«Il primo giorno di lavoro in Primark ero emozionato. Il negozio era pieno di gente. Mi hanno spiegato cosa fare, mi hanno dato la divisa e ho iniziato». A raccontare la sua prima esperienza da addetto alle vendite di un grande magazzino alle porte di Milano è Alhassane Camara, 21 anni, uno dei cittadini immigrati avviati recentemente in un percorso di inserimento lavorativo grazie ai progetti di Fondazione Adecco per le Pari opportunità.
La storia di Camara, presentata nel corso del ciclo “Da vent’anni fa” per celebrare il ventesimo anniversario della Fondazione, non è la sola. Come partner dell’Unhcr e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, la Fondazione si occupa da molto tempo di progetti che riguardano l’inclusione lavorativa di persone con un background migratorio, grazie a un processo di triangolazione con le organizzazioni del terzo settore da un lato e il fondamentale supporto delle aziende dall’altro.
«Il nostro operato ha l’obiettivo di accompagnare persone fragili nel mondo del lavoro, ma anche di sensibilizzare le aziende ad aprire le porte alla multiculturalità e alla diversità, perché la diversità è ricchezza nei team», ha spiegato Francesco Reale, segretario generale della Fondazione. Il tutto all’interno della cornice del Gruppo Adecco, che per il terzo anno consecutivo è stato premiato con il riconoscimento “WelcomeWorking for refugee integration”, che l’Unhcr conferisce alle aziende che si sono distinte per l’inclusione di persone rifugiate e richiedenti asilo.
«Il lavoro fa sempre più la differenza nell’inclusione sociale, restituisce dignità alla persona», ha detto Reale. «E questo vale anche e soprattutto per le persone migranti che arrivano in Italia alla ricerca di una vita migliore, portando con sé competenze, qualifiche ed esperienze che hanno un grande potenziale per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese: persone e talenti prima che migranti».
Il problema è che buona parte di questo potenziale resta inespresso, proprio per la mancanza di politiche di inclusione adeguate, in grado di valorizzare i talenti di ognuno e tracciare percorsi che coinvolgano tutti gli attori sociali. Aziende, servizi pubblici e realtà non profit.
«È necessario oggi avere soggetti privati, come la Fondazione e le aziende, in grado di operare da facilitatori dell’inserimento lavorativo delle persone migranti», ha dichiarato Mauro Soldera, general counsel per il Sud Europa, Est Europa, Medio Oriente e Nordafrica del Gruppo Adecco, oltre che membro del cda della Fondazione Adecco per le Pari opportunità. «Perché senza accesso lavorativo è difficile attuare concretamente gli altri diritti, con un impatto sociale conseguente. Più la nostra comunità è in grado di accogliere queste persone, più può valorizzare le competenze e la diversità di cui sono portatrici, più arricchiamo noi stessi». E le aziende in particolare, ha spiegato Soldera, giocano «un ruolo centrale per rendere il fenomeno migratorio una risorsa e cambiare la vita di queste persone».
Come dimostra il caso di Primark, che con Fondazione Adecco per le Pari opportunità collabora dal suo arrivo in Italia. Nei sette negozi sparsi su tutto il territorio nazionale, sono presenti lavoratori di almeno dieci diverse nazionalità. «Da un lato favoriamo l’inserimento di colleghi che altrimenti avrebbero difficoltà in tal senso», ha spiegato Marco Bressan, Head of People & Culture di Primark, «dall’altro garantiamo ai nostri collaboratori la possibilità di vivere l’inclusione come un’opportunità di crescita personale e professionale. Primark è un microcosmo della realtà al di fuori dei nostri negozi».
Ogni progetto viene preceduto da un lavoro di preparazione e formazione in azienda. E all’inserimento lavorativo collabora, di volta in volta, un team aziendale formato sul tema, in modo da garantire la buona riuscita dell’inclusione e far fronte a eventuali imprevisti.
«Ho iniziato seguendo un corso», ha raccontato Camara. «Poi ho fatto il colloquio e alla fine è arrivata la telefonata per cominciare. All’inizio ero molto timido, non parlavo con nessuno. Poi piano piano ho stretto grandi amicizie con i colleghi». Certo, ammette Marco Bressan, «c’è ancora tanto da fare in Italia. Ma le aziende hanno una grossa responsabilità. L’iniziativa spetta anche a noi. E bisogna continuare su questa strada». Camara ha firmato da pochi giorni un contratto a tempo indeterminato, che cambierà per sempre la sua vita.