Se esaminiamo la storia dell’umanità negli ultimi duemila anni, vediamo che epidemie e pandemie sono sempre apparse e scomparse. Almeno in termini statistici, non è un avvenimento del tutto imprevedibile.
L’imprevedibilità riguarda piuttosto il quando e il come. Le conseguenze delle pandemie, per quanto concerne gli specifici effetti economici e finanziari (e non quelli biologici), dipendono dai modi in cui l’opinione pubblica è indotta a reagire sia in termini di comportamenti sia per quanto riguarda gli stati d’animo indotti.
Se si pensa alle pandemie degli ultimi duemila anni, si può avere un sistema di riferimento sintetico sull’entità dei fenomeni perniciosi che si sono succeduti nei secoli.
Per esempio, ricordo molto bene la cosiddetta «asiatica» del 1957-1958 perché me la presi e stetti un mese a letto, con febbre molto alta nelle prime due settimane: avevo quindici anni. Eppure la vita della famiglia andò avanti come prima.
Mio padre si recava regolarmente al lavoro nello stabilimento che dirigeva e così ci andarono anche migliaia di operai, anche se molti si ammalarono e rimasero a casa. Allora non c’era, di fatto, una tv popolare, perché la tv era nata da poco. I giornali cartacei erano più letti di oggi ma non diedero troppo peso alla notizia.
A casa ero considerato uno dei tre figli con un’influenza, l’«asiatica», più forte del solito (ero malaticcio da giovane), non una vittima di una pandemia eccezionale. È curioso che l’attrice Stefania Sandrelli, anche lei ammalatasi, abbia un ricordo della sua famiglia e dell’«asiatica» simile al mio.
Ovviamente la situazione del 1957-1958 e quella di adesso non sono confrontabili. Troppe cose sono cambiate. Non solo il sistema delle informazioni è più martellante, pervasivo e invasivo; oggi abbiamo anche la diffusa consapevolezza della natura globale della pandemia in un mondo più interconnesso e quindi più vulnerabile.
Tale stato di cose ha creato un contagio delle paure e, di qui, l’effetto molla nella reazione dei mercati finanziari. Questi ultimi sono molto più correlati di un tempo e tendono a muoversi in modi che rendono difficile attutire gli effetti tramite la diversificazione sulle principali borse mondiali. Di queste cose si è già parlato.
Occupiamoci invece di come potrebbe essere la ripresa. Prevedere tempi e modi della ripresa economica non è facile: dipende dall’affievolirsi del virus e dalla rapidità della sua estinzione. Questa, a sua volta, non è facile da prevedere perché è subordinata all’efficacia di farmaci e vaccini.
Le previsioni corrette si devono fare estendendo il presente e allargandolo non solo al futuro ma anche al passato, per creare quel presente esteso di cui abbiamo parlato.
Se usiamo questa tecnica prospettica, assistiamo al forte rialzo dei treasury statunitensi, con i più che prevedono rendimenti molto bassi per molto tempo. I gestori di alcuni importanti fondi obbligazionari si sono visti costretti a ricorrere a titoli non quotati per ottenere rendimenti discreti. E tuttavia questa scelta si è rivelata in alcuni casi azzardata, anche se razionale in senso astratto, portando a effetti collaterali negativi in termini di reputazione, effetti con un riverbero purtroppo ben superiore al danno oggettivo.
Tutti i titoli sicuri hanno rendimenti nulli o pressoché nulli e questo induce molti risparmiatori a considerare le azioni come l’unica possibilità profittevole, the only game in town, per citare il titolo di una famosa canzone.
Le azioni, invece, hanno tratto beneficio dall’enorme massa di liquidità immessa dalle principali banche centrali e si può prevedere che questo trend, tra alti e bassi, continuerà. Il vero oggetto di discussione, dopo il rimbalzo, è oggi l’andamento futuro dei mercati azionari.
Le previsioni, come si è detto, sono molto variabili in funzione degli esperti interpellati e dei modelli previsionali utilizzati. Si tocca qui con mano il paradosso delle previsioni in campo finanziario.
In tale ambito le previsioni funzionano in modo diverso da quello con cui sono utilizzabili in rapporto a molti altri fenomeni, per esempio il clima, l’inquinamento, la meteorologia, i risultati delle competizioni sportive e così via. Pur trattandosi spesso di fenomeni causati dai comportamenti umani, in genere le previsioni a breve termine sono in tutti questi ultimi casi più facilmente accurate rispetto alle previsioni sul medio termine, e cioè su un futuro più esteso. E queste ultime, a loro volta, sono più facili da fare di quelle a lungo termine, su un futuro cioè ancora più esteso.
Di qui quello che possiamo chiamare il «paradosso delle previsioni» in campo finanziario, in particolare sull’andamento delle borse. Le persone vorrebbero sapere quello che succederà di qui a un mese, se non nella prossima settimana. Le previsioni su cui si trovano accordo e coerenza nei giudizi sono invece quelle a più lungo termine. E tuttavia molti, poco accorti, non sanno che farsene, di queste previsioni a lungo termine. Vorrebbero sapere che cosa succederà in ambiti temporali più ristretti perché purtroppo non sono stati capaci di costruire un presente esteso.
Potremmo dire che riguardo alle previsioni c’è un paradosso nel paradosso che concerne i mercati finanziari.
Se dovessimo scegliere tra la possibilità di avere previsioni molto accurate di giorno in giorno, di settimana in settimana e di mese in mese e la possibilità di avere previsioni accurate di anno in anno o di biennio in biennio, o, addirittura, di quinquennio in quinquennio, sono queste ultime, quelle «lunghe», che dovremmo preferire.
Esse ci permettono di fare scelte efficienti sui tempi lunghi non badando alle oscillazioni giornaliere, settimanali o mensili. Oscillazioni che troppo spesso ci inducono a credere di poter controllare l’andamento erratico sul breve termine. Ma questa è un’illusione.
Consideriamo, per esempio, il ventennio dal 1993 al 2013 di cui ci ha parlato Carlo Benetti (2020) in un bellissimo intervento sull’illusione di abilità. Anni generosi per gli investimenti piazzati a lungo termine in Usa: diecimila dollari investiti nell’indice sarebbero diventati quasi sessantamila. E tuttavia: togli da quei vent’anni i dieci giorni migliori, ecco che il risultato si dimezza. Togli poi gli altri migliori quaranta giorni e il guadagno si trasforma nella perdita di quasi mille dollari.
Lo stesso ragionamento funziona anche sul breve termine: consideriamo il quadrimestre da marzo a giugno 2020. Se eliminiamo i cinque giorni migliori, lo S&P500 avrebbe avuto una perdita del 30%. «Si tratta di simulazioni – osserva giustamente Carlo Benetti – che danno sostanza ai concetti di lungo termine e di capitali pazienti». E tuttavia, soprattutto, dimostrano l’importanza della consulenza. Anche qui il mondo degli investimenti funziona in modo diverso da altri mondi.
Spontaneamente viene da pensare che un consulente «consigli» di agire e di prendere una decisione seguendo il percorso migliore. Il periodo marzo-giugno 2020 mostra invece che la funzione principale del consulente sarebbe stata quella di indurre il cliente a non fare nulla, ad avere pazienza, a utilizzare un presente esteso.
Non è facile perché una persona, quando è preoccupata, è indotta ad agire. Quando le cose vanno male, sente che deve fare qualcosa per evitare che le cose vadano peggio. In questi scenari turbolenti, è importante avere un consulente che funga da angelo custode e che «dia sostanza ai concetti di lungo termine e di capitali pazienti».
da “Oltre il tempo presente. Consigli su come investire dopo la pandemia”, di Paolo Legrenzi, Guerini Next, 2021, pagine 208, euro 18,50