Una dittatura che dura da quasi settanta anni. Uno stallo economico che a ondate ha ridotto la popolazione a livelli di povertà assoluta. E una restrizione culturale che soffoca le libertà individuali. Per questi e altri motivi, secondo la rivista britannica New Statesman, la rivolta del popolo cubano è giusta e dovrebbe essere appoggiata anche dalla sfera politica di sinistra d’Occidente.
«I cubani vivono sotto la dittatura dal 1952. Hanno trascorso gli anni ’50 vivendo sotto il governo corrotto di Fulgencio Batista, un colonnello dell’esercito che rovesciò l’ultimo leader cubano eletto, Carlos Prío Socarrás, in un colpo di stato. Batista stesso fu rovesciato sette anni dopo, il 1 gennaio 1959, dall’esercito guerrigliero di Fidel Castro. Oggi i cubani vivono sotto il sistema politico imposto da Castro 62 anni fa, una versione tropicale del modello socialista di stato che ha prevalso nell’Europa orientale fino al 1989», scrive il settimanale .
Nel Paese è ancora alta l’attenzione dedicata alla costruzione del socialismo, nonostante l’economia nazionale è pressoché in bancarotta da quando l’Unione Sovietica ha interrotto le spedizioni di aiuti nei primi anni ’90.
Ed è da tali presupposti che inizia il reportage del New Statesman. La parabola narrativa racconta una Cuba ferma nel tempo, dove le iconografie di “Fidel” e del “Che” si stagliano fragorose sui palazzi, ma dove certi giorni è impossibile trovare sapone o carta igienica nei negozi locali.
Nonostante ciò, è ancora forte l’illusione con cui «molti occidentali pensano a Cuba», si legge nell’articolo. Mentre gran parte della popolazione cubana pianifica una fuga dal Paese dai tempi della «prigione» di Castro.
Cuba rimane quindi un paradiso tropicale, e per coloro disposti ad ammettere che le cose potrebbero non essere perfette sull’isola, la povertà e la mancanza di democrazia vengono generalmente attribuite all’imperialismo statunitense.
«Ed è vero che gli Stati Uniti hanno esercitato a lungo un’influenza maligna su Cuba. Hanno invaso l’isola e cercato di uccidere i suoi capi. Inoltre, ha tentato per decenni di sovvertire l’economia cubana attraverso il suo embargo commerciale», ammette il giornalista.
Gli Stati Uniti, continua l’articolo, hanno seguito una strada per non promuovere la democrazia a Cuba. E al contrario, hanno deciso molto tempo fa che avrebbero spremuto Cuba dopo che l’isola si azzardò a nazionalizzare le grandi corporazioni americane.
«Eppure la situazione a Cuba – la povertà, la repressione, la struttura politica dall’alto verso il basso – è tanto un prodotto delle forze all’interno di Cuba quanto una conseguenza della politica degli Stati Uniti», si legge ancora.
Il Partito Comunista di Cuba accusa gli Stati Uniti di averla «spinta tra le braccia dell’Unione Sovietica». Ma, anche concedendo questa motivazione, il modello sovietico a decenni di distanza continua imperterrito a fiorire nel sistema politico cubano.
Il modello russo di socialismo esiste ancora a Cuba perché anche le elezioni sono una farsa. «Non esistono sindacati indipendenti. C’è un giornale ufficiale, Granma, sul quale il Partito Comunista decide cosa pubblicare. Critica il governo e perderai il lavoro e forse finirai in prigione. I Comitati per la Difesa della Rivoluzione (CDR) continua ad esistere per, come disse una volta Fidel Castro, “sapere chi sono tutti, cosa fa ogni persona che vive nel blocco, che rapporti ha avuto con la tirannia, a cosa si dedica, chi incontra e quali attività segue”», si legge nell’articolo.
C’è poi la questione del modello economico statale: quello di Cuba non funziona, e l’embargo statunitense (che non impedisce a Cuba di commerciare con il resto del mondo) peggiora la situazione. La politica macroeconomica quotidiana consiste nel controllo centralizzato delle carenze indotte sistematicamente. Non è un caso che Cuba sia afflitta dalle stesse distorsioni economiche che un tempo assillavano le dittature comuniste scomparse dell’Europa orientale.
E con questi ingredienti si crea un imponente sentimento esplosivo sommerso nella popolazione, come dimostrano le migliaia di persone che hanno marciato questa settimana nelle città e nei paesi di tutta l’isola per protestare contro le condizioni imposte loro dalla dittatura. «Le proteste sono state aizzate principalmente per vaccini e blackout; anche se tra i cubani è montato il grido di “libertà”, che in molti video è stato possibile udire», scrive il giornale.
Le proteste sono state un evento notevole e senza precedenti. «Milioni di cubani che non hanno mai visto alcuna protesta nella loro vita ne hanno vista una svolgersi dal vivo davanti a loro. Ora sanno cosa è possibile», ha scritto Stephen Gibbs per il Times.
Nel frattempo, scrive James Bloodworth del New Statesman, «ho visto lo slogan “Giù le mani da Cuba” usato da sezioni della sinistra occidentale in risposta alle proteste di questa settimana. Tali slogan però dovrebbero essere diretti alla dittatura decrepita, che in questo momento è il più grande ostacolo per il futuro di Cuba».
Perché è bene ricordare che 11 milioni di cubani hanno aspettato 70 anni per il diritto di interferire negli affari interni del loro paese. E perché, è bene ricordare, che Cuba è «una società varia e complessa; è più di Fidel e del Che».