Dopo un inizio roseo, i rapporti tra Biden e l’Europa sono già a un bivio fondamentale. Il presidente degli Stati Uniti è arrivato a Bruxelles a giugno ed è stato trattato come un alleato di importanza vitale: «L’America è tornata sulla scena globale», disse Biden davanti a Charles Michel, presidente del Consiglio europeo. «È un’ottima notizia per la nostra alleanza. È anche una grande notizia per il mondo».
Ma la crisi afghana ha complicato i rapporti mettendo in dubbio anche la tenuta dell’alleanza transatlantica. «Biden ha promesso un rapporto molto meno infiammabile con gli alleati occidentali degli Stati Uniti e sembrava lodare i colleghi europei con i suoi inni verso valori condivisi e i suoi rinnovati sforzi per aiutare a guidare un’azione collettiva sul cambiamento climatico. Ma le fonti di attrito rimangono. L’amministrazione Biden, che promuove il proprio marchio di populismo economico, deve ancora revocare completamente una lista di tariffe sui beni europei messe in atto dall’ex presidente Donald Trump», si legge sul Washington Post.
Nel frattempo l’Unione europea ha rimosso gli Stati Uniti dalla sua lista sicura di nazioni in cui turisti non devono affrontare restrizioni di viaggio a causa della pandemia di coronavirus. La mossa, che funge da linea guida per i 27 Stati membri del blocco, è stata una reazione al peggioramento della situazione negli Stati Uniti, ancora una volta teatro di un aumento delle infezioni e di un tasso di vaccinazione contro il coronavirus in ritardo rispetto all’Ue.
«Ora questa mancanza di reciprocità è solo un’increspatura in un lago crescente di malcontento transatlantico». Portato all’apice dall’improvvisa presa di potere dei talebani in Afghanistan e la gestione apparentemente caotica del ritiro americano, che hanno scosso la fiducia europea in Biden.
Per di più la scorsa settimana i leader europei hanno fatto pressione su Biden affinché ritardasse la scadenza prevista per il 31 agosto per il ritiro delle truppe dal territorio afghano. Il presidente degli Stati Uniti non ha cambiato la sua decisione, alimentando ulteriormente il malcontente occidentale.
«Per una miriade di politici e diplomatici europei, in particolare nei paesi che hanno investito molto nel sostenere la missione NATO in Afghanistan, durata due decenni, gli eventi delle ultime settimane sono serviti da freno istantaneo. Biden, agendo sull’accordo di Trump con i talebani, ha annunciato un ritiro completo che i suoi alleati della NATO non avevano altra scelta che seguire. Mentre i funzionari europei esprimono preoccupazione per la difficile situazione umanitaria nel Paese, nonché per la prospettiva di nuovi enormi flussi di rifugiati afghani, si lamentano anche in privato della mancanza di una vera consultazione con l’amministrazione Biden».
Un mossa che ha inoltre spinto i leader europei a rivalutare l’idea di un esercito comunitario, e quindi una maggiore autonomia militare e strategica lontana dal cappello bellico americano. «La nostra intelligence era davvero così scarsa? La nostra comprensione del governo afghano era così debole? Le nostre conoscenze sul campo erano così inadeguate?», ha detto l’ex primo ministro britannico Theresa May. «O pensavamo solo di dover seguire gli Stati Uniti e sperare in bene?», ha poi sottolineato.
La guerra in Afghanistan è stata la prima missione nella storia della NATO a emergere dall’invocazione dell’Articolo V, la disposizione di difesa collettiva dell’alleanza. Biden potrebbe essere in grado di scrollarsi di dosso il suo epilogo caotico, ma è stato un duro colpo per il prestigio europeo.
«Per paesi come la Germania e il Regno Unito che hanno investito molto in Afghanistan – capitale politico, truppe, fondi – l’operazione in Afghanistan riguardava il loro impegno nei confronti della NATO e dell’alleanza», ha detto Benjamin Haddad, direttore del Centro europeo presso il Consiglio Atlantico. «Ecco perché quello che è successo nelle ultime settimane è un vero trauma per Berlino e Londra. Segnala un cambiamento di priorità per gli Stati Uniti che va più in profondità delle personalità e della retorica presidenziale».
Tutto ciò è frutto di una politica che, nonostante la presa di distanza durante la campagna elettorale, ha avuto inizio con l’amministrazione Trump. Si tratta di capire cosa vuole e cosa non vuole più fare l’America. «L’Europa è stata il fulcro della politica estera degli Stati Uniti per la maggior parte del XX secolo e in particolare durante la Guerra Fredda, ma il crollo del comunismo, l’ascesa della Cina e dell’Asia, le guerre e le campagne antiterrorismo successive all’11 settembre hanno spostato le priorità degli Stati Uniti altrove», ha scritto Stephen M. Walt in Foreign Policy . Pertanto serve una «conversazione franca, tra alleati, su ciò che gli americani non vogliono più fare, e in cui gli europei devono assumersi la responsabilità».