Tra meno di un mese, il 26 settembre, si terranno le elezioni federali in Germania. Prima di ogni altra cosa, saranno le elezioni che sanciranno la fine dell’era di Angela Merkel, dato che la Cancelliera nel 2018 ha annunciato di non volersi ricandidare (è la prima volta che il Cancelliere o la Cancelliera in carica non cerca la riconferma).
Già questa considerazione basta a comprendere come il voto di settembre sia un appuntamento destinato a segnare il futuro del Paese, uno spartiacque importantissimo per la Bundesrepublik che arriva in un momento di grande incertezza per il quadro politico tedesco.
Nell’ultimo anno, infatti, le dinamiche in atto sembravano chiare e costanti. Da una parte, c’era il calo della CDU, orfana di Merkel e con problemi di leadership. I cristiano-democratici rimanevano primo partito, ma con percentuali più basse rispetto a quelle a cui erano abituati. Contestualmente, da tempo si assisteva a una crescita sostenuta dei Verdi, che negli ultimi mesi hanno sorpassato la CDU nei sondaggi, divenendo, seppur per breve tempo, primo partito. Per molto tempo, le elezioni sono sembrate una sfida a due tra CDU e Grüne, con i socialdemocratici della SPD relegati intorno al 15% e gli altri partiti (AfD, FDP e Linke) non in grado di influire davvero sulle dinamiche elettorali.
Nelle ultime settimane, tuttavia, il calo dei Verdi e la crescita nei sondaggi di Olaf Scholz (il candidato SPD) ha cambiato la situazione, rendendo apertissima la partita a poche settimane dal voto.
I Verdi sembravano destinati a essere la vera sorpresa di queste elezioni. In crescita da diversi anni, hanno un programma dedicato soprattutto alle grandi questioni ambientali e al ruolo di influenza della Germania sul tema dei diritti umani in Europa e nel mondo, ma non tralasciano una serie di proposte in campo sociale. L’attuale leadership, formata da Annalena Baerbock e Robert Habeck, è di impostazione pragmatica e centrista rispetto alla sinistra del partito, e la candidatura di Baerbock ha riscosso entusiasmo presso larghe fette dell’elettorato tedesco, non certo insensibile all’ambientalismo e ispirato dalla carica innovativa, ma rassicurante, di Baerbock.
Recentemente, però, la candidata è stata coinvolta in una serie di scandali, come l’accusa di aver mentito nel CV e di aver copiato parti del suo ultimo libro. Anche a causa di ciò, i Verdi hanno in parte perso il potenziale accumulato, scendendo nei sondaggi e rischiando di diventare i grandi incompiuti di queste elezioni.
Anche i cristiano-democratici, però, hanno una serie di problemi. Il nuovo segretario del partito, Armin Laschet, è stato eletto a gennaio dopo un congresso complicato, e ha faticato per ottenere la candidatura alla Cancelleria, che per prassi spetterebbe quasi di diritto a chi ricopre il suo ruolo. Il leader della CSU Markus Söder, partito-sorella bavarese della CDU con cui costituisce l’alleanza strutturale dell’Union, ha infatti rappresentato uno sfidante difficile per Laschet, che è riuscito a spuntarla solo grazie al forte sostegno ricevuto dall’establishment del suo partito.
Laschet rappresenta la continuità del gruppo dirigente merkeliano, ma la sua figura non entusiasma particolarmente l’elettorato e spesso non convince troppo nemmeno la base della CDU. Tuttavia, per capire Laschet bisogna capire che in questa situazione, per la CDU, la priorità è innanzi tutto compattare e stabilizzare il partito, dando un futuro alla sua classe dirigente: in questo senso, perdere qualche punto percentuale, specie nella situazione attuale, potrebbe essere per molti cristiano-democratici un prezzo ragionevole per potersi garantire un prosieguo nel lungo termine. Anche il programma elettorale, che riprende temi classici della CDU (come eliminazione di tasse sulle imprese, europeismo e reintroduzione del pareggio di bilancio), risponde più all’esigenza di conservare il sostegno delle categorie di riferimento che a quella di tentare un exploit che oggi appare difficile. L’obiettivo, ovviamente, è vincere, ma alla CDU hanno capito che difficilmente potranno farlo con i numeri di cinque anni fa.
Paradossalmente, però, a insidiare Laschet nella conquista dell’eredità di Angela Merkel è il candidato dei socialdemocratici, Olaf Scholz. Attuale Ministro delle Finanze e vicecancelliere nel governo Merkel, Scholz è un politico di lungo corso e viene visto come competente, e dotato di un’aurea di sobrietà gradita dai tedeschi. Durante la pandemia è stato apprezzato dall’elettorato per aver rivisto alcuni dogmi economici tipicamente tedeschi sul debito pubblico, sbloccando aiuti fondamentali per il Paese (anche a livello europeo ha ammorbidito le sue posizioni sugli eurobond in vista dell’approvazione del Recovery Fund). Appartiene all’ala centrista del partito, e nel dicembre del 2019 ha provato a diventare segretario, finendo sconfitto a sorpresa da Norbert-Walter Borjans e Saskia Esken.
Un profilo diverso da quello della nuova leadership, e non è escluso che, in un partito in aperta crisi, la candidatura di Scholz fosse anche un modo per liberarsi di uno scomodo rivale. Ma oggi, la sua figura potrebbe diventare un enorme vantaggio per la SPD: Scholz piace a quella parte di elettorato che vuole un cambiamento nella continuità, superando l’era Merkel senza sconvolgimenti troppo marcati. Una figura come lui, socialdemocratico ma ben visto dagli elettori più affezionati alla Cancelliera, con apprezzate esperienze di governo nelle larghe intese, potrebbe essere in grado di attrarre alcuni elettori orfani di Merkel che non si sentono convinti da Laschet. Negli scorsi mesi, molti sondaggi evidenziavano come, in un sistema dove si votasse direttamente il Cancelliere, lui avrebbe più consenso del suo partito, mentre due settimana fa un’indagine di Statista ha rivelato come quasi il 60% dei tedeschi lo ritenga adatto a fare il Cancelliere, contro il 28% di Laschet e il 23% di Baerbock. Al tempo stesso, il programma della SPD, basato soprattutto su temi sociali (come aumento del salario minimo a 12€ all’ora, tasse per i redditi alti e lotta al caro affitti), dovrebbe riuscire a tenere saldo l’elettorato di riferimento.
Lunedì sera, il primo confronto televisivo tra i tre candidati è sembrato confermare questa percezione. Baerbock ha affermato chiaramente che solo il suo partito può rappresentare un vero cambiamento, mentre Laschet ha insistito sul fatto che in Germania la CDU è da sempre sinonimo di stabilità. Scholz, però, ha sostenuto la necessità di andare oltre Merkel senza gettar via il lavoro fatto in questi anni, di fatto proponendosi come candidato alternativo alla CDU ma senza rappresentare una rottura radicale col passato. Lo stesso Laschet, forse senza volerlo fino in fondo, ha rinforzato la cosa: rispondendo a una domanda su cosa apprezzasse dei suoi avversari posta all’inizio del dibattito, il leader CDU ha lodato la competenza di Scholz, sottolineando però come abbia lavorato bene “sotto la guida di Angela Merkel”.
L’intento era chiaramente sminuire l’operato di Scholz, ma in quel momento a molti è sembrato piuttosto rinforzare l’idea che il Ministro delle Finanze possa essere un buon successore. In un altro momento, Laschet ha provato a presentare Scholz come uno che potrebbe fare un’alleanza con gli “estremisti” della Linke se i numeri lo dovessero permettere, accusandolo di “fare la parte di Angela Merkel ma parlare come Saskia Esken” (la combattiva co-segretaria SPD). L’attacco però non sembra essere riuscito nell’intento di presentare Scholz come uno non adatto per i moderati, e anzi dopo il confronto un sondaggio online di NTV ha mostrato come per il 36% dei partecipanti il vincitore fosse proprio Scholz, contro il 25% di Laschet e il 30% di Baerbock.
Attualmente, in diversi sondaggi la SPD ha superato la CDU, dopo una forte crescita registrata nelle ultime due settimane. Secondo l’istituto Insa, il vantaggio sarebbe addirittura di cinque punti (25% contro 20%): si tratterebbe del dato più per il socialdemocratici da più di un anno, oltre che di un record negativo assoluto per la CDU. Una situazione impensabile fino a poche settimane fa, e che scombina moltissime previsioni degli analisti.
È difficile prevedere come evolveranno le cose in queste ultimi, frenetici giorni di campagna elettorale. Se i dati fossero confermati, però, la SPD potrebbe avrebbe un ruolo di primo piano nella formazione della maggioranza: una coalizione Verdi-CDU era sembrata l’ipotesi più probabile nell’ultimo anno, ma ora si fa sempre più strada l’ipotesi di una Ampelkoalition, la coalizione semaforo che vedrebbe insieme SPD, Verdi e liberal-democratici. Certo, tra i socialdemocratici e la FDP esistono differenze importanti, ma un accordo non è da escludere a priori (soprattutto considerando l’horror vacui provato dai tedeschi per un ritorno alle urne in caso di mancata formazione del governo, che potrebbero punire i partiti responsabili).
L’attuale dirigenza SPD, inoltre, ha spesso fatto intendere di non voler governare ancora con la CDU, e in questa prospettiva una coalizione del genere sarebbe utilissima per estromettere i cristiano-democratici dal governo. I dati, in questo senso, sono a loro favore: un sondaggio a risposta multipla di Politbarometer ha rivelato che le coalizioni viste meglio dai tedeschi sono la Ampel con SPD primo partito (il 37% dei tedeschi la giudicherebbe positivamente) o un governo rot-rot-grün, che vedrebbe quindi i socialdemocratici e i Verdi governare con la sinistra della Linke (37% di approvazione). Un governo CDU e Verdi è al 27% di favorevoli, mentre solo un tedesco su quattro vedrebbe bene una riproposizione delle larghe intese CDU e SPD. Una Ampelkoalition con i Verdi in testa, invece, è giudicata positivamente dal 27% dei tedeschi, segno forse che l’ipotesi piace agli elettori SPD più che a quelli verdi.
Le prossime settimane potrebbero rivelare altre sorprese, rendendo davvero difficile fare pronostici. L’unica certezza, a pochi giorni dalle elezioni, è che la fase di transizione post-Merkel sarà più incerta di quanto sembrasse anche solo pochi mesi fa.