L’articolo di Franco D’Alfonso “La mia corona per uno stadio” è, sino ad ora, il contributo più serio, lucido, onesto che mi è capitato di leggere o di ascoltare sulla questione di un nuovo stadio, ricostruito o rinnovato, per le due maggiori squadre storicamente milanesi ma attualmente controllate da proprietà finanziarie estere, non totalmente trasparenti e non si sa quanto durature nella proprietà.
Potrei limitarmi a testimoniare il mio totale consenso al suo articolo, come gli ho già comunicato. Ma non voglio perdere l’occasione di partecipare al dibattito, perché è importante che tanti facciano sentire la propria voce. Sino ad ora alta e forte abbiamo sentito quella dei portavoce delle due squadre milanesi, che ci hanno spiegato, con chiarezza, il punto di vista degli attuali proprietari esteri delle due squadre.
Essi sostengono che una grande squadra di calcio necessita di uno stadio moderno, funzionale, in proprietà diretta per poter gestire liberamente i programmi e far sì che lo stadio venga utilizzato il più intensamente possibile. Questa, essi dicono, è un’esigenza economica che dovrebbe bilanciare i grandi squilibri che una, da lungo tempo dissennata, gestione ha creato per tante grandi squadre, comprese le milanesi.
La tesi è sostanzialmente corretta e può contare su una vasta letteratura a favore. Ma in Europa troviamo grandi squadre ben gestite che hanno lo stadio di proprietà e che fanno quadrare i loro conti e altre che non hanno lo stadio di proprietà e che, ugualmente, riescono a realizzare una gestione economicamente equilibrata. Dunque la tesi non è sbagliata ma non è assolutamente e sempre vera. Dipende da molti altri fattori. Ma, soprattutto non è, comunque, sufficiente per giustificare che alla proposta della ricostruzione o ristrutturazione dello stadio di calcio si agganci una vasta operazione urbanistica – immobiliare e che si dia in appalto a dei privati, stranieri, e non si sa quanto duraturi, e certamente privi di legami autentici, intellettuali, morali, storici, con le squadre cittadine e con la città. La risposta delle squadre, quindi, è, da un punto di vista puramente tecnico, comprensibile ed è nel loro più che legittimo interesse. Ma non è sufficiente per la città.
Rimanendo nel campo del calcio, lo stato della governance internazionale dello stesso aggiunge ulteriori preoccupazioni a quelle già alte legate alla precarietà della proprietà delle squadre milanesi. Lo scontro in atto tra Uefa e Fifa è durissimo, alimentato da una concezione profondamente diversa sul calcio e sul suo futuro, da scontri di personalità, da scontri di corposissimi interessi. Gli organismi che guidano il calcio italiano sono, a loro volta, troppi, costosi e perlopiù in conflitto fra loro.
La vicenda della Superlega (per tre squadre ancora aperta e alla quale Inter e Milan hanno inizialmente partecipato) non è stata una follia di qualche signorotto irresponsabile; è stata ed è una cosa seria. E senza l’entrata a gamba tesa del premier inglese Boris Johnson, a sua volta stimolata dalla rivolta dei tanti tifosi che ancora amano il calcio, avrebbe potuto camminare. Essa è stata piuttosto una cartina al tornasole che ha posto in evidenza gli scontri di concezione e di interessi che dilaniano il mondo del grande calcio non solo italiano ma europeo.
Queste constatazioni, sia sulla governance del calcio europeo che di quello delle due squadre di origine milanese, sono, io penso, più che sufficienti per definire irresponsabile una giunta che affidi alle due squadre la gestione di una grande e importante fetta di città per cinquant’anni, con la semplice scusa di uno stadio nuovo, anche se arricchito da una certamente vigorosa speculazione immobiliare. Dunque, la parola giusta l’ha usata D’Alfonso: si tratta di un progetto irricevibile. Non si tratta di sedersi a un tavolo per un negoziato sugli indici volumetrici, ma di aprire un grande onesto dibattito, con interlocutori diversi, sul futuro della città e sulla sua politica urbanistica per una parte importante della città, che include anche strutture di estremo interesse che devono essere ricucite insieme, in una visione urbanistica grande e ambiziosa, nella quale vengano inclusi tanti progetti importanti e utili per alimentare lo sviluppo e la modernizzazione dell’intera città, anzi della Grande Milano.
A una irricevibile proposta che, attraverso lo schermo delle storiche squadre di calcio di origine milanese, propone una grande e legittima speculazione immobiliare, molti rispondono contrapponendo il valore ideale, storico e sentimentale dello stadio di San Siro. Anche questa risposta è giusta ma insufficiente. Ricorda d’Alfonso, molto opportunamente: «San Siro Meazza è tra i luoghi e i nomi più conosciuti al mondo, come il Maracanà, Bernabeu, Wembley e pochi altri, ed è il secondo “monumento” più visitato della città dopo il Duomo».
Dunque, San Siro fa parte del patrimonio intangibile e importantissimo della città. E, tuttavia, se ci fossero motivi seri di buttarlo giù io non esiterei a votare a favore della sua demolizione: ma solo se ci fossero motivi seri, se non ci fossero alternative, se non ci fossero altre vie. Ma altre vie ci sono, come quella di ristrutturare profondamente il vecchio impianto, «strada seguita dal Real Madrid che ha investito 700 milioni di euro sul vecchio Bernabeu ed avrà fra due anni il più moderno ed efficiente stadio di calcio al mondo – e con costi più che dimezzati rispetto a quelli di costruzione di uno nuovo».
Ma si può fare molto di più. Il progetto di ristrutturazione e ammodernamento di San Siro va inserito in un ampio, meditato, onesto, grande, competente progetto urbanistico che colleghi e valorizzi tutte le principali strutture e potenzialità dell’intera zona. Un progetto urbanistico di sviluppo per tutti, per la città, non un’altra sfilata di grattacieli per super ricchi. Il nuovo ciclo di Milano richiede urbanistica, urbanistica, urbanistica: e l’urbanistica non si riduce a una discussione sugli indici volumetrici ma sul tipo di città che vogliamo essere, sul tipo di convivenza che vogliamo alimentare, sulle attività che vogliamo sviluppare, gli sport che vogliamo praticare.
In un progetto urbanistico e sociale di questo tipo c’è certamente grande posto per uno stadio sportivo di grande impatto e qualità, uno dei motori di sviluppo dell’intera area. Milano ha bisogno di riprendere la sua leadership produttiva e per questo ha bisogno di progetti, centri di ricerca, creatività, giovani. In questa fase storica Milano non ha bisogno di cemento e di nuovi quartieri residenziali di lusso. Ma per questo è necessario che il Comune prenda il comando e tenga la barra diritta, stretta e forte, e non di appaltare una gran fetta di città a immobiliaristi, anche se mascherati da squadre di calcio, anche se bravi e rispettabili.
Ma vorrei concludere parlando ancora di sport. Abbiamo ascoltato la voce delle squadre di calcio e il racconto che esse fanno non ci convince, e soprattutto è di scarsa affidabilità sia per le squadre che per la città. Abbiamo ascoltato la voce degli immobiliaristi che, se abbiamo capito bene, vogliono progettare un pezzo di città per ricchi residenti e questo non ci sembra quello di cui la città ha bisogno oggi. Proviamo, per una volta, ad ascoltare la voce della città, e in particolare della città sportiva. Credo che sarebbe opportuno un referendum con una semplice domanda: pensi che la città sportiva abbia bisogno di un nuovo e più moderno stadio di calcio?
Io risponderei di no, per i motivi che ho sopra illustrato ma anche per motivi più specifici di natura sportiva che cerco brevemente di illustrare. E lo faccio ponendo la domanda a Mario Nicoliello (economista e docente di economia aziendale, giornalista sportivo da poco rientrato da Tokyo, grande studioso del calcio sul quale ha appena pubblicato un libro interessante intitolato: “L’azienda calcio in Italia, alla ricerca della economicità” (Giuffrè Francis Lefevre, 2021). Riprendo letteralmente la sua risposta:
«Le esperienze internazionali e nazionali – il caso della Juventus su tutti – dimostrano che al giorno d’oggi disporre di uno stadio di proprietà è strategico per un club di calcio. Considerazioni sul punto si trovano a partire da pagina 244 del mio volume, con la presenza anche di tabelle relative a casi di eccellenza stranieri. Nel caso di Milano si vogliono però evidenziare due aspetti che porterebbero alla presenza dell’organismo pubblico nell’assetto proprietario del futuro impianto.
Le Olimpiadi invernali: una certezza
A febbraio del 2026 lo stadio di San Siro – o comunque il nuovo stadio di Milano – sarà il teatro della cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali. Si tratta di un evento già assegnato e che ha già una data precisa. Significa che tra quattro anni e qualche mese a Milano ci deve essere uno stadio funzionale ad ospitare l’evento più seguito di una Olimpiade. I discorsi sulla tempistica del nuovo impianto non possono prescindere da questo paletto.
Le Olimpiadi estive future: un sogno
Dopo i Giochi invernali del 2026 a Milano potrebbe venire la voglia (auspicata) di candidarsi per ospitare i Giochi estivi (magari dal 2036 in poi, visto che fino al 2032 sono già assegnati, nell’ordine a Parigi, Los Angeles e Brisbane). Per accogliere le Olimpiadi serve un grande impianto per le gare di atletica, circostanza che a Milano tuttora non si riscontra. Pertanto, perché non ipotizzare un nuovo stadio pensato per il calcio, ma comunque in grado di ospitare anche l’atletica? Si tratterebbe di replicare l’esperienza dello Stade de France di Saint-Denis e dello Stadio Olimpico di Stratford. Il primo impianto, progettato per i Mondiali di calcio del 1998, sin dalla sua origine è stato munito di tribune retrattili, capaci quindi di consentire anche lo svolgimento dell’atletica. In questo caso la capienza dello stadio di riduce, perché una parte delle tribune indietreggiano e lasciano lo spazio alla pista.
Questo impianto sarà il cuore pulsante dei Giochi olimpici di Parigi 2024, quando ospiterà sia la cerimonia di apertura sia l’atletica. Attualmente vi giocano la Nazionale francese di calcio e quella di rugby. Il Paris Saint Germain disputa invece le proprie partite al Parco dei Principi, impianto sito nella zona sud ovest di Parigi, ma comunque in città, mentre Saint Denis è la periferia Nord, vicino all’aeroporto Charles De Gaullle. Il secondo impianto, quello di Londra, è nato per l’atletica e per ospitare i Giochi del 2012. Dopodiché è stato assegnato al West Ham, che a Stratford disputa le partite casalinghe. Le tribune retrattili consentono di passare dalla versione calcistica a quella per l’atletica».
Quindi, conclude Nicoliello: «Ritengo che il nuovo impianto debba avere una proprietà mista pubblico-privata, perché oltre ai due club devono essere considerate anche le esigenze della città. In particolare, a febbraio 2026 l’impianto deve essere pronto per la cerimonia di inaugurazione dei Giochi invernali, scadenza che è perentoria».
Secondo Nicoliello: «I casi di Parigi e Londra dimostrano che si possono pensare impianti dedicati al calcio, che consentano grazie alle tribune retrattili di installare anche una pista di atletica. Ciò sarebbe strategico nel caso in cui Milano decidesse di candidarsi per i Giochi olimpici estivi dal 2036 in poi. Circostanza ad oggi non discussa, ma che con l’avvicinarsi dei Giochi invernali potrebbe essere considerata. Inutile allora dover rifare un nuovo impianto tra 15 anni, se oggi ne possiamo pensare uno polifunzionale, ma comunque dedito in prima battuta al calcio. La presenza della mano pubblica nella governance dell’impianto dovrebbe tutelare i due interessi che ho esposto».
Dunque, rinnoviamo lo stadio ma facciamolo in modo da dare una risposta positiva anche ai bisogni sportivi della città, affinché Milano possa diventare attrazione di grandi eventi sportivi, così come è per grandi eventi musicali. Lavoriamo per la città, per noi, non per lorsignori.