Sarà anche stucchevole come certe torte troppo zuccherose, ma è pur vero che a destra se le stanno inventando un po’ tutte, con un bel grado di confusione ma anche di vitalità, ed è ancora Silvio Berlusconi, alla sua età e con tutti i problemi fisici, ad alimentare la vecchia-nuova suggestione del partito unico della destra.
Si tratta di un obiettivo del tutto fuori misura, e infatti respinto da tutti, sia dentro sia fuori Forza Italia. Non è un obiettivo politico, nel senso di credibile, ma una suggestione che si può evocare di tanto in tanto. Da notare che si tratta dello stesso Berlusconi che qualche giorno fa aveva frenato, dopo un primo assenso, sulla proposta di federazione FI-Lega avanzata da Salvini.
Ma è troppo defatigante seguire la destra sull’ottovolante dei suoi assetti formali e organizzativi mentre più sostanziale ci pare il senso di questi movimenti: che sta nella voglia di apparire unita.
Che poi lo sia realmente, questo è un altro discorso, e non c’è dubbio che da quelle parti si reciti un gioco delle parti fingendo unità laddove è lotta a coltello tra Salvini e Meloni per l’egemonia sulla destra italiana. Silvio, da vecchio capocomico, probabilmente si è stancato di questa competition fra Matteo e Giorgia ma ci si deve rassegnare, essendo Forza Italia una piccola cosa a cospetto dei due grandi, peraltro un partito perennemente in bilico fra la tendenza riformista dei ministri Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta e berlusconiani di destra guidati da quell’Antonio Tajani che aveva anticipato la proposta del Cavaliere di un partito unico sul modello del partito repubblicano americano (auguri).
La cosa che balza agli occhi e fa una certa impressione è che questa spinta unitaria a destra, per quanto velleitaria, è l’esatto opposto della forza centrifuga che si sta accentuando a sinistra. Come negli specchi del luna park, la sinistra si guarda e vede la sua immagine disintegrata in tanti pezzi, e malgrado l’afflato unitario delle parole di Enrico Letta, nei suoi primi mesi di leadership nulla si è mosso, e certo non solo per sua responsabilità. Ma se si è giunti al punto che i militanti democratici preferiscono Meloni a Renzi vuol dire che si è ripiombati nello schema lugubre degli anni Venti del secolo scorso, quando per i comunisti il nemico principale erano i riformisti e non i fascisti.
E la competizione interna al progressismo nelle città che andranno al voto in ottobre certo non aiuta: a Bologna è in corso una virulenta campagna del gruppo dirigente dem contro l’intrusa Isabella Conti di Italia viva, mentre a Roma Roberto Gualtieri e Carlo Calenda se le danno di santa ragione, e se sabato le primarie romane saranno un flop l’aria sarà ancora più pesante. Attenzione, perché nella Capitale la destra sta marciando unita, sia pure dietro a questo Enrico Michetti che anche ieri a Omnibus su La7 non ha saputo esporre un ricetta che fosse una.
Ma la realtà di queste ore, mentre a destra godono, pone una domanda, e cioè se non stia arrivando il momento di una presa di posizione chiara, di respiro, da parte di tutti i capi e capetti dell’arcipelago progressista per uscire dallo stagno della litigiosità.