Era arrivata sull’orlo del fallimento, colpita e affondata dalla pandemia. Con le restrizioni ai viaggi (sia di lavoro che di piacere), i voli bloccati e le persone chiuse in casa, per la Hertz la situazione sembrava segnata.
A marzo 2020 i ricavi erano crollati, il fatturato era sceso del 73% e soprattutto, il parco automobili, più di 500mila, finanziato attraverso società veicolo, minacciava di creare una voragine nei conti. I mezzi erano stati utilizzati come collaterali in cambio di prestiti specifici, ma nelle condizioni dei creditori era stato stabilito che, se le auto avessero perso valore, sarebbe toccato alla Hertz di rimettere liquidità in queste società veicolo. Risultato: ad aprile la società si trovava nella situazione di dover rifinanziare 100 milioni di dollari. Meglio il fallimento, a quel punto.
È lì che il boss, Carl Icahn, si sfila, vende la sua quota e perde circa due miliardi. Gli obbligazionisti erano disperati, il futuro sembrava nero e la prospettiva di dover dismettere tutta la flotta di automobili sembrava sempre più vicina.
Quella della Hertz, che passa dal precipizio (2020) al salvataggio inaspettato (2021) è – come spiega questo articolo del Financial Times – una storia simbolo dell’America e dell’economia americana. Frenata all’improvviso dal Covid, rimbalza dopo un anno, grazie all’intervento combinato del Tesoro e della Fed e, più di tutto, di una campagna vaccinale efficace.
Nel suo momento peggiore, cioè pochi giorni prima della presentazione di istanza di fallimento, aveva cercato di vendere azioni (era diventata popolare nel mercato retail, soprattutto tra i piccoli investitori di Robinhood), mossa subito bloccata dai controlli del regolatore. La Hertz si trova così obbligata a chiedere un prestito di 1,65 miliardi, con un interesse del 10%.
A questo punto entra in scena colui che, secondo il Financial Times, è il vero deus ex machina della situazione. L’avvocato Thomas Lauria, dello studio White & Case era il vecchio legale dell’azienda. Noto per il suo approccio aggressivo e creativo, era stato chiamato per affrontare – in qualche modo – anche l’ora più buia della società. È alla sua furbizia che, alla fine, la Hertz dovrà la sua elegante salvezza.
A giocare un ruolo fondamentale, poi è l’atmosfera più tranquilla che permea la primavera 2021. Con il Covid (perlopiù) alle spalle, le previsioni finanziarie per il futuro di Hertz diventano più buone. L’utile operativo, tra il 2021 e il 2023, sarebbe migliorato sette volte. È a quel punto che Andrew Glenn, un altro avvocato esperto in fallimenti, decide che il momento di investire e va a bussare alle porte dei fondi. Gli azionisti Hertz, dati per spacciati, forse possono salvarsi.
E così a inizio marzo 2021, a un anno dal crollo, Lauria firma un accordo (basato su queste proiezioni) con due imprese di investimento: Knighthead Capital e Certares, che valutarono la società 4,9 miliardi di dollari. Una cifra impensabile solo qualche mese prima, quando la Hertz stava già stringendo accordi per vedere circa 200mila automobili. Secondo l’accordo ogni obbligazionista junior avrebbe avuto 70 centesimi per ogni dollaro in cash, oppure avrebbe avuto la possiiblità di acquistare equity della nuova Herz. Gli azionisti, invece, non avrebbero avuto nulla.
È a quel punto che il motore della Hertz si riaccende. Il mercato incomincia a interessarsi e alcuni investitori, interessati dalle conseguenze dell’accordo, cominciano a fare qualche calcolo. Con i bond in risalita anche il resto si sarebbe rivalutato. E così, oltre al successo delle azioni (uno solo come Eric Parkinson, un investitore retail che si paragona a George Soros, ne ha accumulate ben 67mila) anche nuovi acquirenti interessati cominciano a farsi avanti. Alla fine, sul tavolo, sono in due: oltre ai già citati Knightead Capital insieme a Certares, ecco la cordata composta dal miliardario texano Tom Dundon, esperto in prestiti subprime sulle automobili e da due società di private equity, Centerbridge e Warburg Pincus, che avanzano un’offerta di 5,5 miliardi di dollari ad aprile 2021.
Il duello, amministrato con astuzia da Lauria, comincia qui. Anziché perdere tempo in una serie di offerte e controfferte, con ripicche e ritiri (a luglio la Hertz voleva uscire dalla situazione di fallimento) viene fissata una data per l’asta. E, nonostante tutti i componenti fossero di New York, la sede della trattativa è l’ufficio di Miami di White & Case (ma per portarsi a casa il gigante Hertz una trasferta è il minimo. Con la particolarità che, per quasi tutti, si trattava della prima in presenza da 14 mesi. In sé un piccolo evento, ma molto simbolico).
Ognuna delle controparti si prepara per la battaglia. Centerbridge e gli altri si alleano con con gli obbligazionisti junio, tra cui figurano JPMorgano, DE Shaw e Fidelity, tutti desiderosi di partecipare alla ristruttrazione della società. Gli avversari di Knighthead invece marciano insieme ai fondi radunati da Andrew Glenn, tra cui Apollo Global Management, il gigante. La loro offerta prima della gara era di 300 milioni per gli azionisti, cioè due dollari ad azione.
Il giorno dell’asta, tra offerte e controfferte, finisce nel caos – un caso orchestrato da Lauria, che tra i pochi partecipanti è l’unico tranquillo – i tempi si allungano, le posizioni non si smuovono. A mezzogiorno del giorno successivo arriva l’ultimatum: l’ultima e migliore offerta possibile. A spuntarla, alla fine, è proprio Knighthead. Un’offerta di oltre 7 dollari ad azione, pari a un miliardo e 150 milioni cash (Centerbridge si era fermata a 5 dollari e 39 ad azione, per un totale di 841 milioni). Il piano è di cancellare cinque miliardi di debiti legati al ramo europeo di Hertz e immettere nuova liquidità per oltre 2,2 miliardi.
Al termine dell’accordo, Lauria era soddisfatto («Ho dovuto impiegare ognuna delle cellule del mio cervello, insieme a 35 anni di esperienza, per arrivare a questo)». La Hertz era salva. E alcuni dei partecipanti (quelli sconfitti) partivano senza nemmeno aver effettuato il check-in in albergo.