Una rappresentazione dell’estate, una storia di amicizia particolare, una fiaba frizzante e senza troppe pretese ambientata sulla costa ligure. “Luca”, l’ultimo film della Pixar, è tutto questo e, forse, qualcosina di più.
Il protagonista (Luca, appunto) è un giovane mostro marino che vive con la famiglia nelle acque del mar Ligure. Fa il pastore di pesci e ha una curiosità sconfinata per il mondo della superficie, dove non può andare perché – dicono i genitori – è pericolosissimo. Come è ovvio, violerà il loro divieto e spinto dall’amico Alberto, anche lui una creatura del mare, andrà sulla terraferma. La magia vuole che, usciti dall’acqua, le creature marine assumano sembianze del tutto umane, ma questo non impedirà a Luca e al suo amico di cacciarsi nei guai.
È vero: gran parte del film, come hanno osservato da più parti, è un déja-vu disneyano. I protagonisti acquatici che escono in superficie (Sirenetta) o trasgrediscono gli ordini dei genitori, che poi li cercano (Nemo) sono ormai un topos. Ed è anche vero che, rispetto ad altre produzioni Pixar, dall’ultimo “Soul” a “Inside Out”, non ci sono grandi temi trattati in modo sorprendente e originale.
È una fiaba semplice e tradizionale, ma delicata: all’amicizia dei due ragazzi/mostri marini cui si aggiunge, a fare un terzetto, quella della ragazza/ragazza Giulia, che passa le estati nel villaggio e aiuta il burbero padre pescatore, mentre il resto dell’anno sta con la madre a Genova. E dal confronto con una realtà diversa si snoda una storia di tolleranza, accettazione e scoperta.
Del resto, è tradizionale e delicata anche l’ambientazione di “Luca”. Il fittizio villaggio di Portorosso (crasi tra Porto Venere, o Portofino, e Monterosso al Mare), in cui si snoda gran parte dell’azione, è una rappresentazione stereotipata dell’Italia che piace tanto agli stranieri.
Il regista Alberto Casarosa (anche lui ligure, ma trasferito da anni in America) non ha tralasciato nulla. È partito dai gelati ed è arrivato fino alla pasta, in tutte le sue forme possibili, passando per Pinocchio, il cinema italiano, il mito della Vespa, che in quanto sinonimo di libertà fa sognare i due ragazzini. Anche il sospettoso gatto di Giulia non per niente si chiama Machiavelli. Anche l’epoca è importante: sono gli anni ’50/’60, la vita scorre placida, interrotta soltanto dagli avvistamenti (cui non crede nessuno) di mostri marini e dalla Portorosso Cup, una gara di triathlon in cui si deve nuotare, andare in bici e… mangiare pasta.
Se le tribolazioni dei tre amici, perseguitati dal cattivo Ercole Visconti (doppiato da Saverio Raimondo sia in italiano che in inglese) appaiono superficiali – anche se a conti fatti non è poi così vero visto che emarginazione, paura, fedeltà e tradimento sono tutti presenti – è perché “Luca” racchiude in un’ora e mezza l’atmosfera incantata delle amicizie estive, immediate e semplici, passate tra lunghi pomeriggi di giochi in mezzo al sole e ai sogni.
È anche per questo che i cliché sull’Italia non disturbano – fanno anzi sorridere – mentre scorrono vicoli in pietra ripidissimi, tramonti luminosi e riflessi sull’acqua perfetti. Portorosso e, per esteso, “Luca”, non è una realtà inesistente, non affronta questioni ma un paese remoto, quanto le gioie e le sofferenze (entrambe assolute e totali) delle amicizie da ragazzini.