Massimiliano Cencelli impallidirebbe di fronte agli algoritmi che si stanno adoperando in casa grillina per darsi una struttura di vertice decente. Cencelli, l’oscuro funzionario della Democrazia cristiana che s’inventò un meccanismo matematico per comporre gli organismi del partito e persino gli incarichi di governo in base al peso delle varie correnti e sottocorrenti dello Scudo crociato, oggi sarebbe molto utile a Giuseppe Conte e Luigi Di Maio.
I due sono, appunto, alle prese con la formazione di un board, come lo chiama il provinciale Conte, cioè un comitato politico o segreteria che dir si voglia e di una Assemblea nazionale o come si chiamerà.
Il vertice composto dall’avvocato sarà abbastanza ristretto ma comunque comprensivo delle varie “anime” di un Movimento alle prese con una crisi di identità che al confronto l’Ulisse di James Joyce era una barzelletta. Ieri Repubblica ha scritto che il “politbjuro” grillino sarà di sei persone, ma che per accontentare tutti il numero potrebbe salire: di certo non sarà una squadra tutta “contiana”. E d’altronde come potrebbe esserlo, stante l’impazzimento delle correnti ormai brulicanti di tensioni interne?
E dunque, a quanto è possibile ricostruire, il Grande Compromesso fra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio (che sin qui è stato il vero capo politico del Movimento e senza il cui placet l’operazione-Conte forse non sarebbe partita) consiste nel più banale degli accordi: l’ex presidente del Consiglio sarà il leader, ma l’egemonia nel gruppo dirigente ristretto sarà appannaggio del ministro degli Esteri.
Nel board dunque i dimaiani saranno i più rappresentati, seguiranno i contiani e gli amici di Roberto Fico. Più qualche “indipendente” che in questi casi serve sempre. Ma quando si parla della corrente di Di Maio – precisazione che vale anche per quella di Conte – bisogna tener presente che esistono delle divisioni interne: per capirci, della “sinistra dimaiana” è Riccardo Fraccaro, della “destra dimaiana” è Laura Castelli, che molti indicano in questa fase come l’esponente più forte del Movimento, dopo Giuseppe e Luigi.
Mentre il presidente della Camera potrebbe indicare il fedelissimo Giuseppe Brescia o forse il ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D’Incà. Non è ancora chiaro chi sia realmente vicino a Conte. Appoggiato da tutti, perché effettivamente continua a essere il politico più popolare del Movimento e dunque – inutile nasconderlo – provvidenziale zattera di salvataggio per tanti personaggi rimasti senza una collocazione precisa (esempio, Paola Taverna), l’unico che veramente può dirsi “contiano della prima ora” è quel Rocco Casalino che è già rientrato in pista alla guida della comunicazione di entrambi i gruppi parlamentari (con doppio emolumento), che è come dire che ha il possesso della stanza dei bottoni, tanto più dopo il divorzio dalla Casaleggio Associati.
A questo proposito sarà interessante vedere come funzionerà il nuovo meccanismo di votazione da parte della base, che in ogni caso dovrà esprimere a sua volta qualche rappresentante nel board (ma come?) e capire se la rottura con la Casaleggio Associati ha provocato qualche serio problema di rapporto con la base del Movimento.
Per quanto riguarda Vito Crimi, il non indimenticabile traghettatore fra il precedente capo politico (Di Maio) e il prossimo (Conte), anche se non entrerà direttamente nel vertice pentastellato è probabile che in qualche modo gli venga riconosciuto un peso, così come a Stefano Buffagni, altro ex uomo forte caduto un pochino in disgrazia.
Resta fortissimo il ruolo di Beppe Grillo. Pur preso da tutt’altre vicende familiari che hanno lasciato il segno, è lui che decide o comunque stampa l’imprimatur sulle decisioni che contano: e così, per esempio, è stato Grillo a bocciare una prima ipotesi formulata dall’avvocato a proposito del divieto del doppio mandato, giudicata troppo blanda.
Conte sta cercando un arzigogolo formale per consentire che il divieto possa essere aggirato in tantissimi casi, ma probabilmente non basterà l’invenzione bislacca della categoria dei “meritevoli” per infrangere il tabù del doppio mandato. Non si capisce quando verrà presa una decisione definitiva, su questo punto come su tutto il resto. L’ex premier vuole chiudere in fretta, ma i nodi non sono pochi.
Dal punto di vista della linea politica, si è già capito che Giuseppe Conte non vuole dare fastidio a nessuno e piano piano vuol rimontare la china per un Movimento 5 Stelle che ormai anche secondo i sondaggi ha più che dimezzato i consensi ottenuti nel 2018. Ma cosa concretamente voglia fare, al di là dei bla bla su riconversioni ecologiche e democrazia dal basso, non lo ha ancora capito nessuno.
Un partito né di destra né di sinistra, secondo i dettami della tradizione trasformistica, se non reazionaria. Un partito aggrappato al potere che ai toni sudamericani di Alessandro Di Battista ha sostituito il doroteismo di Conte e Laura Castelli. Che non riesce a chiudere accordi politici non perché, come un tempo, geloso della sua diversità ma perché ormai nemmeno il Partito democratico se lo raccatta.
Ed è in questo vuoto di idee e di iniziativa politica che Luigi Di Maio continuerà a controllare il Movimento e a fare il king maker di qualunque operazione: una specie di Franceschini grillino. Ma il tempo non gioca a favore di un partito che ha smarrito il senso di cosa deve essere, per se stesso e per l’Italia. Uscire da una crisi di identità non è facile per nessuno, tantomeno per un organismo collettivo complesso e particolare come il Movimento, nato per fondare una nuova koiné politica e finito per ricorrere a Massimiliano Cencelli, la più grande nemesi che la storia politica ricordi.