Nationalism is coming homeLa legge con cui il Regno Unito vuole espellere i richiedenti asilo e bloccare gli sbarchi

Il nuovo provvedimento del governo Johnson (ora in Parlamento) prevede che i rifugiati vengano trasferiti all’estero in attesa della valutazione dei loro requisiti, mentre verrà imprigionato chi sbarca illegalmente nell’isola dal Canale della Manica. Dure le critiche alle nuove disposizioni, che legalmente sarebbero anche una violazione della convenzione Onu sui rifugiati del 1951

Lapresse

«It’s coming home», cantano i tifosi inglesi nell’epopea di un Europeo di calcio con la finale a Wembley. Meglio non interrogarsi su cosa sia «casa» per una nazionale che senza le seconde generazioni di un’immigrazione secolare verrebbe decurtata di otto titolari su undici. Lo sa il primo ultrà dei ragazzi di Southgate, il premier Boris Johnson: maglietta bianca coi tre leoni in tribuna, mentre il suo governo propone una stretta securitaria che fa dubitare che il «nationalism», e non solo il «football», stia tornando a casa.

In base al Nationality and Borders Bill ora in parlamento, i richiedenti asilo potranno venire trasferiti all’estero in attesa della valutazione dei loro requisiti, peccato che nella maggior parte dei casi ci voglia più di un anno, e verrà imprigionato chi sbarca illegalmente nell’isola dal Canale della Manica. 

Il provvedimento è lungo 87 pagine. Lo firma una ministra dell’interno rigorista, Priti Patel. L’Home Office è in mano ai conservatori da un decennio e la linea è dura dai tempi di Theresa May, che poi sarebbe diventata primo ministro. Fuori dalla libertà di movimento europea, già limitata all’ingresso da un sistema di visti a punti, ora Downing Street vuole «riprendere il pieno controllo dei confini» e, nelle parole di Patel, aggiustare un sistema ritenuto «rotto», perché questa è stata la promessa incoronata, a più riprese, dagli elettori britannici. Il piano però viola le convenzioni internazionali e, soprattutto, sarebbe molto difficile da attuare: come buona parte dell’agenda sovranista post-Brexit, d’altronde. 

Come spiega il governo, lo scopo delle misure sarebbe scoraggiare l’immigrazione illegale e rimpatriare gli irregolari. Se Westminster approverà il testo, verranno istituiti nuovi reati con pene più severe: fino a quattro anni di carcere contro gli attuali sei mesi per chi entrerà nel paese senza averne i requisiti. La Border Force, cioè la polizia di frontiera, avrà nuovi poteri, come intercettare e confiscare imbarcazioni sospettate di trasportare migranti, oppure respingerle fuori dalle acque territoriali britanniche. Sul fronte dei rimpatri, verranno sveltiti i processi e gli Stati che non collaboreranno verranno puniti in termini di visti concessi ai connazionali che cercheranno di passare dai canali regolari. 

Uno dei punti più contestati riguarda la possibilità di (de)portare all’estero i richiedenti asilo mentre la loro domanda viene verificata. Il Regno Unito si allineerebbe così a paesi come la Danimarca e l’Australia, che hanno previsto centri di detenzione oltreconfine per i migranti. «Il governo britannico invertirebbe decenni di leadership globale sui diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo», ha commentato il New York Times. Sarebbe anche una violazione della convenzione Onu sui rifugiati del 1951, sottoscritta a Ginevra anche da Londra, oltre che da Copenaghen e Camberra. 

Per rendere operative le espulsioni, servirebbero accordi con le nazioni terze dove ricollocare le persone. Questo aspetto solleva dubbi e incognite sul rispetto dei diritti umani dei richiedenti asilo, una volta abbandonati mentre la loro pratica viene processata dalla burocrazia britannica. Anche perché, secondo le statistiche, il numero di chi ha dovuto aspettare più di un anno per un verdetto sullo status di rifugiato è decuplicato in un decennio: siamo ai 33 mila casi dell’anno scorso contro i 3.588 del 2010. Sempre nel 2020, le richieste di asilo sono state più di 36 mila. Ma sono ben 109 mila quelle ancora bloccate perché in attesa della valutazione e si stima che 79 mila di queste siano a sistema da oltre un anno. 

In base a quanto scrive il Times, ci sarebbero già stati colloqui tra i dirigenti dell’Home Office e i loro omologhi danesi per una cooperazione, con la creazione di un centro comune in Ruanda, dove Copenaghen ha già firmato un memorandum. Sono falliti i tentativi di interlocuzione con altri paesi dell’Unione europea, incluso il più importante, cioè la Francia che sta sull’altra sponda della Manica. Anche per questo, secondo i media britannici, Downing Street avrebbe accelerato verso soluzioni più radicali. 

Al di là della retorica, senza la collaborazione di Parigi il piano nasce azzoppato, perché ad aumentare sono gli sbarchi via mare: 6 mila persone da gennaio a giugno 2021, con la prospettiva di superare entro l’estate il record del 2020 di 8.417 ingressi. Secondo gli esperti, però, è il segnale di un cambio di rotta e non certo un’invasione: complessivamente, le richieste d’asilo sono calate del 18% rispetto al 2019. Crescono le traversate marittime perché, con la pandemia e l’aumento dei controlli nei porti settentrionali francesi (su tutti Calais), hanno smesso di essere praticabili le altre modalità «storiche», come quella – troppo spesso finita in tragedia – di nascondersi dentro o sotto i camion.   

Per ora, i laburisti concentrano la loro opposizione sulla gestione della pandemia da parte dell’esecutivo conservatore. Il feed Twitter del leader di sinistra Keir Starmer è monopolizzato dal cancelletto #JohnsonVariant, nel tentativo di incolpare il primo ministro per la risalita dei contagi e di sventare la grande riapertura promessa da quest’ultimo per il 19 giugno, contro il parere degli scienziati. Dare battaglia sul Nationality and Borders Bill non sembra una priorità, oppure se ne temono le ricadute elettorali. 

I critici fanno notare che spesso molte novità legislative «bandiera» sono rimaste sulla carta, ed è vero. A divorzio da Bruxelles consumato, però, va fatta notare una clausola della bozza: le richieste d’asilo verranno dichiarate inammissibili se i richiedenti hanno cittadinanza di un paese europeo – una puntualizzazione che sa di ritorsione – o hanno connessioni a una nazione terza considerata sicura (sull’aggettivo «sicuro» si potrebbe aprire un capitolo, chiedere al primo governo Conte). 

Secondo gli specialisti di Free Movement Uk, il provvedimento ingolferà ancora di più un sistema già sotto pressione, «rotto» per ammissione della ministra titolare. Anche chi avrà diritto all’asilo – accade almeno nel 60% dei casi – resterà bloccato in un limbo: fino al verdetto, non potrà lavorare legalmente; se oggi dipende dall’assistenza governativa, domani potrebbe venire trasferito all’estero. 

Lo stesso giorno in cui Patel – di famiglia indiana con trascorsi in Uganda – ha presentato il testo, un giudice le ha ordinato di riammettere nel Regno Unito entro due settimane un richiedente asilo, approdato su una piccola imbarcazione e respinto in Francia. In Libia era stato torturato e ridotto in schiavitù, ma ai funzionari britannici questa storia era «sfuggita» durante il colloquio, forse per via di un questionario semplificato per risparmiare tempo.

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