Nessuno si aspetta Suzanne Maretto. Neppure io, che pure penso a lei almeno una volta a settimana. Persino io, quando ho letto che il bambino disperso in Toscana era stato ritrovato da un inviato della Vita in diretta, ho sbuffato. Uffa, Suzanne Maretto l’avrebbe tenuto lì agonizzante in diretta, e questo invece è corso a chiamare i carabinieri – così dicevano le prime cronache. Poi è arrivato il pomeriggio, e con esso Suzanne.
In “Da morire”, prima romanzo di Joyce Maynard e poi film di Gus Van Sant, Suzanne farebbe qualunque cosa pur di diventare una della televisione. La sua ambizione non conosce etica, la sua determinazione non conosce argini.
Al Tg1 dell’ora di pranzo, ieri, l’inviato che aveva ritrovato Nicola Tanturli veniva definito «un giornalista della Rai»: erano gelosi d’uno scoop non fatto da loro? Nelle ore successive, iniziavano a uscire articoli che segnalavano i buchi di sceneggiatura.
Il bambino era stato messo a letto alle 19, e i genitori si erano accorti della sparizione solo a mezzanotte, e avevano dato l’allarme solo la mattina dopo. Per peggiorare la propria reputazione presso i genitori apprensivi che sono maggioranza non esattamente silenziosa, dicevano cose come «pensavamo si fosse addormentato nei campi». Per una madre di città che non manda il figlio da solo alla scuola all’angolo, un bambino di meno di due anni che esce di casa di sera e forse s’addormenta nei campi è fantascienza.
Perdipiù, il bambino nelle immagini del ritrovamento aveva le scarpe: chi gliele aveva infilate? Era forse l’unico men che duenne che si sapesse mettere le scarpe da solo? Era montessoriano? E le tracce di sangue sulla porta? E in fondo al burrone come ci era arrivato?
Insomma, fitto era il mistero, ma per fortuna sono arrivate le cinque, è arrivata La vita in diretta, è arrivata la determinazione a riportare l’attenzione là dov’era giusto stesse: sull’eroico inviato.
Con la sua camicia – rossa, di lino, con colletto alla coreana – aperta sul petto, ecco «Giuseppe» (lo chiamavano tutti per nome, così come Tanturli era sempre e solo «ilpiccoloNicola», vedi mai ci dimenticassimo che non è un adulto, vedi mai venisse meno il ricatto partecipativo, la commozione, l’infanzia in pericolo, il Vermicino in sessantaquattresimo).
«Ho iniziato a scendere, sono scivolato, mi sono rialzato […] ho parlato ad alta voce prima di sentire la sua voce, io in quel momento parlavo […] ho intravisto il bambino ed ero da solo, è stata un’emozione davvero forte». Sembrava quel favoloso apocrifo che, trent’anni fa, Michele Serra scrisse di Oriana Fallaci: «Fuori cadeva, lentissima, una pioggia lercia. Vomitai: una, due, tre, quattro volte».
Vanno le immagini, che il sobrio conduttore Matano da studio chiosa con «Abbiamo tutti i brividi» (per il bambino? Non diciamo sciocchezze, per «il nostro inviato che lo prende in braccio»). E le immagini sono in effetti grande televisione.
C’è un carabiniere che scende nel dirupo, «Giuseppe» dietro col microfono in mano, arrivano al bambino, e a quel punto succede una cosa che è Suzanne Maretto in purezza. Il carabiniere prende il bambino in braccio, lo dà a «Giuseppe», «Giuseppe» fa due metri, giusto il tempo d’essere lui quello che esce dai cespugli col bambino in braccio, e poi lo restituisce al carabiniere, che lo riporta su.
Anche perché Giuseppe aveva già il fiatone dopo la discesa, mentre gli squillava il cellulare e scandiva nel microfono «Nicola tranquillo, adesso ci siamo noi, stacco tutto, aspetta che stacco tutto, c’ho l’affanno».
Il che è poco compatibile con l’avere lui fin lì raccontato, nei sette milioni di interviste che ha dato dalla mattina, che dopo aver sentito la voce del bambino in fondo al dirupo si era dovuto allontanare per avvisare i carabinieri, dato che lì il cellulare non prende. Ma soprattutto è poco compatibile con l’ospite in studio che un’ora più tardi dirà «Giuseppe è un atleta, siamo vicini di palestra».
(Altra aneddotica che lo studio televisivo ritiene di fornirci sull’eroe del giorno, questa volta nelle parole del conduttore Alberto Matano: «Gli inviati, sono loro questi treni ad alta velocità, io sono un po’ il capostazione con la paletta»; «Giuseppe raccontava le spiagge, io gli ho detto: Giuseppe, secondo me tu puoi raccontare anche altro»; «Grazie, Giuseppe, per la tua dedizione e il tuo amore»).
Le versioni differiscono in mille dettagli.
I carabinieri non gli hanno creduto: «Sentivo un lamento, però fino all’ultimo credevo un capriolo», dirà uno di loro davanti alle telecamere, confermando quanto detto da Giuseppe nei suoi sette milioni di interviste, nelle quali precisava anche che il bambino aveva detto «mamma» e i caprioli mica dicono «mamma», e quindi lui era sicuro.
Oppure sì: «Mi avevate creduto all’inizio?», chiede l’eroe a uno di loro che sta mettendo il bambino in macchina, e quello lo liquida «Sì», e lui nella diretta pomeridiana dirà «I carabinieri mi hanno subito creduto», e vai a sapere qual è la verità, d’altra parte ritiene d’informarci che lui sul «piccoloNicola» ha perso il sonno, «Non ci ho dormito stanotte», e mica pretenderemo lucidità.
I dialoghi tra studio ed eroe sono meravigliosi.
«Non posso immaginare l’emozione di prendere in braccio quel bambino», «Molte volte noi dobbiamo comunque mantenere un distacco».
«Non si può descrivere la gioia di quest’abbraccio, Giuseppe raccontami», chiede l’impossibile il conduttore a commento della madre che arriva sul luogo del ritrovamento. «Sono quei momenti che ti lasciano senza parole», premette lui, parlando poi per interi minuti.
Poi tornano le immagini montate, e c’è «Giuseppe» che va alla macchina dei carabinieri e dice a un bambino probabilmente in stato confusionale – ma se anche fosse lucido comunque minore di due anni – «Nicola, io ti chiamavo da cinque minuti, Nicola, Nicola, sei tu. Allora?». L’«allora?» ha il tono dei «che si dice?» a cena tra quarantenni, e mi torna il mente che il tg ha intervistato il padre chiedendo cosa abbia detto il bambino tornato a casa ai genitori. «Mamma, ha chiamato la mamma», aveva risposto quello, chissà se come me pensando: ma cosa minchia deve dire un neanche duenne, il proprio parere sulla scuola di Francoforte?
Mentre un servizio sobriamente ci ricorda che «nel destino di Nicola c’era Giuseppe, come in quello di Giuseppe c’era Nicola», e chissà nel film chi sarà il primo nei titoli di testa, mi rendo conto che «Giuseppe» ha fatto tutti i collegamenti con la mascherina, come faranno a riconoscerlo e a chiedergli selfie al ristorante?
In studio si compiacciono della «bella televisione» (qualunque cosa significhi) che fanno, e «Giuseppe» interviene per dire il proprio affetto per il conduttore, «Non a caso ho chiamato, come prima persona quando avevo una tacca di segnale, Alberto Matano, e subito dopo ho chiamato i carabinieri».
Matano lo interrompe bruscamente, ha appena detto d’essere Suzanne, d’aver pensato prima allo scoop e poi a segnalare il bambino disperso da recuperare, speriamo che nessuno se ne sia accorto, quante emozioni, pubblicità.