Tra le caratteristiche più notevoli emerse nella Germania di Angela Merkel si distingue, senza dubbio, il trionfo della “Erinnerungskultur”, la cultura del ricordo – termine con cui si esprime l’atteggiamento di pentimento e dolore dei tedeschi nei confronti delle atrocità commesse in passato.
Una mentalità che si traduce, come scrive questo pungente articolo di Politico, in una fitta serie di commemorazioni, giornate della memoria, discorsi colpevoli e responsabili improntati al motto non ufficiale del Paese: mai più.
Un fatto encomiabile – soprattutto se visto da un Paese che ha piuttosto scelto di minimizzare, rimuovere o addirittura abbellire (i crimini del colonialismo italiano sono ancora materia sconosciuta alla maggior parte delle persone) il passato scomodo della dittatura – e autentico.
Non vi è ragione di credere che, al di là dell’inevitabile retorica che inonda questi momenti, le intenzioni non siano sincere e convinte. Il problema è che, continua l’articolo, la Germania ricorda tutto e ricorda bene, ma non sembra avere imparato la lezione giusta.
Gli errori del passato, che per definizione non potranno mai essere superati (e questo ha mandato in pensione l’espressione Vergangenheitsbewältigung, con cui si definiva il continuo confronto con i crimini del nazismo) più che ispirare i tedeschi a combattere le dittature, le spinge – e giustifica – a intervenire il meno possibile.
La politica estera di Berlino, come è stato sottolineato più volte, è improntata alla riluttanza. La Germania è, a parole, sempre pronta a denunciare crimini contro l’umanità, a chiedere la liberazione di dissidenti e, in certi casi, a intervenire per salvarli, come testimonia il caso di Navalnij. Nei fatti, tuttavia, assume posizioni ritrose: invoca il dialogo, esalta l’importanza di mantenere le linee di comunicazioni aperte, anche con regimi come quello cinese, quello russo e perfino con Teheran. La sua scelta appare giustificata proprio dalla posizione morale che il suo passato le conferisce: noi sappiamo cosa succede se si cede alle ostilità.
Nel corso degli anni Berlino si è distinta, soprattutto in Europa, per la sua ambiguità nei confronti della Russia di Putin. Nel 2014, prima dell’abbattimento del volo MH17, si batteva contro le sanzioni per l’annessione della Crimea. Ha condannato a più riprese la repressione del regime nei confronti degli oppositori, ma non ha mai voluto sostenere in modo militare l’Ucraina (i Verdi lo hanno proposto quest’anno, per essere tacitati dal governo) e, a giugno 2021, stava lavorando con la Francia per riprendere gli incontri tra Mosca e l’Unione Europea, piano poi fallito per l’opposizione della Polonia,
A giustificare l’orientamento filorusso dei governi Merkel non concorre tanto l’origine della Kanzlerin, cresciuta nella Germania dell’Est comunista, quanto la pressione del vero imperativo morale tedesco contemporaneo: l’export. Per Berlino gli accordi con la Russia sul Nord Stream 2 sono fondamentali. Allo stesso modo, anche il floridissimo mercato con la Cina favorisce, più di tutto, il mantenimento di una posizione distensiva – anche se, sempre a parole, non si tira indietro se si tratta di condannare i crimini contro gli uiguri. Le esportazioni del resto sono la metà del Pil tedesco. Se scompaiono queste, scompare la prosperità del Paese e a cascata di tutta l’Europa.
Questa commistione di retorica, ideologia e calcolo economico favorisce la posizione attendista di Berlino. Evita l’azione, preferisce stare a guardare e privilegia – con la giustificazione morale data dalla Erinnerungskultur – la pace, meglio se proficua, anche a costo di non combattere i nemici di oggi della democrazia.
È questa la lezione sbagliata. I tedeschi (aiutati qui dal cinema americano) hanno interiorizzato l’idea che i crimini nazisti siano derivati dalla loro stessa natura, che va perciò tenuta a bada evitando il più possibile il coinvolgimento militare e la sua retorica, e non da ragioni storiche. Trincerarsi nell’inazione contro i regimi, insomma, aiuta a sostenere l’economia e consolida la sua posizione morale di nazione penitente.
Resta il fatto che, anche su questo, il clima sta cambiando. Sono sempre di più i tedeschi che si dicono esasperati dalla Erinnerungskultur e chiedono di andare oltre. E di fronte ai casi di antisemitismo, sempre più frequenti, alzano le spalle. Il Paese vuole cambiare, ma non è semplice, perché la Germania ha trasformato la sua sconfitta in una forza morale nei confronti degli altri Paesi. Lo si è visto quando la Polonia e la Grecia hanno chiesto – oggi – risarcimenti per i crimini commessi dai nazisti: l’opinione pubblica è stata contraria: i tedeschi non hanno pagato abbastanza?
E lo si è rivisto quantdo Berlino ha dovuto fare i conti con i crimini commessi in Africa occidentale all’inizio del XX secolo, quando aveva deciso di eliminare la popolazione degli Herero, che disturbavano le sue colonie in Namibia. Le violenze portarono all’uccisione di oltre 100mila persone, oltre che a deportazioni e distruzioni.
Per riparare agli errori del passato, la Germania ha allora proposto, a maggio, di finanziare progetti per le popolazioni Herero e Nama in Namibia per i prossimi 30 anni, per un totale di 1,1 miliardo di euro. Non tantissimo. Soprattutto se si nota che il Paese africano, ormai colpito dal Covid, non ha vaccini e Berlino, pur disponendone in abbondanza, non pensa nemmeno di rifornirlo. Sarebbe stato un gesto più importante e, senza dubbio, apprezzato.