Appena riposti sedie sdraio e ombrelloni, politici e giornalisti ieri erano subito tornati al gioco preferito: il governo regge? Diciamo la verità: con il semestre bianco e soprattutto un esecutivo senza alternative è un problema riempire le pagine politiche. Meno male che ogni tanto Matteo Salvini se ne inventa qualcuna ed Enrico Letta gli va appresso, altrimenti cosa scrivere? Poi però arriva un certo Mario Draghi a rimettere le cose a posto come un una brava mamma nella stanza dei ragazzini e improvvisamente tutti coloro che si erano eccitati sono costretti a fare pace con la realtà dei fatti: sostanzialmente, non è successo niente. Politicamente, il messaggio dato ieri dal presidente del Consiglio nella prima conferenza stampa dopo le vacanze è questo.
Un caratteristica di Draghi è che è capace di smorzare le tensioni non con l’arroganza del capo ma con il realismo del leader: e quindi «il governo va avanti», non sarà certo un voto della Lega in commissione (sul green pass, peraltro in contraddizione con la scelta già fatta dai ministri leghisti) a creare problemi. C’è stato, basta. Non è nemmeno un incidente, i partiti sono fatti così, «ognuno di loro ha cinque o sei anime, certe volte bisogna sentirle tutte», ma poi c’è un capo, e «il capo della Lega è Salvini» al quale il presidente del Consiglio offre una cabina di regia e perfino l’incontro a tre con la ministra Luciana Lamorgese, la quale peraltro «sta lavorando molto bene», quindi il capo leghista non otterrà mai la sua testa, come d’altronde egli per primo sa benissimo.
Lo schemino di un Salvini sfasciacarrozze – anche se non va dimenticato che si tratta dell’uomo del Papeete – non regge più in assenza di una credibile linea alternativa al governo Draghi. Per questo ogni tanto abbaia alla luna ma poi è costretto a fermarsi: per fare un po’ di casino basta un Borghi qualunque. Detto questo, la scelta di essere partito di lotta e di governo per la Lega comincia a essere stucchevole, a rischio di alienarsi alternativamente i consensi dei governisti e quelli dei duri e puri. Un problema che Salvini dovrebbe porsi se vuole evitare ogni volta di essere dribblato da Draghi come un fuoriclasse fa con un dilettante.
Tutte queste polemiche fanno parte del gioco, sembra dire il presidente del Consiglio sopendo e troncando, e comunque se ci sono chiarimenti politici da fare li faranno i partiti, giacché «il governo va fondamentalmente d’accordo». La fibrillazione del primo settembre è archiviata, come puntualmente avviene quando Draghi prende la parola in una conferenza stampa, risultando vani i tranelli dei cronisti come quello su una sua eventuale aspettativa sul Quirinale se le cose dovessero mettersi male per il governo: una questione posta così è «persino un po’ offensiva, non vedo disastri all’orizzonte e non mi preoccupo per me stesso».
Spente le luci sulla conferenza stampa (peraltro carica di notizie vere, dall’annuncio della terza dose al proposito di estendere l’obbligo vaccinale più tutta una serie di proposte ravvicinate su fisco, concorrenza, lavoro), resta ancora una volta l’impressione di una realtà sdoppiata e parallela: da una parte un governo che funziona e marcia verso traguardi successivi, dall’altra un sistema politico litigioso e arruffato come un gatto randagio, perennemente corroso da rivalità interne e singole ricerche di visibilità, finanche punteggiato da contrasti personali che stanno diventando patologici (tra Letta e Salvini per esempio, o tra Renzi e Conte, o tra Meloni e tutti gli altri).
Una sfasatura che sta diventando di sistema. La brutta figura però la fanno i partiti, non Mario Draghi. Il quale, chiuse le bagattelle nostrane, è volato a Marsiglia per discutere con Emmanuel Macron di cose un po’ più serie, degli aiuti agli afghani, del G20 che si farà, della nuova Europa da costruire. Altro che Borghi.