Lo sconvolgimento globale causato dalla pandemia ha messo in luce i pericoli nascosti dietro minacce minuscole come un virus. Qualunque governo, autorità di sicurezza o comune cittadino si sentirebbe più al sicuro se gli agenti patogeni più letali fossero pienamente sotto controllo: abbiamo imparato, in questi mesi che non è così, che in giro ci sono altre centinaia di migliaia di virus che ancora non conosciamo.
C’è poi il rischio di diffusione di virus frutto di sperimentazioni non controllate: negli ultimi anni i laboratori genetici fai-da-te si sono moltiplicati e non difficilmente possiamo sapere cosa bolle in pentola, o nei baker.
Ne scrive il Financial Times, con un articolo firmato da Izabella Kaminska che racconta come «il calo dei costi e la crescente accessibilità a strumenti di manipolazione genetica abbia favorito la proliferazione di laboratori in garage».
Il quotidiano economico parte dall’esperienza diretta di Paul Dabrowa, australiano di 41 anni che sta facendo esperimenti di biohacking (esperimenti scientifici fai-da-te che mirano a migliorare le performance umane, fisiche o cerebrali) nella sua cucina – principalmente per cercare cure ai suoi problemi di salute, ma anche per divertimento.
Dabrowa sta anche modificando geneticamente la birra in casa in modo da renderla brillante. Il processo prevede l’acquisizione di informazioni dal dna delle meduse e l’applicazione alle cellule di lievito; da qui si passa ai tradizionali metodi di fermentazione per trasformare il composto in alcol.
Intervenire sulla birra fatta in casa, e prodotta solo per uso personale, potrebbe sembrare una cosa da poco. Ma Dabrowa è preoccupato che possa essere comunque contro la legge, dal momento che si tratta a tutti gli effetti di manipolazione di materiale genetico.
«Nonostante la mancanza di una formazione microbiologica vera e propria, Dabrowa è riuscito a modificare geneticamente i suoi batteri intestinali a partire da un campione delle sue feci, per perdere peso senza dover cambiare il suo regime alimentare quotidiano. I risultati positivi che ha visto su se stesso lo hanno incoraggiato a provare a rendere pubblici i suoi con l’aiuto di un angel investor: spera di raccogliere fino a 3mila campioni fecali dai donatori e condividere pubblicamente i risultati», si legge nell’articolo.
In un passaggio della sua lunga intervista, Dabrowa sottolinea la semplicità con cui ha reperito informazioni fondamentali per le operazioni che avrebbe svolto, e anche aiuti concreti da parte di esperti: «Ogni volta che mi annoiavo andavo su YouTube e guardavo lezioni di fisica e biologia del MIT (Massachusetts Institute of Technology). Ho provato gli esperimenti a casa, poi ho capito che avevo bisogno di aiuto e ho contattato i professori del MIT e di Harvard. Erano più che felici di aiutarmi».
Gli scienziati da garage, se così si possono definire, non sono semplicemente una singolare e bizzarra sottocultura: i rischi di una manipolazione genetica non controllata sono enormi e non a caso stanno attirando l’attenzione di chi, nei governi e negli organismi internazionali, si occupa di tenere sotto controllo delle minacce biologiche.
Era il 2018 quando gli Stati firmatari della Convenzione sulle armi biologiche (datata 1972) hanno ricondotto l’editing genetico, la sintesi genica, e l’ingegneria del metabolismo alla categoria di “Dual-use” (o prodotti a duplice uso), cioè tecnologie che possono avere un utilizzo sia civile sia militare e che in questo modo ovviamente possono facilmente essere oggetto di ricerca e studi sfruttati per scopi dannosi.
«Una maggiore accessibilità a certe tecnologie può certamente aumentarne l’uso improprio accidentale o deliberato, perfino implementare armi biologiche da parte di malintenzionati», avverte il Financial Times.
Per Dabrowa è una svista normativa, un errore a cui rimediare: lui stesso avvisa che le tecniche di sequenziamento del dna, alle quali lui può accedere da semplice appassionato della materia, potrebbero essere facilmente utilizzate per produrre in casa agenti patogeni letali come il vaiolo partendo dal vaiolo bovino naturale.
«Se i bioterroristi volessero farlo senza essere scoperti – dice – potrebbero acquistare un sintetizzatore di dna di seconda mano per 2mila dollari, e mettere in piedi un processo scientifico che costerebbe non più di 10mila dollari. Facendo tutto questo in una comunissima cucina».
In teoria la Convenzione sulle armi biologiche chiederebbe agli Stati di impegnarsi a prendere tutte le misure possibili per vietare e prevenire lo sviluppo di armi biologiche con tali capacità a duplice uso. Cioè avrebbero la responsabilità di monitorare e controllare attività come quella di Dabrowa e altri scienziati da garage.
Nei fatti, però, la Convenzione non ha prodotto l’effetto sperato: in diverse giurisdizioni molti dei codici di condotta prevalenti sono poco chiari su ciò che è consentito fare. E l’accesso – semplicissimo – a strumenti di modifica genetica aumenta sensibilmente il rischio di bioterrorismo.
«La vera sfida per la comunità internazionale è interagire meglio con questi scienziati o con gli studenti. Senza però soffocare l’innovazione o limitare le persone che vogliono conoscere la biologia», scrive il Financial Times.
Il rischio, infatti, è che a causa di questa nuova minaccia, i governi e i decisori politici attribuiscano una cattiva reputazione l’intera comunità di scienziati da garage. Questi ultimi non sono necessariamente pericolosi: grandi scoperte scientifiche sono spesso derivate da chi si è messo a studiare in proprio.
Una delle fonti consultate dal Financial Times fa un paragone con i grandi imprenditori del settore tecnologico che negli anni ‘70 e ‘80 hanno portato alla rivoluzione dell’informatica partendo proprio da laboratori indipendenti attrezzati nei loro garage – la storia di Steve Jobs in questo senso è esemplare. «Invece di sviluppare Internet, le loro scoperte cureranno le malattie e aumenteranno la durata della vita di tutti», si legge nell’articolo.
Trovare il giusto equilibrio tra la sperimentazione, che incoraggia l’innovazione, e il contenimento dei rischi non è mai stato facile in campo microbiologico. Tra l’altro, sottolinea il Financial Times, molti studi genetici attualmente in corso – tra quelli teoricamente approvati e autorizzati – si svolgono in ambienti molto meno controllati di quanto molti possano pensare.
«Tra i processi più rischiosi – spiega il quotidiano – figura un metodo di ricerca noto come “guadagno di funzione” (in inglese è gain of function) che consiste nel produrre, su un organismo, modificazioni genetiche, chiamate anche mutazioni attivanti, in grado di determinare l’acquisizione di una nuova funzione o il potenziamento di una preesistente. In pratica si tratta di armeggiare intenzionalmente con i virus per renderli più infettivi: è un metodo che permette di studiare e sviluppare più rapidamente vaccini e terapie di cura».
Questo metodo si è diffuso nella comunità scientifica internazionale soprattutto a partire dal novembre 2011, cioè quando il virologo Ron Fouchier l’ha utilizzato per studiare l’influenza H5N1, responsabile dell’epidemia di influenza aviaria che a partire dal 2003 ha ucciso centinaia persone
Gli studi di Fouchier hanno rivelato come, applicando artificialmente poche mutazioni, il virus H5N1 poteva diventare più infettivo e trasmissibile all’uomo, in quanto poteva trasmettersi tra mammiferi per via aerea: in pratica aveva prodotto un virus pericoloso come l’influenza aviaria e contagioso come un raffreddore stagionale.
«Per creare l’agente patogeno altamente letale, Fouchier aveva prelevato campioni di influenza e li aveva usati per infettare i furetti molte volte, raccogliendo campioni dai furetti più malati per infettare i successivi, a catena. La semplicità e l’economicità del processo aveva attirato l’attenzione di molti addetti ai lavori», spiega il Financial Times.
La comunità scientifica sapeva che dietro gli studi di Fouchier si nascondeva un pericolo evidente: pubblicare i risultati delle sue ricerche avrebbe aumentato le probabilità che il virus mutato potesse essere ricreato in laboratorio per fini terroristici.
È proprio quest’ultima vicenda a ricordarci che molti scienziati cercheranno e troveranno sempre “soluzioni alternative” per svolgere le loro ricerche. E sarà sempre più difficile frenare certe scoperte, nel bene e nel male.
«Per questo meglio – conclude il Financial Times – è preferibile finanziare la ricerca in contesti ufficiali dove può essere controllata e influenzata piuttosto che vietarla e farla infiltrare in studi non presidiati». Ammesso che questo possa bastare a frenare gli scienziati da garage.