La zanzara illuminataCome fece il giornale studentesco milanese a rovesciare nel 1966 gli schemi della sessualità

La storica testata del liceo Parini pubblicò un’inchiesta sulla condizione della donna e sui rapporti prematrimoniali. L’articolo finì all’attenzione della magistratura e ci fu un processo: una “disruption” ante litteram e una lezione da non dimenticare

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«Piccolo insetto, diffuso nei luoghi umidi, la cui femmina punge uomini e animali succhiandone il sangue». Questa la definizione che della fastidiosa zanzara dà il vocabolario Treccani.

Ma a Milano, direi proprio in quella riformista che non perde di vista storia e tradizione ma le coniuga, le rilegge e le aggiorna alla luce dei mutamenti socioculturali, la zanzara è un’altra cosa. Correvano gli anni ’60 (non so se davvero favolosi ma sicuramente da favola) e La zanzara era l’organo ufficiale dell’Associazione studentesca pariniana, ovvero degli studenti del liceo ginnasio Parini, solo fisicamente chiusi nella angusta via Goito, ma con uno sguardo sul mondo come pochi.

Forse per anni la Zanzara non è uscita dal cliché del cosiddetto giornalino studentesco, ma nel 1966 (anno XX della pubblicazione) fece un salto di qualità. Di quelli dirompenti.

Nel triangolo tra via Fatebenefratelli (questura centrale), via San Marco/Solferino, sede della istituzione Corriere della sera (ancora dei Crespi), con al vertice il Tumbun de San Marc, si scatena una rivoluzione. Di pensiero e di costumi, destinata a lasciare il segno. Riletti oggi, taluni avvenimenti meneghini anticipano, e non poco, il maggio francese che arriverà di lì a qualche anno.

Tre ragazzi, tutti studenti del triennio, il direttore Marco De Poli con i colleghi Claudia Beltramo e Marco Sassano, ebbero l’ardire di fare un’inchiesta (pagine 6-7 del numero 3) dal titolo – si parla di 55 anni fa – “Qual è la posizione della donna nella società italiana” dopo che in prima pagina De Poli, nell’editoriale, enunciava le sue idee di riforma della scuola per ancorarla ad una società in evoluzione. Compresa l’introduzione dell’educazione sessuale che, si legge, è presente nei programmi di insegnamento «nella maggior parte dei paesi civili». E in Italia? Scrive sempre De Poli: «Una riforma in questo campo provocherebbe reazioni e proteste di ogni genere, dettate più da moralismo male inteso che da una salda coscienza morale, e richiederebbe in ogni caso una fermezza e una volontà politica ed etica di cui, per ora, non si vedono neppure i presupposti». Parole attualissime, nei concetti e nel sapiente uso del lessico.

L’inchiesta alle pagine interne toccava, senza particolari timidezze, il tema della sessualità e dei rapporti prematrimoniali con i vincoli, e i sensi di colpa, che la religione pone ed insinua, come afferma un’intervistata, «la posizione della Chiesa mi ha creato molti conflitti fino a quando non me ne sono allontanata». E poi c’è la morale corrente (che trasuda spesso moralismo e ipocrisia) da rispettare, almeno nella facciata, per non tradire la famiglia.

Apriti cielo! Sulla scena sta arrivando una generazione di ragazze colte e scostumate che chissà quali effetti produrrà sulla società, sulle loro famiglie, sui loro figli. È davvero troppo. Il giornale e l’articolo finirono all’attenzione della magistratura e gli autori, tre brillantissimi liceali, tra le pagelle d’oro pubblicate ogni anno, andarono a processo. Insomma, passi i due ragazzi ma lei, Claudia, sarà bollata a vita.

Io ricordo l’episodio e i commenti. Per la morale comune e corrente non erano argomenti da affrontare pubblicamente. Il principio del “si fa ma non si dice” era diffuso e quei tre ragazzi, a loro modo (originale e lodevole), vollero rovesciare vecchi schemi, che alle ondate provenienti da paesi e società più evoluti (dagli Usa, alla Svezia, alla più vicina Olanda) non avrebbero retto lo spazio di un mattino.

Questa è Milano: in pochi, illuminati – oggi diremmo laici e progressisti – ad accendere la miccia di un dibattito sulla condizione della donna, su matrimonio e lavoro; questioni che non sono state risolte né esaurite ancora oggi. Si cita il divorzio, confermato solo otto anni dopo, ma non compare la parola “parità”. Sarebbe stato troppo, forse, in quegli anni anche in un laboratorio – al cuore della città e sicuramente borghese con qualche sfumatura elitaria – di pensieri dalla forza iconoclasta. Un antesignano di quel disruptive che oggi tanto ci piace.

A pensarci bene, a Milano l’attributo di disruptive calza a pennello. Con quella tensione continua verso l’alto ed il nuovo, incarnati simbolicamente dalla Madonnina e dalla guglia dell’Unicredit Tower: la tradizione e il futuro, il valore innovativo e sostenibile. Le due anime e i due motori di Milano, città sempre sulla rampa di lancio e, per questo, luogo ideale per una guida illuminata e inclusiva. Come ci hanno insegnato tre ragazzi più di cinquant’anni fa.

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