Istituzione glocalLe città saranno le vere protagoniste della politica internazionale

In un periodo di profondo ripensamento degli spazi urbani, il nuovo libro del professor Lorenzo Kihlgren Grandi, “Diplomazia delle città” (Egea), mette in luce il peso e l’importanza che possono e devono avere le metropoli in questioni globali come le migrazioni, la tutela dell’ambiente, la mobilità di merci e persone

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La città è un soggetto politico e giuridico paradossale: è una delle forme di organizzazione più naturali per l’uomo, una delle prime a emergere, ma oggi è subordinata in tante cose allo Stato, ai soggetti sovranazionali e altri organi con competenze maggiori, più ampie, che sembrano comprimerne lo spazio di azione. Allo stesso tempo, le città riescono a ritagliarsi un ruolo di rilievo anche in questioni che solitamente vengono ricondotte a una scala di osservazione più grande: le città sono i cardini dell’economia globale, dei flussi di informazione e della mobilità di beni e persone, intervengono sulle migrazioni, la tutela dell’ambiente e nelle relazioni internazionali.

In un momento storico di profondo ripensamento della città, con il Covid-19 che ha costretto a ripensare gli spazi e la vita dell’uomo, è utile fare luce sull’evoluzione di questa istituzione fondamentale, sul percorso e la trasformazione in atto: è qui che si inserisce il nuovo saggio di Lorenzo Kihlgren Grandi, “Diplomazia delle Città” (Egea).

Docente alla Columbia University, a Sciences Po e all’École Polytechnique di Parigi, Lorenzo Kihlgren Grandi è uno dei principali esperti della materia: da diversi anni affianca Comuni e reti di città nella definizione e realizzazione delle proprie strategie internazionali; presiede il think thank parigino Urban Flag, il gruppo di lavoro Globalization, Territories and Integration dell’Associazione Internazionale delle Scuole e degli Istituti di Amministrazione.

Nel suo libro l’autore spiega, anche attraverso alcuni esempi concreti, come stia cambiando il ruolo dei Comuni nello scenario mondiale, con più centri urbani capaci di affermarsi come motori di cambiamento dentro e fuori i propri confini pur senza avere ancora ottenuto ufficialmente una sedia al tavolo della politica globale al fianco di Stati e organizzazioni internazionali.

«Non esisteva un vero e proprio manuale che raccontasse la diplomazia delle città, una materia resa complicata dal fatto che negli ultimi secoli, tra la scala locale e quella internazionale si è messo di mezzo lo Stato», dice il professor Grandi a Linkiesta. «La diplomazia delle città è però una disciplina alla portata di tutte le città, di tutte le dimensioni: bisogna solo comprenderne il funzionamento e l’adattamento al caso specifico. Allora il libro vuole essere non solo un manuale di supporto per ricercatori e studenti, ma uno strumento per aiutare i professionisti della città che sono interessati ad ampliare l’azione municipale con la diplomazia».

A partire da numerosi esempi concreti, come l’importanza per lo sviluppo urbano dei Giochi Olimpici, la nomina a Capitale europea della cultura o il ruolo delle amministrazioni comunali nella gestione della pandemia, “Diplomazia delle città” offre uno sguardo inedito sulle relazioni internazionali e fornisce indicazioni concrete su come valorizzare il pieno potenziale delle città stesse.

La parte più difficile dell’opera di Grandi è proprio quella di giustificare, in qualche modo, la pulsione internazionale di un’istituzione che in realtà sarebbe subordinata allo Stato e ad altri soggetti con maggior rilevanza sul piano internazionale.

«La grande difficoltà della diplomazia delle città – spiega l’autore – è proprio il suo inserimento nell’ordine attuale delle relazioni internazionali, che a grandi linee è ancora quello disegnato dalla Pace di Vestfalia del 1648, basato sul primato degli Stati-nazione. Anche negli ultimi secoli, però, le città tra loro hanno sempre realizzato scambi culturali, politici, economici come facevano prima. Solo che dal punto di vista giuridico c’è una limitazione chiara: il diritto internazionale considera le città solo come emanazione dell’amministrazione centrale, quindi subordinata allo Stato. Così l’azione internazionale è ancora soprattutto informale, semplice espressione di volontà politica, che non può avere effetti vincolanti».

Ecco, con queste limitazioni sarebbe logico pensare che sul piano internazionale le città abbiano un ruolo secondario, minimo, o nessun ruolo. Invece non è così: ne sono un esempio la tutela dell’ambiente e le politiche per contrastare la crisi climatica – uno dei temi in cima all’agenda globale, a tutti i livelli.

Le città sono in una condizione quasi paradossale: da un lato sono la causa principale del cambiamento climatico, perché il 70% di emissioni e consumi si ritrovano nelle città, che ha senso perché il 55% della popolazione mondiale vive nelle città; dall’altro sono anche le principali vittime della crisi. È il caso delle città costiere che fronteggiano l’innalzamento del livello dei mari, come Giacarta o New York, oppure quelle che soffrono di più le onde di calore e le nuove temperature, o ancora quelle che già devono fare i conti con nuove calamità naturali.

«Un’amministrazione comunale prende, in questo caso, due tipi di decisioni. Su scala locale può stabilire piani energetici, ridisegnare la mobilità cittadina, dialogare con il settore privato. Ma è su scala internazionale che può avere il maggior impatto e avvicinare gli obiettivi che la comunità internazionale si sta dando: l’unione di molte città in tutti i continenti crea progetti in materia ambientale, attiva politiche, porta l’attenzione su uno dei temi più attuali e rilevanti di questa fase storica. Insomma, raggiunge risultati che altre istituzioni, fisicamente più lontane dai cittadini, non potrebbero raggiungere», dice Lorenzo Kihlgren Grandi.

In “Diplomazia delle città”, Grandi cita diversi esempi di cooperazione tra città anche geograficamente distanti. Milano e Quelimane, in Mozambico, collaborano per migliorare la gestione dei rifiuti della città africana. Malmo, in Svezia, valorizza le buone pratiche enogastronomiche coltivate grazie alla sua straordinaria diversità etnica con la rete Délice, le cui 32 città appartenenti (spalmate su quattro continenti) cooperano per promuovere l’utilizzo del buon cibo come strumento di sviluppo economico, public branding e fonte di benessere per tutti i cittadini.

E poi, ancora, la capacità di innovazione di Accra, Kigali, Lagos, Lusaka, Monrovia e Nairobi, permette loro di fare rete ed emergere come poli regionali e mondiali dello sviluppo nell’ambito delle smart city.

Proprio alle smart city è dedicato un capitolo in cui si analizza il ruolo della tecnologia per lo sviluppo delle città, e l’evoluzione del concetto stesso di smart city. «L’idea della smart city nasce come un’equazione semplice: un maggiore utilizzo di tecnologie digitali da parte di un’amministrazione comunale avrebbe migliorato il funzionamento urbano economico e sociale, quindi la vita dei cittadini. Questo approccio ha generato una sorta di corsa alla tecnologia, che in un certo senso è ancora la concezione dominante della smart city», spiega l’autore.

Oggi però si è sviluppata anche una visione parallela, aggiornata, più sostenibile, della smart city: la tecnologia ha smesso di essere un fine, deve diventare un mezzo, perché al centro deve esserci sempre il cittadino.

«La conseguenza è che la tecnologia più utile non è sempre quella di domani, ma semplicemente quella richiesta dal caso specifico. Un approccio che si sta sviluppando anche in Italia, capitanato dalla città di Milano, o a Parigi. Questo movimento, che mette il cittadino al centro, è molto diffuso anche nei Paesi che sono partiti in ritardo, penso a molte zone dell’Africa che non hanno avuto l’evoluzione tecnologica dell’Europa ad esempio: qui le città sono riuscite, saltando delle tappe, a creare esempi di smart city adattandosi alle reali necessità della popolazione con investimenti più bassi», dice Lorenzo Kihlgren Grandi.

Nelle ultime settimane abbiamo visto il peso che possono avere le azioni di un sindaco, un’amministrazione cittadina, un Comune, in questioni di portata mondiale come la crisi afghana. I richiedenti asilo accolti nelle città italiane ed europee sono la dimostrazione del ruolo che possono avere i Comuni nel grande schema delle migrazioni globali.

«Le migrazioni hanno una dimensione fortemente urbana – dice Lorenzo Kihlgren Grandi – perché le persone che si spostano si dirigono principalmente nei grandi centri. Questa dinamica ha fatto sì che le amministrazioni comunali si dotassero di strumenti per gestire l’arrivo di un gran numero di nuove persone, prima dal punto di vista umanitario – fornendo strumenti fondamentali alla persona come vitto, alloggio, servizi per la salute – e poi dal punto di vista dell’integrazione. Non solo per un imperativo morale, ma anche per creare dinamismo economico, sociale e culturale».

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