L’autorevole sito Axios ha usato la metafora di uno sciame di droni al posto di una grande corazzata, che sarebbe più facile da affondare.
Il primo pacchetto è infatti bipartisan, e viene presentato come la più grande revisione della legge antitrust dal primo ’900. I cinque Bill dovranno avere il via della Commissione Giustizia per poter passare al plenum, e se approvati dovranno essere approvati anche dal Senato, prima di diventare infine legge con la firma di Biden. Ma con appoggi in entrambi i partiti il percorso sarà evidentemente più facile. Obiettivo delle cinque proposte, le numerose piattaforme che le società Big Tech hanno implementato soprattutto nell’ultimo decennio.
Tra di esse la iOS di Apple, le piattaforme di ricerca e pubblicitarie di Google, il Marketplace di Amazon, i social media e le reti di messaggistica di Facebook. La legislazione proposta introdurrebbe cambiamenti radicali: sia nel modo in cui vengono applicate le normative sui monopoli; sia nel modo in cui le aziende gestiscono le loro piattaforme. In alcuni casi, verrebbe imposta una cessione. In altri, interoperabilità e la portabilità.
«In questo momento, i monopoli tecnologici non regolamentati hanno troppo potere sulla nostra economia», ha spiegato Cicilline. «Sono in una posizione unica per scegliere vincitori e vinti, distruggere le piccole imprese, aumentare i prezzi ai consumatori e mettere le persone senza lavoro. La nostra agenda livellerà il campo di gioco e assicurerà che i monopoli tecnologici più ricchi e potenti seguano le stesse regole del resto di noi». Con lui, co-sponsor del pacchetto è Lance Gooden, repubblicano del Texas, secondo cui «le grandi aziende tecnologiche stanno soffocando l’innovazione americana con il loro comportamento monopolistico». «Acquistando la lorio concorrenza ed eliminando le alternative sul mercato, stanno negando un accesso equo al libero mercato per le piccole imprese in tutto il paese».
Il primo dei cinque bill propone un American Choice and Innovation Online Act, che vieterebbe alle piattaforme di favorire i propri prodotti e servizi. Inoltre impedirebbe alle aziende di utilizzare dati privati per ottenere un vantaggio sulla concorrenza e impedirebbe loro di cacciare i concorrenti da una piattaforma o di danneggiare i concorrenti limitando la loro capacità di «accedere o interagire con la stessa piattaforma, sistema operativo, le funzionalità hardware e software disponibili per i prodotti, i servizi o le linee di attività dell’operatore della piattaforma coperta». Introdotto appunto da Cicilline e co-sponsorizzato da Gooden, il disegno di legge imporrebbe sanzioni significative alle aziende che non si conformano: la cifra più grande tra il 15% delle entrate giornaliere medie dell’azienda o il 30% delle entrate giornaliere medie della linea di attività incriminata.
L’iOS di Apple e i suoi legami con Apple Music sarebbero un obiettivo primario, ma anche Google, Facebook e persino Amazon sarebbero colpite. Garantendo l’interoperabilità, la normativa richiederebbe infatti a ciascun proprietario di piattaforma di aprire il proprio software ai concorrenti, per lo meno fino a un certo punto. Spotify ha citato in giudizio Apple all’Antitrust della Ue e sebbene Apple abbia lentamente consentito ai servizi musicali rivali di accedere a più servizi di sistema come Siri, non c’è ancora modo di soppiantare Apple Music come lettore predefinito. Anche il mercato degli annunci di Google ne risentirebbe. L’Ad Manager dell’azienda è già oggetto di un accordo con le autorità francesi garanti della concorrenza, secondo cui la piattaforma ha avvantaggiato ingiustamente i prodotti di Google.
Bill numero due, la proposta di un Ending Platform Monopolies Act è rivolta alle grandi piattaforme con almeno 50 milioni di utenti statunitensi attivi mensili e una capitalizzazione di mercato di 600 miliardi di dollari. Impedirebbe loro di possedere o gestire attività che le porterebbero a trarre vantaggio dai propri prodotti servizi o svantaggiare quelli dei loro concorrenti. Tra i potenziali trasgressori gli app store, ma anche gli scambi di annunci e i servizi di musica o video. Presentato dalla rappresentante democratica dello Stato di Washington Pramila Jayapal, anche questo Bill è co-sponsorizzato da Gooden.
Bill numero tre, l’Augmenting Compatibility and Competition by Enabling Service Switching. Proposto dalla repubblicana della Pennsylvania Mary Gay Scanlon, è co-sponsorizzato dal repubblicano dello Utah Burgess Owens. Richiederebbe piattaforme per garantire alcuni standard minimi di interoperabilità e portabilità dei dati e sembra essere rivolto a Facebook, vista la pratica impossibilità di trasferire i profili dei social media da una rete all’altra.
Bill numero quattro, il Platform Competition and Opportunity Act. Introdotto dal rappresentante democratico dello Stato di New York Hakeem Jeffries e co-sponsorizzato dal rappresentante repubblicano del Colorado Ken Buck, richiederebbe alle aziende che propongono fusioni o acquisizioni di dimostrare che non violano l’anti-trust prima di farle, piuttosto che imporre al governo di intervenire in seguito. Riguarda aziende con 50 milioni di utenti attivi mensili, o con oltre 100.000 venditori, o con almeno 600 miliardi di dollari di profitti attivi mensili o capitalizzazione di mercato di $ 600 miliardi. Con l’essere l’unico a includere «utenti aziendali» – o account venditori – questo Bill sembra rivolto in particolare al mercato di Amazon, con i suoi milioni di venditori di terze parti.
Bill numero cinque, il Merger Filing Fee Modernization Act è l’unico che si allinea con la legislazione bipartisan proposta al Senato. Il testo introdotto dal democratico del Colorado e co-sponsorizzato dalla repubblicana dell’Indiana Victoria Spartz è infatti simile a un disegno di legge del Senato presentato dalla senatrice democratica del Minnesota Amy Klobuchar e dal repubblicano dello Iowa Chuck Grassley. La legislazione aumenterebbe significativamente le tasse di deposito per le fusioni, indirizzando i soldi ai regolatori del Dipartimento di Giustizia e della Federal Trade Commission per rafforzare le loro capacità di supervisione antitrust.
Think tank vicini alle major colpite già manifestano perplessità. «L’adozione del modello normativo europeo renderebbe difficile per le aziende tecnologiche statunitensi innovare e competere sia qui che a livello globale», ha subito avvertito Geoffrey Manne: presidente e fondatore di un International Center for Law and Economics che in passato ha ricevuto finanziamenti da Google. «Se verranno approvate le nuove misure antitrust i consumatori perderebbero l’accesso a più di una dozzina di app popolari», spiega Adam Kovacevich: direttore esecutivo di una Chamber of Progress sostenuto tra gli altri da Amazon, Facebook e Google.
Ad esempio, Amazon non sarebbe più in grado di offrire la spedizione gratuita tramite il suo servizio Prime per determinati prodotti. E neanche sarebbe più in grado di offrire agli utenti i risultati più popolari nelle loro aree, Nemmeno sarebbe più possibile a Apple preinstallare quella applicazione che permette agli utenti di localizzare i propri telefoni o laptop in caso di smarrimento o furto.
Ma altre imprese come Roku o Spotify invece plaudono. Per il Chief Legal Officer di Spotify Horacio Gutiérrez si tratta di «un passo importante nell’affrontare il comportamento anticoncorrenziale nell’ecosistema dell’App Store e un chiaro segno che lo slancio è cambiato mentre il mondo sta prendendo il sopravvento. Rendersi conto della necessità di richiedere una concorrenza leale nell’economia delle app».