A bocce ferme, a Roma chi sta messo meglio oggi è il centrosinistra. Ma molto meglio. E non è che qui su Linkiesta non si siano messe ogni giorno in evidenza le magagne del Partito democratico, l’inesistenza della sinistra-sinistra, i problemi caratteriali di Carlo Calenda.
Ma diciamo la verità – sottolineiamo: ad oggi – al ballottaggio meriterebbero di andare Roberto Gualtieri e Carlo Calenda per un “disfida progressista” di un certo livello (sono due ex ministri) e certamente un caso rarissimo nella storia delle elezioni amministrative (viene alla mente il duello veneziano del 2005 fra Felice Casson e Massimo Cacciari vinto da quest’ultimo).
È un paradosso e non una previsione, per carità, che però fotografa la situazione attuale.
Però siccome la verità va detta tutta, chiariamo allora che un ballottaggio Gualtieri-Calenda oggi sarebbe la conseguenza della totale insipienza – ma gli aggettivi potrebbero essere molto più coloriti – degli altri.
Di una destra che si accapiglia nel vuoto cosmico di nomi credibili: la stessa destra che si candida a governare l’Italia, a Roma non ha una carta decente da giocare, come sanno anche i leader. E di una Virginia Raggi che vede crescere non consensi ma mondezza in tutti i quartieri di Roma (e la situazione è destinata a peggiorare perché le altre regioni si rifiutano di “accogliere” ancora i rifiuti della Capitale, e intanto sale la colonnina di mercurio del termometro con conseguenze immaginabili), e non contenta incorre in una gaffe ciclopica come quella della inaugurazione di una targa con il nome del nostro Presidente Carlo Azeglio Ciampi che è diventato Carlo Azelio Ciampi, una figura barbina davanti a un allibito Sergio Mattarella che non ha potuto scoprire una targa sbagliata.
D’altra parte solo una bolla abilmente fatta gonfiare dallo staff con la compiacenza di qualche “sondaggio” con le virgolette ha alimentato nei giorni scorsi l’idea che la sindaca stesse recuperando. Sarà stato anche per l’effetto ottico dell’appoggio di Giuseppe Conte.
Ma che gliene frega ai romani di Conte? Niente. La verità è che non basta mettere qualche toppa su pezzetti di asfalto per restituire alla Capitale il decoro che merita: e cinque anni di disastri non si recuperano in due mesi. Gli elettori di sinistra non voteranno per Virginia, imbottigliata fra Gualtieri e Calenda.
Sfumata tragicomicamente l’alleanza strategica Pd-M5s, non si vede come la sindaca possa contare su un minimo di consenso nell’area del centrosinistra. Meno che mai in un elettorato di destra infastidito dal nullismo della sindaca. E poi, i voti di lista del Cinquestelle supereranno il 10%? Tutto da vedere. Il ballottaggio è un sogno.
La destra che annaspa a Roma poi è uno spettacolo inedito. È vero che negli ultimi decenni ha perso sempre (tranne la lugubre sindacatura di Gianni Alemanno) però non si era mai assistito a una tale penuria di nomi: se si arriva a pensare a un avvocato noto solo ai fan di una radio privata di non finissimo profilo – questo Enrico Michetti – vuol dire che la rampante Giorgia Meloni sta messa proprio male, in quanto a classe dirigente. Anche ieri ennesimo vertice fallito.
Resiste l’avvocato, si parla del giudice Simonetta Matone, non proprio in nome politicamente forte. Maurizio Gasparri è sparito. Capi sanno perfettamente che a Roma non vinceranno mai, pronti a scaricare uno sull’altro la responsabilità della sconfitta. L’impressione è che nell’assenza di nomi forti una parte dell’elettorato di destra preferisca votare Calenda che in fondo ha rotto con la sinistra accreditando di sé un’immagine trasversale.
Lui ha il vantaggio di essere partito per primo, ogni giorno butta fuori una proposta su questo o quel problema, rintuzza le solite critiche su questa idea banale del “pariolinismo”, forse non piace al generone romano ma a un pezzo di establishment sì. Il Partito democratico gli è sempre più ostile perché porta via voti a Gualtieri: ma si potrebbe anche dire il contrario, che Gualtieri li porta via a Calenda.
Lui, l’ex ministro dell’Economia, partito con l’handicap di fare il sostituto di un amletico Nicola Zingaretti che alla fine ha detto no grazie, si è messo a girare i quartieri col vestito blu ministeriale e la cravatta – ognuno ha il suo look – sorretto dai “duri” del Partito democratico romano, vecchia scuola nel bene e nel male, è un candidato che per ora non scalda i cuori ma è fuor di dubbio che abbia gli strumenti per fare la sua strada.
E se alla fine il nostro paradosso – i due ex ministri di centrosinistra al ballottaggio – si rivelasse non un paradosso ma una realtà? Quasi impossibile. Quasi…