Unfit to leadIl comizio di Giorgia Meloni a Milano è la prova plastica dell’inadeguatezza della destra

La leader di Fratelli d’Italia è arrivata in piazza Duomo a insinuare che i suoi avversari politici avrebbero speculato sulla pandemia: se proprio sentiva l’urgenza di muovere accuse, le sarebbe bastato guardare a due chilometri di distanza, nella sede di Regione Lombardia

Claudio Furlan/Lapresse

Due chilometri in linea d’aria dividono la propaganda elettorale del centrodestra su Milano dalla realtà. Appena due chilometri, eppure sembra un distanza così immensa da fare perdere per strada il senso delle cose, dei fatti, e generare un racconto paradossale.

Dopo le bizzarrie di Bernardo, tra fascisti e no vax, aperto a tutto e a tutti pur di raccattare voti, e le sue narrazioni apocalittiche di una città dove «si ha paura di andare fare la spesa», si pensava che i comizi dei leader nazionali potessero riportare un po’ di politica nella campagna elettorale. Invece sabato scorso si è capito che il candidato sindaco non è che la pallida riproduzione di una realtà parallela che la destra costruisce e spaccia, ormai senza limiti.

Il punto di inizio della misura di quei due chilometri è piazza del Duomo, dove sabato scorso la leader di fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha tenuto un seguitissimo comizio. Nel lungo e vivace discorso di Meloni, il sostegno incondizionato al candidato sindaco (dopo giusto una settimana dalla minaccia di questo di mollare tutto se non fossero arrivati i soldi), l’accusa alla sinistra di vivere nei salotti, disinteressandosi della periferie, l’allusione a un presunto sostegno a Sala da parte della stampa, insomma un repertorio prevedibile. Ma quel che non era prevedibile per semplici motivi di minimo, dignitoso rispetto dei fatti, era il racconto “politico” del covid: «Dov’è la magistratura su tutti gli scandali legati al covid che abbiamo visto in questi mesi? Con la sinistra che ha trasformato la pandemia in una mangiatoia per far arricchire i soliti noti. È una vergogna, mentre il 40% delle aziende italiane rischia di chiudere. Mentre la gente moriva, qualcuno si stava arricchendo».

Ecco, una una frase, una ricostruzione del genere, Giorgia Meloni avrebbe dovuto andare a farla ben più lontano. Perché, ad appena a due chilometri in linea d’aria da piazza del Duomo, c’è il palazzo della Regione Lombardia.

La campagna vaccinale viaggia da tempo a regime, l’organizzazione della sanità regionale si è rimessa in carreggiata e di questo i milanesi, come come tutti gli altri lombardi, sono ben lieti: ma non si può fingere che attorno alla regione – orgoglio amministrativo del centrodestra – non siano sorte inchieste giudiziarie, e proprio su vicende legate all’emergenza covid: dalle forniture di materiale sanitario, dei test sierologici, fino al mancato lockdown nella bergamasca, alle morti nelle Rsa, a cominciare da quelle nel milanese Pio Albergo Trivulzio.

Il garantismo impone di lasciare tutto questo ai magistrati, ma l’onestà intellettuale dovrebbe altrettanto imporre di non arrivare ad arringare le folle rovesciando la realtà. Venire a Milano a lanciare accuse di speculazioni sulla pandemia è – per dirlo senza tanti giri di parole – una colossale porcheria. Questa città, fondata sulle relazioni, sui servizi, sulla velocità degli scambi, sull’innovazione, ha subito una sofferenza pesantissima che ha toccato tutti, indistintamente. Oggi l’impegno collettivo è nella ripresa, nello scatto in avanti con lo spirito di iniziativa che Milano ha nel proprio dna.

Davvero non si sente in bisogno di un finale di campagna elettorale che spari colpi bassi alla cieca, che colpisca nel mucchio, che dica tutto e il contrario di tutto, basta che faccia effetto. Bernardo ci ha regalato quotidianamente boutade fantasiose, equilibrismi sconsiderati, ammiccamenti spudorati: ma sarebbe meglio ci si fermasse qui. Per Milano, e soprattutto per i milanesi.

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