Modernità greenPer un sistema più sostenibile serve una nuova cultura d’uso della tecnologia

Internet, gli smartphone, i social e i nuovi strumenti hi tech che usiamo quotidianamente hanno un impatto pesante in termini di inquinamento ambientale. Dobbiamo quindi imparare a capire che dietro al concetto di gratuità in realtà si nascondo costi enormi che ricadranno prima o poi anche su di noi

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Alla fine dello scorso maggio, in Exxon-Mobil, una delle maggiori compagnie petrolifere statunitensi con rilevanza a livello globale conosciuta dal mercato europeo con i marchi Esso e Mobil, «una cordata di soci ribelli composta da piccoli hedge fund, grandi fondi pensione e investitori istituzionali», per citare il nostro maggior quotidiano economico finanziario, ha raccolto il consenso degli azionisti nella richiesta una chiara strategia di contrasto al cambiamento climatico.

Tecnicamente è accaduto che Engine No.1, un piccolissimo fondo speculativo che detiene lo 0,02 per cento del capitale sociale del colosso energetico, è riuscito a fare eleggere almeno due consiglieri d’amministrazione che aveva proposto. Un successo senza precedenti del rinnovato e sistematizzato attivismo ambientale che oggi ha ben compreso il valore competitivo di legare l’etica agli utili. Un successo che risuona maggiormente se consideriamo che contemporaneamente un’altra big del settore energetico, la Shell, ha incassato una sentenza storica da parte del tribunale dell’Aja che l’ha condannata a ridurre del 45 per cento le sue emissioni di CO2, rispetto ai livelli del 2019, entro il 2030, cioè molto in fretta.

Secondo un recente articolo del Financial Times il punto nodale della battaglia ambientalista dei nostri giorni risiede nell’elevato grado di trasparenza raggiungibile grazie a Internet. Rispetto ai militanti di un tempo che disponevano di poche leve per scardinare cultura e status quo, al massimo qualche immagine documentale, quelli di oggi grazie alla rete possono raccogliere enormi quantità di dati sulle aziende e monitorarli in tempo reale. Un controllo questo destinato solo ad aumentare. La qual cosa è ovviamente un bene: quanto più le aziende dovranno rendere note certe informazioni tanto più sarà facile monitorarle e amplificare il processo di cambiamento.

Internet si pone dunque come uno strumento essenziale per indurre quel cambiamento epocale chiamato sostenibilità che molta politica e molte imprese ancora faticano ad accogliere. Ma quanto pesa Internet sull’ambiente?

Se Internet fosse uno Stato sarebbe il quarto al mondo per emissioni di CO2. Lo ha messo in evidenza uno studio del Global Carbon Project e lo ha commentato anche il ministro della Transizione ecologica con la battuta: «Il digitale? Fantastico, ma inquina il doppio del trasporto aereo».

E in effetti non è difficile crederlo visto che conta 4,72 miliardi di utenti nel mondo, cioè più del 60% della popolazione mondiale complessiva. Un numero che durante il periodo di pandemia è cresciuto ulteriormente perché la rete ci ha permesso di adempiere alle regole di distanziamento fisico grazie alla possibilità di trasferirvi diverse e molteplici attività lavorative. Nessun settore infatti è rimasto escluso dalla formidabile accelerazione che il coronavirus ha impresso alla rivoluzione digitale nel mondo del lavoro. Ma, a differenza di quanto appaia pulito e asettico ai nostri occhi, è anche un mondo il cui potere inquinante non siamo capaci di vedere.

L’impatto ambientale che non vediamo direttamente, è dovuto a diversi fattori, a partire dai processi di produzione e smaltimento dei device che usiamo per farlo funzionare per finire all’energia che singolarmente consumiamo nel loro uso. Anch’essa produce CO2 se non proviene da fonti rinnovabili. Giusto per fare un esempio, un’ora di videochiamata ne produce 170 grammi.

Un’ora di streaming 100 grammi. Un tweet 0,2 grammi. Una mail dai 4 ai 50 grammi in funzione della quantità degli allegati. Secondo un recente studio nel 2040 l’incidenza del digitale sulla produzione di gas serra sarà del 14% delle emissioni globali. E non è difficile credervi visto che secondo le stime attuali ogni utente digitale è responsabile della produzione di 414 chilogrammi di anidride carbonica all’anno.

Le nostre abitudini digitali oramai radicate in un terreno di inconsapevolezza rischiano di far diventare anche la tecnologia per molti versi essenziale nel progresso dell’intera umanità, un’arma altamente inquinante e irrispettosa della vita e del Pianeta. Spesso ho avuto modo di sottolineare quanto valore risieda nell’orientamento. La vita stessa è un costante esercizio di orientamento. È una questione di sensibilità. E la sensibilità si sviluppa, si addestra, si affina, ma questo affinamento non avviene accidentalmente, meccanicamente. Questo affinamento è a sua volta frutto di una volontà: la volontà di contribuire.

Possiamo e dobbiamo contribuire a una nuova cultura d’uso degli strumenti di cui disponiamo. Possiamo e dobbiamo imparare a capire che dietro al concetto di gratuità in realtà si nascondo costi enormi che ricadranno prima o poi, direttamente o indirettamente, anche su di noi.

Quando privo di uno scopo utile all’insieme l’uso indiavolato che facciamo degli smartphone, dei social, delle piattaforme di messaggi, si traduce solo in enormi costi in termini di impatto ambientale che alla fine paghiamo tutti in salute, qualità dell’aria, dell’acqua, delle città e delle località in cui viviamo. Anche se non avremo speso denaro per un post in più o per uno streaming in più, l’altro costo, quello non monetizzabile immediatamente, sarà comunque da pagare.

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