Per chi è povero, realizzare i propri sogni può essere impossibile. L’iniziativa e le capacità non bastano: serve capitale. E lo si trova «con un miracolo. O con l’influenza. O con il crimine». Per Otis “Cookie” Figowitz (John Magao) e King Lu (Orion Lee) i protagonisti di “First Cow”, l’ultimo film della regista americana Kelly Reichardt (distribuito da MUBI), l’ultima opzione è l’unica praticabile. Andranno di notte a mungere la mucca del sovrintendente, la prima della storia a essere arrivata in quella regione dell’Oregon (da qui il titolo) e ne ricaveranno dei dolci da vendere al mercato.
È il 1820, siamo nel selvaggio West, ma lontano dalle pianure di sabbia e terra rossa del cinema tradizionale. L’ambiente è freddo e boscoso, il clima e rigido e inospitale. Le bestie da soma sono ancora là da venire, mentre la prima mucca è stata voluta dal sovrintenente Factor, uomo di città, che vuole il latte da mettere nel suo tè, mentre rimpiange la vita civile. Intorno si muovono le figure classiche del western: indiani, cacciatori, avventurieri. Tutti più o meno ambiziosi, in cerca di fortuna e, come dice King Lu al riluttante Otis, in anticipo sulla storia. In quel mondo si può fare ancora tutto, basta sapersi muovere.
Loro, però, saranno costretti dalle circostanze e dal calcolo, ad associarsi. Cookie (chiamato così perché cuoco), di origine ebraica, sa cucinare, ma è timido e malinconico. King Lu, che viene dalla Cina, ha il piglio imprenditoriale, il carattere del venditore e l’abilità di fare progetti. Il sogno è mettere in piedi un hotel in California. Da soli andrebbero alla deriva, uniti riescono a fare soldi.
In questo senso, “First Cow” è un western atipico. I ritmi sono lenti, i momenti delicati. Le scene notturne, quelle in cui Cookie munge la mucca, sono lunghe. Il buio avvolge gran parte del film: un’opacità da origini. Gli eroi, o gli uomini forti dell’immaginario consolidato, non ci sono. Anzi, Otis e King Lu sono outsider, non integrati nella comunità di cacciatori e commercianti. La stessa prevalenza individuale non c’è, quello che Reichardt vuole sottolineare è, al contrario, il valore della collaborazione. Anche qui: come film sul capitalismo americano, è un film sul capitalismo atipico.
La loro alleanza è un buon calcolo: sfruttano l’assenza di un bene (i dolci), trovano, anche se in modo illecito, il mezzo per procurarselo (il latte della mucca) e mettendo insieme le rispettive abilità (cucina e marketing) riescono a ottenere successo sul mercato. Come in tutte le imprese c’è il rischio (qualcuno si chiederà come facciano ad avere il latte) e, come spesso avviene nei film, qualcosa non funzionerà.
Come film sulle origini, però, “First Cow” cerca di fare una piccola rivoluzione. Al posto dell’individuo, mette l’associazione. Privilegia la collaborazione all’iniziativa personale, con un obiettivo condiviso e comune che passa per l’impresa, ma supera barriere di razza e provienienza. Oltre che quelle, sempre sottovalutate, del carattere. In questo senso, potrebbe essere considerato come il primo western dell’era Biden: un manifesto per un’America meno individualista.