In tre anni Mancini non ha solo restituito una dignità agli Azzurri, ma li ha riportati nella contemporaneità calcistica: è forse una delle poche volte in cui la Nazionale è all’avanguardia rispetto ai club di Serie A, e non solo grazie al ct.
Dal 2010, infatti, con la nomina di Arrigo Sacchi a coordinatore tecnico delle nazionali giovanili, e Maurizio Viscidi come vice, il calcio italiano ha iniziato un lungo percorso di ricostruzione, quasi una rivoluzione nelle metodologie: non solo di allenamento, ma anche di valutazione dei giovani e di relazioni con i club.
Dopo l’addio di Sacchi, Viscidi ne ha preso il posto, continuando nello stesso percorso, quello di ampliare le capacità cognitive dei giocatori, slegandoli dall’apprendimento rigido degli schemi. Una filosofia ben riassunta dall’acronimo Carp: Costruzione, Ampiezza, Rifinitura e Profondità. Si tratta in sostanza di quattro macro-princìpi di gioco, in fase di possesso, in base al quale i ragazzi devono saper interpretare quello che succede in campo, senza soluzioni schematiche preordinate e senza ruoli fissi.
I macro-princìpi utilizzati da Viscidi per le nazionali giovanili sono in realtà quelli utilizzati ormai da tutti i grandi club europei e verso cui il calcio del futuro si potrebbe spingere ancora di più. Secondo l’enfant prodige del calcio tedesco, Julian Nagelsmann, che dopo le esperienze all’Hoffenheim e al Lipsia è stato scelto come allenatore del Bayern Monaco a soli trentatré anni, ai calciatori del futuro sarà richiesta una capacità cognitiva più ampia: dovranno elaborare le informazioni più rapidamente e prendere decisioni in frazioni di secondi. In un’ottica quasi distopica, secondo Ralf Rangnick, l’architetto del sistema calcistico del Lipsia, i momenti più importanti di una partita diventeranno quei cinque secondi successivi alla perdita del pallone: le transizioni, in un calcio sempre più veloce e iperdinamico.
Proprio dal movimento tedesco l’Italia ha molto da imparare: in una fase di stanca, alla fine degli anni Novanta, e in particolare dopo il fallimento dell’Europeo del 2000, la federazione tedesca intraprese una radicale riforma del sistema giovanile. Investimenti in infrastrutture, nella formazione dei tecnici e un ruolo forte dei centri federali nella gestione dei giovani, oltre a obblighi per i club per la creazione dei settori giovanili. I risultati non sono arrivati subito, ma la Germania ha adesso una delle scuole calcistiche più all’avanguardia del mondo. La speranza è che la federazione italiana prosegua nel percorso intrapreso, se possibile anche con maggior forza, in modo da trainare pure i club professionistici.
Il calcio del 2021 è in piena evoluzione: nei club appaiono gli analisti dei dati (ingegneri, fisici, astrofisici), ormai a supporto dello staff tecnico e della dirigenza. Non esiste più un grande club senza una grande data room: anche nel calcio, elaborare e comprendere i dati – sia della propria squadra che delle altre – può rappresentare un vantaggio competitivo, in campo e nella scelta dei giocatori.
Nonostante l’approccio ormai scientifico, le prospettive distopiche di chi immagina un calcio robotico non devono preoccupare. Anche se in continua evoluzione, il calcio non ha mai seguito una linea retta, ma anzi spesso rielabora il passato, come testimoniano i numerosi richiami tattici.
Il WM della Nazionale, appunto, o la cosiddetta Piramide di Cambridge di fine Ottocento – il modulo 2-3-5 – riutilizzato da Guardiola al Bayern e al City; la ricomparsa di una figura simile al libero, ma solo in fase di possesso, con compiti di conduzione e verticalizzazione (come de Jong nel Barcellona di Koeman); la rinnovata attenzione per la solidità difensiva, già individuata da Klopp come possibile vantaggio competitivo e messa in pratica anche da Guardiola e Tuchel nell’ultima stagione, con le due migliori difese del torneo a raggiungere la finale di Champions League.
Un calcio sempre più liquido, in cui i ruoli non esistono più, gli schemi tendono a sparire in favore dei princìpi e i moduli sono numeri poco indicativi. Un calcio di paradossi apparenti, in cui il portiere deve essere bravo con i piedi e il centravanti può essere lo spazio; in cui per difendere meglio ci si avvicina sempre di più all’area avversaria, e per attaccare meglio si costruisce sempre più vicino alla propria area.
Il calcio italiano mira a riportarsi nella rotta dei principali movimenti europei e la Serie A vuole tornare ai suoi antichi splendori: per riuscirci, bisogna proseguire il lavoro sui princìpi di gioco, sulle metodologie e sulla tecnica. Il calcio europeo mostra che non può esistere una filosofia del risultato a sé stante: per vincere con continuità, il percorso che conduce all’esito finale è altrettanto importante. Una lezione che prima o poi anche il calcio italiano dovrà imparare.
da “Calcio liquido. L’evoluzione tattica della Serie A”, di Emiliano Battazzi, 66thand2nd, 2021, pagine 256, euro 16