Diseguaglianze formativePer i poveri in Cina l’istruzione è sempre più inaccessibile

Le università più importanti del Paese hanno quote sproporzionate di studenti provenienti dalle fasce più ricche della popolazione: il 75% dei bambini cresciuti in zone urbane va all’università, il 15% tra quelli delle zone rurali. Un articolo dell’Economist spiega che l’hukou, un sistema di certificazione di residenza, ha contribuito ad esasperare la polarizzazione

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Le università di tutto il mondo negli ultimi anni hanno visto crescere le iscrizioni di studenti cinesi. È un fenomeno in espansione soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, con l’Italia spesso in cima alle preferenze. Del resto, come segnalava l’Istituto di studi di politica internazionale, almeno prima della pandemia, si registrava una crescita sensibile degli studenti cinesi iscritti nei nostri atenei: «Nel corso dell’ultimo decennio gli studenti provenienti dalla Repubblica Popolare sono raddoppiati e, per alcune università, addirittura quadruplicati». Il rischio, però, è che la pandemia possa aver frenato alcuni studenti, provocando un calo sensibile nella domanda proveniente dall’estremo oriente.

In un articolo dello scorso febbraio, invece, avevamo raccontato il timore degli Stati Uniti riguardo una possibile presenza di spie cinesi tra gli iscritti negli atenei del Paese: Washington teme che, comportandosi da agenti segreti al servizio di Pechino, studenti e ricercatori approfittino della loro posizione per rubare segreti su scoperte scientifiche, brevetti e informazioni da passare alla madrepatria.

Le università di Pechino e del resto della Cina, invece, negli ultimi anni presentano altre criticità. È vero che dal 1998 – quando il Paese ha visto un’enorme espansione delle iscrizioni universitarie – il numero di studenti ammessi ogni anno è quadruplicato fino a quasi 10 milioni, e circa un terzo degli studenti delle scuole superiori oggi si iscrive a corsi di laurea.

Ma la crescita in valore assoluto non ha portato a una diffusione omogenea all’interno della popolazione: l’aumento degli iscritti porta con sé una maggior polarizzazione, con un aumento sensibile – di breve e lungo periodo – delle disuguaglianze.

«I dati sono frammentari, ma gli esperti concordano sul fatto che la quota di studenti provenienti da aree rurali nelle migliori università cinesi (l’1% migliore) si sia ridotta. Solo lo 0,3% degli studenti provenienti da zone rurali ci riesce, contro il 2,8% di quelli che vengono da aree urbane», scrive l’Economist in un’analisi pubblicata pochi giorni fa.

L’articolo del settimanale britannico si apre con un aneddoto che aiuta a inquadrare l’argomento: Xiong Xuan’ang è figlio di diplomatici e nel 2017 è stato lo studente che ha ottenuto il miglior punteggio nell’esame di ammissione all’università nel 2017; quando è stato intervistato dai media di Pechino ha riconosciuto di essere stato in qualche modo avvantaggiato, sapeva che la sua istruzione è quella che può permettersi solo una parte privilegiata della popolazione. «I ragazzi che hanno ottenuto i migliori punteggi all’esame provengono da famiglie benestanti. Sta diventando molto difficile per gli studenti delle aree rurali entrare in buone università», aveva detto Xiong Xuan’ang.

In tutto il mondo gli studenti provenienti da famiglie povere hanno più difficoltà a tenere il passo di quelli provenienti dalle famiglie più ricche. Ma in Cina il divario è particolarmente evidente.

Secondo l’Economist la causa principale è il sistema hukou: un sistema di certificazione di residenza che include informazioni identificative e dati personali. Il modello ha origine nell’antica Cina imperiale, ma l’attuale sistema hukou fu istituito nel 1958 con l’obiettivo di distinguere la popolazione cinese rurale da quella urbana, quindi i lavoratori delle Comuni agricole da quelli delle “Unità di Produzione” cittadine.

«Il sistema hukou rende molto difficile l’accesso gratuito ai servizi forniti dallo Stato al di fuori del luogo in cui è registrato il proprio nucleo familiare. Questo significa che nelle città i figli dei migranti provenienti dalle campagne sono solitamente esclusi dalle scuole statali locali. Devono frequentare corsi privati scadenti a pagamento, oppure andare al villaggio dei genitori per un’istruzione gratuita ma anche piuttosto scarsa», scrive l’Economist.

Ai problemi legati alla scuola subentrano quelli universitari. Anzi prima c’è l’assegnazione dei posti all’università: in Cina le migliori università sono concentrate nelle città più grandi e ricche come Pechino e Shanghai, e hanno un numero enorme – sproporzionato – di posti riservati agli studenti con hukou locali.

Le due università più prestigiose della Cina, l’Università di Pechino e la Tsinghua, sono nella capitale. Il loro tasso di accettazione è di circa l’1% per gli studenti locali, ma solo un decimo di quello per i candidati provenienti da altri luoghi.

Ogni anno vengono ammessi a Tsinghua più studenti provenienti da Pechino rispetto al numero combinato di candidati ammessi da Guangdong e Shandong, ma la popolazione di queste due province è dieci volte più numerosa di quella di Pechino.

Non è un fenomeno che si è verificato negli ultimi anni, o frutto dell’ultima crisi. Già nel 2015 un report della Tsinghua e della Stanford University aveva rivelato che gli studenti con hukou nelle contee più povere avevano sette volte meno probabilità di ottenere un posto universitario e 14 volte meno probabilità di frequentarne una d’élite rispetto a chi aveva un hukou migliore. E numeri erano ancora meno incoraggianti per le donne e le minoranze etniche.

Complessivamente, il 75% dei bambini cresciuti in zone urbane va all’università. Un dato che precipita al 15% per le zone rurali, solo che in questi territori si concentra quasi l’80% dei bambini sotto i 14 anni.

«Le disuguaglianze – scrive l’Economist – stanno diventando sempre più pronunciate. I figli delle famiglie benestanti hanno accesso alle migliori scuole, oltre che al doposcuola e alle attività extracurriculari. La Cina offre nove anni di istruzione obbligatoria gratuita, ma le tasse sono riscosse nelle scuole secondarie superiori statali. Nelle aree povere, gli oneri possono ammontare a più dell’80% del reddito netto pro capite delle famiglie, uno dei più alti oneri al mondo per le tasse universitarie. Alcuni studenti preferiscono iniziare a lavorare: un operaio di fabbrica medio può guadagnare in un mese quello che guadagna un povero contadino in un anno».

Le disuguaglianze sono cresciute nonostante l’inserimento di nuovi criteri e altre opzioni per accedere all’università. Al contrario, questi hanno avuto l’effetto opposto: nel 2003 la Cina ha iniziato a consentire ad alcune università di iscrivere studenti che ottengono risultati importanti nello sport e nell’arte, ma questo ha aumentato ancora di più la polarizzazione e ancora una volta i ricchi sono stati i principali beneficiari. Perché solo i più ricchi possono permettersi di pagare la formazione necessaria per seguire un corso da seguire nel tempo libero.

Ma i problemi non finiscono al test d’ingresso. «Quando gli studenti provenienti dalle fasce più povere della popolazione – si legge sull’Economist – riescono a entrare nelle università d’élite spesso si sentono socialmente isolati. Nel 2020 uno studente di campagna si è rivolto ai social media per descrivere di essere “perso e confuso” all’università dopo aver lasciato l’ambiente semplice della scuola: più di 100mila studenti, molti dei quali provenienti da zone rurali, hanno partecipato condividendo le proprie esperienze, dicendo sentirsi disadattati e lamentandosi delle proprie prospettive di lavoro. Hanno coniato un nuovo termine in cinese: xiao zhen zuotijia, che significa “nerd di piccola città”».

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