Memo per la ripresaLe mete turistiche sono dei brand che in Italia non sappiamo valorizzare

Ogni località del nostro Paese ha la sua cultura, la sua cucina, i suoi modi di rapportarsi con il prossimo: ci sono caratteristiche ben definite che però ancora non riescono a essere sfruttate sul mercato globale. Bisogna dare senso alla promessa contenuta in ogni viaggio

Marco Alpozzi/LaPresse

Ho cominciato una ricognizione sul turismo (con l’idea di scrivere sei “memo”, non per il prossimo millennio, come avrebbe detto Italo Calvino, ma per il tempo della ripresa) iniziando dalla comunicazione. La comunicazione ci porta al cuore di un altro tema, che alla comunicazione è connesso, ma che non vi coincide: quello delle identità territoriali.

Siamo un grande Paese turistico, abbiamo una grande varietà di offerta, possiamo puntare sulla specializzazione delle tante identità locali, ma ci presentiamo, oltre che con le stesse parole, anche in maniera indefinita, come se di fronte a noi ci fosse un popolo indistinto di turisti, indistinto per età, per valori culturali e per stili di vita.

Li consideriamo tutti uguali, ma sono tutti diversi. Sembra quasi di dover scoprire il marketing. Allora facciamo un passo indietro, per farne alcuni in avanti.

L’industria del largo consumo, cui appartiene in tutto e per tutto il mercato turistico, lavora per differenziazione. Dove più sofisticato è il settore, come nella moda, la differenziazione è addirittura esacerbata: non ci si distingue tra impermeabile e cappotto, tra giacca e maglione, ma tra un’infinita serie di brand.

Certo si acquista un tailleur, ma quello a cui si fa attenzione è il suo brand. Il mercato della moda non si divide per tipologie di prodotti, ma per differenti stili, appunto per differenti brand. Persino nell’automobile, prodotto più “strutturato” rispetto a un capo d’abbigliamento, ci si differenzia non tanto e non troppo sulla cilindrata del motore, sul tipo di carburante, ma soprattutto per il brand. Viviamo immersi in un mondo di brand.

Possibile che solo nel turismo, il settore che si nutre di percezioni, promesse e sogni, non ci sia la differenziazione dei mercati ma solo la differenza geografica?

Le destinazioni turistiche sono brand, perché incorporano, nella percezione che ne hanno i turisti, una pluralità di valori. Un luogo mi attrae perché ci vedo cose che alimentano la mia immaginazione, determinano le mie attese, definiscono il mio mondo. La differenza rispetto al mercato dei beni di consumo è che nel caso della vacanza i beni acquistati/venduti non sono oggetti concreti, perciò beni materiali, ma sono fondamentalmente delle promesse: si vendono e si acquistano promesse del cui esito si saprà soltanto durante il consumo («Le cose si scoprono nello stesso tempo in cui noi scopriamo loro», J. Baudrillard).

Perciò il dialogo tra domanda e offerta è uno scambio di percezioni tra ciò che si attende e ciò che si promette. Materia delicata, ma totalmente decisiva.

Se le destinazioni sono brand è perché il turismo è un mercato. Se è un mercato, è un mercato sostanzialmente senza confini geografici, perché per definizione il turismo è lo spostamento delle persone e non delle merci. Perciò non ci sono barriere alla comunicazione e alla promozione.

Se è un mercato, bisogna trovare il modo di avere una mappa di questo mercato, che non può essere solo la nazionalità dei turisti, perché è molto più facile che due ventenni italiani, olandesi o americani si assomiglino più di quanto si possano assomigliare due italiani con trenta o quarant’anni di differenza; è molto più facile che una famiglia con bambini piccoli abbia le stesse esigenze sia in montagna che in città; è molto facile che la stessa persona cambi esigenze (e attese) se fa un viaggio da week-end o se fa un viaggio di due settimane, pur nella stessa destinazione.

La segmentazione dei mercati turistici è un puzzle complicato, ma non per questo si può far finta che non esista. E su tutto questo dominio regna anche la logistica, cioè i trasporti, che determinano spesso l’effettiva realtà dei segmenti.

Segmenta più la logistica che il clima. Guardiamo, ad esempio, alle destinazioni del Sud del Paese. Nel turismo nazionale sostanzialmente ci sono tre mercati. Il primo è il mercato estivo (il popolo delle ferie), il secondo è il mercato dei viaggi brevi (il popolo dei week-end) e il terzo è una composizione di vari sub-mercati (la settimana bianca, le vacanze termali, ecc.).

Alle destinazioni meridionali il mercato dei week-end è pressoché precluso dalla logistica. Chi vuole partire venerdì e tornare domenica da Milano o anche da Roma (per non parlare delle città europee) per il fine settimana a Taormina, a Tropea o a Matera, non potrà farlo (salvo rarissime e costose eccezioni) perché le combinazioni disponibili di trasporti e tempo non lo permettono. Se togliamo anche buona parte dei sub-mercati, troveremo che al Mezzogiorno non restano che i viaggi estivi. Qui non fa differenza il mare o la città, qui la differenza, cioè l’elemento che crea la segmentazione, è la logistica.

Nella difficoltà generale a offrire vacanze brevi del Mezzogiorno, ve ne sono alcune che possono puntare tuttavia sul week-end? Certamente alcune città sulla parte tirrenica sì. Allora conviene che si specializzino su questo segmento; creino combinazioni logistica-ospitalità adatte a questa clientela; si rivolgano a questo segmento specifico che, probabilmente, sarà molto diverso da quello che poi si ritroverà nei mesi estivi.

Alla fine, la segmentazione secondo la logistica è quella più facile (non per questo è però la più perseguita), ma quelle fondate sugli stili di vacanza, che sono più complicate (e più promettenti). Il principio guida è che ognuno insegue la sua promessa, ma le promesse possono essere raggruppate in clusters (cioè in gruppi) secondo drivers differenti che nascono dai comportamenti spontanei, rispetto a cui si può solo corrispondere o non corrispondere, o corrispondere in maniera creativa e distintiva. Ma non si può negare.

Siccome il mercato è il mondo, bisogna che ogni destinazione cerchi e trovi la sua distintività nella sua vocazione, nella sua storia turistica, o semplicemente ne scelga una e la persegua. Abbiamo questa possibilità perché l’Italia ha almeno 60 destinazioni che sono già dei brand affermati, perché la sua storia è fatta della storia delle sue città (nate ben prima che si formasse l’Italia giuridicamente detta).

Ma abbiamo questa possibilità anche perché ogni città ha un suo modo di fare le cose, la sua cucina particolare e persino la sua maniera distintiva di stabilire le relazioni umane. Siamo un Paese diversificato per natura (storica). Possiamo dire che ogni città in Italia ha una sua personalità e questa personalità, una volta sviluppata, arricchita dalla scienza del marketing e appropriatamente comunicata, è il suo brand.

E qui siamo al paradosso, perché nel mondo delle merci, ogni merce, proprio perché è (solo) un bene materiale, cerca di assumere un significato proprio attraverso la costruzione intorno a sé di un brand, cioè di un nome, per assumere valore agli occhi del consumatore. Insomma, è un bene materiale che prova a diventare simbolico, diventando un brand. Le città hanno un nome, perciò partono già da un riconoscimento oggettivo, hanno una storia, perciò non se la devono inventare, hanno un significato, perché nessuna è uguale all’altra. Sono già cariche di senso, hanno già tutto ciò che i brand del consumo cercano di avere, ma non riescono a presentarsi sul mercato turistico come un brand.

Essere brand nel turismo significa avere in mente un mercato, o un insieme definito di mercati. Nessuna destinazione è perfetta per tutti, perciò la specializzazione è la strada maestra per far corrispondere all’identità territoriale un brand, e perciò un mercato.

Avremo la destinazione che si specializzerà (dove specializzare non significa separare, ghettizzare o dividere, ma semplicemente focalizzare servizi e comunicazione su un target specifico) per le famiglie, magari per le famiglie con bambini piccoli; avremo la destinazione che punterà decisamente e coerentemente sul segmento luxury; avremo la destinazione che vorrà soprattutto i Millennials. Questo va cercato in una dimensione globale, perché il competitor di Rimini non è la Puglia, ma Nizza o, ambiziosamente, Barcellona; il competitor di Roma non è Firenze (rispetto a cui sono complementari, non competitori), ma Parigi, Londra o, ambiziosamente, New York; il competitor della Puglia è la Grecia, la Croazia o, ambiziosamente, l’Algarve.

Cercare la propria distinzione, creare il proprio brand, trovare il proprio mercato significa capire dove si è più bravi, capire le ragioni profonde per cui si è interessanti, preziosi e appealing e dove, invece, è meglio lasciar perdere. Significa stabilire una connessione emotiva con i propri ospiti, perché si colgono le ragioni per cui si potrebbe essere scelti e, allo stesso tempo, si comprendono le ragioni effettive per cui si è scelti. Significa dare senso alla promessa che sta dentro ogni viaggio, prima agli ospiti e così facendo anche a sé stessi. (continua)

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