C’è un potere bianco che mette in galera oppositori neri. Ma Black Lives Matter lo sostiene. Miguel Díaz-Canel, il presidente di Cuba e segretario del Partito Comunista, è bianco. Raúl Castro, il suo predecessore, è bianco. Fidel Castro pure era bianco. Sono invece afro-cubani una gran parte degli intellettuali finiti dentro con l’ultima ondata repressiva.
Sono neri, in particolare, Maykel Castillo «Osorbo» y Eliecer Márquez Duany «El Funky»: I due rapper interpreti nell’isola di quella canzone “Patria y vida” che è stata a un tempo stesso l’innesco e l’inno della rivolta.
Come lo sono d’altronde gli altri interpreti dall’esilio. È nero il rapper Denis Solís González, condannato a novembre a otto mesi di carcere. È nero Guillermo «El Coco» Fariñas, il Premio Sakhaov che per sfidare il regime rischiò la morte con uno sciopero della fame di 130 giorni. È nero un altro storico dissidente digiunatore come Óscar Elías Biscet. Era nero Orlando Zapata Tamayo, che il 3 febbraio 2010 morì in carcere dopo 85 giorni di sciopero della fame.
«Questa politica crudele e disumana, istituita con l’esplicito intento di destabilizzare il Paese e minare il diritto dei cubani di scegliere il proprio governo, è al centro dell’attuale crisi cubana. Dal 1962, gli Stati Uniti hanno causato dolore e sofferenza ai di Cuba tagliando le forniture di cibo e medicine, costando alla piccola isola circa 130 miliardi di dollari», è stato il tenore della presa di posizione di BLM.
«Cuba ha storicamente mostrato solidarietà con i popoli oppressi di origine africana, protetto rivoluzionari neri come Assata Shakur, garantendo loro asilo, sostenuto le lotte di liberazione dei neri in Angola, Mozambico, Guinea Bissau e Sud Africa».
In varie parti del mondo queste parole hanno suscitato scalpore o polemica. Tra molti afro-cubani, in patria o in esilio, ha invece suscitato rabbia.
Una protesta è arrivata ad esempio da Yule MGlez: attivista afro-cubana esile legata alle Ong per i diritti civili di Atlanta. «Questo è un chiaro esempio di cattivo giudizio e irresponsabilità nei confronti del popolo cubano che è sceso in piazza chiedendo i propri diritti alla libertà e una vita dignitosa nel proprio paese», ha scritto. «Sebbene il blocco degli Stati Uniti sia un dato di fatto, Cuba è anche una dittatura. Nessuna quantità di “buone azioni” in passato giustifica la brutalità della polizia o il sostegno ai dittatori al potere. Insegnare i principi abolizionisti non è solo per le cause degli Stati Uniti, è applicato in tutto il mondo. Se non riesci a capire questa logica di base, cosa possiamo aspettarci da persone senza formazione in queste materie?».
Anche lei ha ricordato il carattere «bianco» della nomenklatura dell’Avana. «Se non c’è altro indizio, il fatto che i cubani bianchi siano stati storicamente al potere dovrebbe essere sufficiente a creare sospetti». «Non una sola parola di solidarietà per il popolo cubano». «Il Bloqueo non è da incolpare per la brutalità della polizia, la violenza sponsorizzata dallo stato, gli omicidi, i rapimenti e il silenzio e l’imprigionamento delle voci di dissenso».
«State lavorando, parlando o collaborando con alcuni organizzatori neri a Cuba? Se volete davvero imparare e ascoltare, entrate in contatto con i cubani neri e gli organizzatori antirazzisti dell’isola e della diaspora», è stato il messaggio a BLM del profilo di Instagram Historia Negra de Cuba.
«San Isidro è un quartiere povero abitato principalmente da afro-discendenti», ricorda un Joint Statement on Human Rights in Cuba fatto dal David Rockefeller Center for Latin American Studies assieme all’Hutchins Center for African and African American Research e all’Afro-Latin American Research Institute della Harvard University.
«La natura, la qualità e l’intensità della violenza di stato scatenata contro i suoi residenti assomiglia a forme di violenza di stato razzista in altri paesi d’America, compresi gli Stati Uniti, che abbiamo anche denunciato energicamente dalle nostre piattaforme. Anche le vite dei neri cubani sono importanti. Chiediamo rispettosamente alle autorità cubane di porre fine a questa repressione, di rilasciare immediatamente coloro che sono detenuti o imprigionati e di ascoltare gli appelli del Movimento di San Isidro per un dialogo nazionale pacifico».
A differenza che in Europa e a somiglianza invece con negli Stati Uniti, il censimento cubano cataloga i cittadini in base alla «razza» di appartenenza: una cosa in realtà tipica di Paesi dove in passato c’era la schiavitù, e in passato venivano contati i «liberi» separatamente. Nel 2012 furono computati (un 64,1% di bianchi, un 9,3% di neri e un 26,6% di mulatti). Ma già questi termini, in un contesto dove la mescolanza è stata generale, danno un senso di arbitrarietà. Come negli Usa, in realtà si tratta di autodefinizioni in cui si sconta lo scarso prestigio storico della pelle colorata, per cui il mulatto cerca di autodefinirsi bianco, e il nero mulatto.
In effetti ad esempio uno studio del 2009 utilizzando il dna mostrò che nel campione esaminato i «bianchi» avevano realtà un 15% di geni africani in media, i neri del 74-76%, e i mulatti del 41-43%. Detto in altri termini, a Cuba sono neri quelli che hanno solo un nonno bianco contro tre neri; è mulatto chi ha tre bisnonni neri e cinque bianchi; è bianco chi ha sette bisnonni bianchi e un nero.
Se vogliamo, studi come questo ridimensionano anche certe stime di una ventina di anni prima, secondo i quali gli afrocubani avrebbero dovuto essere almeno il 61% della popolazione. Ma confermano che l’Africa nel melting pot cubano ha avuto un ruolo fondamentale. In realtà c’è una grande influenza e persino un predominio dei neri nell’arte, nella musica, nello sport, nella cucina, nell’artigianato o nei culti afro-cubani che sono spesso il modo in cui Cuba si presenta al mondo.
Ma un recente studio condotto da ricercatori tedeschi ha rilevato un’incipiente segregazione: il 70% dei neri e dei mulatti ha riferito di non avere accesso a Internet – solo il 25% dei bianchi ha affermato lo stesso. La stessa disuguaglianza esiste per i privilegi che consentono miglioramenti nella vita economica: il 50% dei bianchi ha dichiarato di avere un conto in banca, contro l’11% dei neri; il 78% delle rimesse che i cubani in esilio inviano a Cuba sono per i bianchi, che controllano il 98% delle aziende del settore privato. Qualcosa di simile accade con i viaggi all’estero: il 31% dei bianchi viaggia contro solo il 3% dei neri.
Ovviamente, l’incrocio di questi dati indica che la razza alla fine si incrocia con il dato sociale. Due persone con una miscela non troppo dissimile di dna europeo o africano possono essere giudicati «bianco» o «nero» a seconda del loro maggiore o minore successo economico. Ciò accade in realtà in quasi tutto il Continente americano, e dove c’è anche popolazione amerindia spesso un meticcio è semplicemente un indio che è andato a scuola, o in città.
Ma in un Paese che come Cuba da 62 anni sacrifica ogni libertà a un mito di egualitarismo radicale la cosa indica come poi gran parte di questo mito sia paccottiglia. Quel che la dittatura ha fatto, in compenso, è stato di distruggere la possibilità di auto-organizzazione degli afro-cubani. Non appena andò al potere, in particolare, Fidel Castro bandì subito quel Directorio Central de las Sociedades de la Raza de Color, che federava più di cinquecento società di neri e mulatti, e pose anche fine alla possibilità di mantenere club, centri sociali o culturali per neri. Insomma, se uno provasse a fare un BLM a Cuba finirebbe in galera subito.
Nel 2009 ci fu anche una protesta di attivisti neri Usa, brasiliani e caraibici contro il razzismo a Cuba. Il governo respinse l’accusa di «razzismo istituzionalizzato» ma ammise l’esistenza di pregiudizi.
Un certo contraccolpo lo ebbe anche la visita di Obama, quando molti cubani fecero commenti tipo: «E quando mai da noi un nero potrebbe diventare presidente?». Il governo cubano annunciò commissioni e programmi per migliorare la situazione, e effettivamente dopo un lungo periodo in cui la presenza di neri ai vertici del potere cubano era stata a livello soprattutto simbolico, dal 2018 il loro numero è stato fatto aumentare. In un sistema in cui non esiste possibilità di presentare liste o candidatura indipendenti, per decisione dei vertici.
Prima dell’arrivo di Díaz-Cabel alla presidenza, ad esempio gli unici neri in posizioni di vertice erano il primo vicepresidente Juan Esteban Lazo Hernández e il presidente dell’Assemblea Nazionale Salvador Valdés Mesa. In quell’occasione furono elette vice presidenti anche Inés María Chapman Waugh e Beatriz Johnson Urrutia, in modo da arrivare a tre vicepresidenti neri su sei. Già ai tempi di Fidel c’era peraltro un vicepresidente nero: Juan Almeida. Morto nel 2009 a 82 anni, e unico comandante afro-cubano della Rivoluzione. Alcuni insider rivelarono che in realtà a un certo punto era caduto in disgrazia per essersi opposto a Fidel ma che gli avevano lasciato l’incarico formale appunto per evitare moti razziali: ma si tratta di voce non verificata e non verificabile.
Gesti di facciata del regime a parte, a Cuba c’è una vita vivace di organizzazioni nere indipendenti. Ma, appunto, sono anch’esse represse senza troppi complimenti. Giusto nel febbraio del 2020, un Comité Ciudadanos por la Integración Racial annunciò che per marzo avrebbe dovuto partire un Foro Racialidad, Genero, Cultura y Comunidad le cui attività avrebbero dovuto svolgersi per tutto l’anno.
La Seguridad del Estado avvertì che non avrebbe permesso nessuna di queste attività, e il 14 febbraio 2020 il leader del Cir Juan Antonio Madrazo Luna fu direttamente messo dentro. Lo scorso gennaio la Commissione Interamericana dei Diritti Umani intervenne appunto a favore di Juan Antonio Madrazo Luna e degli altri due leader del Cir Oswaldo Navarro Veloz e Marthadela Tamayo, denunciando che le persecuzioni del regime li mettevano in grave pericolo.
Insomma, anche a Cuba ci sono vite nere che importano. Purtroppo, non a BLM.