È colpa di Benedetto Croce. O almeno questo è quel che ho risposto alla mia agente quando mi ha sgridata perché le ho detto che non capivo le cifre del rendiconto editoriale. Mentre sbuffava me la sono immaginata alle prese con decine di scrittori che sanno fare le citazioni in latino ma non sanno leggere una bolletta della luce, ho percepito la sua esasperazione, e ho pensato che l’unica era dare la colpa a Croce, alla fissa per le materie umanistiche, a una repubblica fondata sul liceo classico.
Dice Tonia Mastrobuoni nel suo L’inattesa (Mondadori) che la ragione per cui Angela Merkel scelse studi di fisica era che i numeri non cambiavano a seconda dei regimi politici: anche sotto Honecker, due più due faceva quattro. Era decenni prima che gli americani decidessero che la prescrittività secondo cui due più due non poteva fare cinque era razzista e bisognava rendere più umanista l’insegnamento della matematica, dando una speranza a tutti noi asini che purtroppo eravamo andati a scuola quando le discipline scientifiche erano ancora una cosa seria. E infatti le avevamo evitate abbastanza da non sapere, da grandi, leggere l’estratto conto della banca.
E quindi ho passato ieri a cercare di capire che legame ci fosse tra l’imminente aumento della bolletta dell’elettricità mia e vostra, la difficoltà della moglie d’un miliardario statunitense di far arrivare il proprio libro di ricette nelle librerie, il carbone in Cina, i tacchini in Inghilterra. E a ogni nuovo rigo che leggevo capivo che c’entrava la matematica, maledivo Croce, e mi producevo nella mia migliore imitazione di Marilyn Monroe: queste cose sono troppo difficili per una ragazza come io.
C’entra la misurazione del tempo, a quanto ho capito: se all’improvviso il tuo principale terrore è non godere delle simpatie d’un’adolescente svedese, e quindi vuoi ridurre subito le emissioni inquinanti, delle quali non ti sei interessato finché a chiedere l’abbattimento era Leonardo DiCaprio e non Greta Thunberg, se vuoi fare di corsa, poi capita che la riduzione delle risorse disponibili coincida con le misure ecologiche e insomma l’energia diventa assai più costosa. Il battito d’ali della mancanza di carbone in Cina, l’uragano dei rincari in Italia – o qualcosa del genere, per essere più precisa avrei dovuto studiare le materie scientifiche, invece che sfogliarne in fretta i Bignami.
(Poi certo, c’è anche quella cosa che paghiamo tasse sulle tasse, senza accorgercene per decenni perché appunto non sappiamo leggere un estratto conto, poi un giorno ci dicono «Le bollette rincarano» e ci svegliamo dal nostro coma di consumatori inconsapevoli e aspiranti evasori fiscali troppo distratti non dico per evadere ma anche solo per non farci truffare).
C’entra la decrescita, che non può essere che infelice. Racconta il New Yorker che, se provi a noleggiare una macchina negli Stati Uniti, o non la trovi o ne trovi una in condizioni pietose. La ragione sembra sia che, quando in pandemia nessuno andava da nessuna parte, le compagnie di noleggio hanno fatto cassa vendendo il parco macchine, convinte che poi ne avrebbero comprate di nuove quando fosse ripartita l’economia.
Solo che, ora che tutti vogliono noleggiare macchine come fosse il mondo di prima, c’è un problema d’approvvigionamento; manca non so quale componente che serve a costruire le automobili, c’è troppa richiesta, non si riescono ad avere le macchine nuove che servono. E neanche i libri di ricette di Jessica Seinfeld, moglie del comico, che ha annunciato a Instagram che la catena della distribuzione è in difficoltà, e quindi dovremo aspettare più del previsto per comprare la sua ricetta per il toast con formaggio e patate dolci, se siamo così inette (o così affezionate clienti del mercato delle celebrità) da avere bisogno d’un libro di ricette per fare un toast.
C’entra lo stato sociale, perfino negli Stati Uniti dove non ce n’è uno: i sussidi da pandemia hanno trasformato gli americani in italiani qualunque che si fanno due conti e decidono che, se andare a lavorare procura loro la stessa cifra che possono ottenere dallo stato, chi glielo fa fare? I container non recapitano la merce perché nei porti non ci sono più facchini che la scaricano, racconta il New Yorker.
In Inghilterra, dove oltre al resto hanno pure il guaio della Brexit, si fanno foto compiaciute ai cartelli che dicono che non c’è più benzina. Uh, guarda, è l’occidente industrializzato e sembra un film sull’Europa dell’Est del Novecento, coi cartelli che ti dicono che non c’è niente da comprare e devi metterti in fila per i beni primari.
Ma, quando intervistano l’allevatore di tacchini che promette una fine del mondo quale «gli inglesi non potranno mangiare il tacchino a Natale», e dice che è colpa della Brexit che non fa entrare il suo personale qualificato abituale, quello che tutti gli anni in autunno lavorava da lui sei settimane ammazzando e conciando e preparando per le tavole festive i tacchini, è impossibile non pensare che ci sarà una ragione se non riesce a formare personale inglese per tirare il collo ai tacchini.
C’entrerà l’economia, certo, e i lavori-che-gli-inglesi-non-vogliono-più-fare, come c’entra nella difficoltà dei ristoranti italiani e di tutto il mondo di trovare personale, una questione che a seconda del posizionamento ideologico può essere inquadrata come «sfaccendati, come possono essere così poco dignitosi da preferire il sussidio» o come «dovete pagarli meglio, cioè più del sussidio, se non volete scelgano il sussidio».
Ma soprattutto c’entra quell’illusione matematica che riguarda il nostro valore. Siamo bianchi, siamo occidentali, abbiamo una casa di proprietà, spesso abbiamo fatto persino il liceo classico. La vita ha fatto di tutto per illuderci che noi i lavori faticosi e mal pagati non avremmo mai dovuto farli. Che le classi inferiori sarebbero sempre state quelle degli altri. E adesso volete dirmi che dovrei scaricare i container, tirare il collo ai tacchini, preparare un toast senza ricetta, o addirittura imparare a leggere una bolletta?