Stando ai numeri, forniti dall’Amministrazione Biden, nelle aree metropolitane, nello scorso anno, gli omicidi sono aumentati del 30% e gli assalti armati dell’8%. E quest’anno, nel solo primo trimestre, il numero dei morti assassinati è cresciuto di un ulteriore 24% rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 49% rispetto all’intero 2019.
Questa ondata di violenza non ha investito solo i luoghi classici di New York come il Bronx e Brooklyn, o di Chicago, ma anche città più insospettabili come Atlanta, Detroit, Washington dc, Baltimora, Memphis o Philadelphia.
All’allarme dell’opinione pubblica il presidente Biden ha risposto con un piano in 5 punti molto ambizioso che prova a coniugare le misure di ordine pubblico con quelle socioassistenziali puntando al potenziamento delle forze di polizia, alla prevenzione attraverso piani di assistenza anche psicologica per i soggetti ritenuti potenzialmente criminali, alla creazione di una rete di opportunità occupazionali anche di breve periodo che appiano togliere soprattutto i giovani dalla strada, al reinserimento guidato nella vita lavorativa e sociale delle persone che escono dal carcere.
Ma in primo luogo pretendendo controlli più stringenti nella vendita delle armi con una maggiore pressione su tutti quei commercianti che non rispetteranno le regole già esistenti verificando che la persona alla quale si sta effettuando la vendita di un’arma non abbia precedenti penali o disturbi mentali.
Secondo Biden dunque il dato di fatto che ci siano troppe pistole nelle mani sbagliate dipende dalle reti che le fanno entrare nelle comunità, tra cui i rivenditori che con la loro attività favoriscono i crimini violenti. Reti che verranno ricercate e smantellate con tolleranza zero.
Meno politico ma altrettanto eloquente, è stato il tiro ordito ai danni dell’ex presidente di una potente lobby delle armi, David Keene e dello scrittore John Lott, sostenitore del diritto all’autodifesa, che sono saliti su un classico palco dove normalmente negli stati Uniti si pronunciano i discorsi ai neodiplomati, e hanno tenuto il loro discorso, basato sul diritto all’uso delle armi per l’autodifesa, di fronte a una platea composta da migliaia di sedie vuote.
I due illustri oratori hanno pensato che l’assenza fisica degli studenti fosse una misura di sicurezza dettata dai tempi di pandemia ma in realtà così come erano inesistenti i diplomati che avrebbero dovuto sedere su quelle sedie era inesistente anche la scuola intitolata a James Madison il presidente che sostenne l’introduzione del Secondo emendamento che garantisce il diritto all’autodifesa, un principio pensato per autorizzare i cittadini americani a difendere il Paese da un eventuale colpo di Stato e diventato nel tempo un viatico all’acquisto indiscriminato di armi.
Cosicché il discorso di lode al presidente e fondatore della scuola e alla sua visione del ruolo dei cittadini armati è stato pronunciato dai due testimonial inconsapevoli della verità dei fatti: si trattava di una manifestazione di protesta ordita da Change the Ref, un’organizzazione che combatte l’uso delle armi e che ha messo in piedi questa manifestazione per ricordare le 3.044 giovani vittime delle armi che si sarebbero diplomate quest’anno, la cosiddetta “Class Lost 2021”.
Quella che non ha potuto vivere una delle giornate più importanti per i giovani a causa delle armi. Ma anche per chiedere all’opinione pubblica americana, che ha potuto vedere il filmato dell’evento in rete, una maggiore sensibilità al tema e una maggiore mobilitazione per contrastare il fenomeno delle stragi.
La vicenda è semplice, pur nella complessità organizzativa della messa in scena il messaggio è oltremodo chiaro: chi subisce una tragedia simile da quel momento in avanti non perderà mai di vista la consapevolezza dell’ingiustizia subita, della perdita non solo del proprio figlio, nipote o fratello che sia, ma anche delle sue potenzialità. Di ciò che sarebbe stato e non sarà. Della vita che avrebbe potuto avere e non avrà. Dell’infinita gamma di possibilità individuali, familiari e sociali interrotte da un gesto inconsulto.
Quel che invece semplice non è, tant’è che il cambiamento non è ancora avvenuto in millenni di storia, è la comprensione del ruolo significativo che ogni individuo può avere nell’indirizzare le scelte sociali, quindi pubbliche.
Ad ogni singolo evento tragico ci commuoviamo, ci indigniamo, ci scagliamo contro il colpevole, la politica, l’amministrazione pubblica, le forze di sicurezza e via col dire, ma questo accade a caldo, a freddo poi ce ne disinteressiamo.
Tuttavia, va detto chiaramente che il disinteresse, il non occuparci di qualcosa, il non prendere posizioni precise è un preciso atto politico esattamente come lo è esprimere una preferenza.
Dunque, di fronte al caso di cui stiamo parlando, le stragi dovute all’uso indiscriminato di armi di facile reperimento, in cima alla lista dei colpevoli dobbiamo mettere il nostro atteggiamento ponziopilatesco.
È tempo di capirlo: non scegliere è un atto politico decisivo tanto quanto scegliere. Soprattutto in un mondo globalizzato come quello in cui viviamo.