La città che cresce sempreLa rinascita urbanistica di New York dopo l’attacco alle Torri gemelle

La ricostruzione della città è andata oltre i confini di Lower Manhattan e ha coinvolto tutta la Grande Mela con progetti di riqualificazione e ammodernamento. È stata un’operazione che ha simboleggiato il senso di rivincita degli americani, partendo dalle fondamenta

Diane Bondareff/AP Images for Ronald O. Perelman Performing Arts Center

In quei mesi pochi avrebbero potuto prevederlo. Gli attacchi al World Trade Center avevano ferito la città di New York. Tanti erano sotto shock, tutti impauriti. Nel vuoto causato dal crollo dei grattacieli si levava il fumo degli incendi, le ceneri e la polvere. Eppure proprio quella disgrazia e, soprattutto, la reazione compatta e solidale dei suoi abitanti, hanno favorito un nuovo rinascimento architettonico che ha ridisegnato il volto della Grande Mela ben oltre i confini di Lower Manhattan.

Lo ricorda un articolo dell’Economist: la ricostruzione, cominciata dall’area dell’attentato si è propagata verso altri quartieri, ha coinvolto Tribeca per arrivare fino a Chelsea e, addirittura, ha raggiunto zone come Jamaica e Flushing nei Queens. A distanza di 20 anni la città di New York si ritrova «più grande che mai», come ha dichiarato l’ex vice sindaco Dan Doctoroff. In quei giorni in pochi lo avrebbero immaginato, ma per una comunità colpita in modo inaudito, ricostruire fu la risposta psicologica e pratica che serviva.

Prima dell’attentato Lower Manhattan ospitava solo 23mila abitanti e tantissimi uffici: si riempiva al mattino e si svuotava la sera. Il World Trade Center non era un complesso molto amato: bloccava le strade e tagliava fuori i quartieri vicini. I commercianti vedevano con ostilità anche il centro commerciale sotterraneo, colpevole di sottrarre i loro preziosi clienti. In quella zona si lavorava, soprattutto, Le famiglie erano poche e i bambini ancora meno. Per capirsi, non capitava quasi mai di vedere qualcuno passeggiare con il cane.

La sua ricostruzione avrebbe modificato tutti questi tratti. La prima svolta fu la vittoria di Michael Bloomberg (allora tra le file dei Repubblicani) come sindaco della città. Preoccupato dalle ricadute economiche dell’attentato, ha spinto fin da subito le imprese e le società a rimanere in città: «Non è il momento di lasciare la Grande Mela», aveva detto nel suo discorso inaugurale.

Oltre al richiamo patriottico, sul piatto c’erano incentivi economici: per accompagnare la ripresa furono approvati 8 miliardi di Liberty Bonds (una sorta di esenzione fiscale) da parte del governo federale, ai quali veniva affiancato un pacchetto di aiuti di 20,5 miliardi per tutta la città. A coordinare la ricostruzione dell’area è stato John Whitehead, ex Goldman Sachs, messo a capo della Lower Manhattan Development Corporation: un compito non semplice. Tutti erano d’accordo che si dovesse ricostruire, ma non si riusciva a decidere cosa, dove, come e soprattutto, con i soldi di chi.

I disaccordi e le trattative estenuanti, che hanno coinvolto assicurazioni, costruttori e politici, si sono sommate alle difficoltà logistiche: nell’area transita una decina di linee della metropolitana, più una linea ferroviaria. Non ultimo, andava considerato il problema della sensibilità dei parenti delle vittime.

Tutto ciò non ha bloccato le operazioni, ma le ha rallentate. Nel 2006 fu pronto il 7 World Trade Center, il primo edificio, con tanto di sottostazione elettrica. Nel 2011 fu il momento del memoriale, mentre nel 2014 venne completato il One World Trade Center (anche detto Freedom Tower), che raggiunge la patriottica altezza di 1776 piedi (541 metri), pennone compreso. Nel 2016 tocca all’Oculus, terminal dei treni e centro commerciale, mentre si lavora ancora ad altri due grattacieli e nel 2022 si prevede di riaprire la nuova chiesa greco-ortodossa (quella originale fu distrutta dagli attentati).

Un nuovo volto, ma la portata del cambiamento è più grande. La vitalità e lo spirito reattivo della città hanno portato a nuovi progetti anche in altre aree, con l’allungamento (dopo decenni) delle linee della metropolitana, o con la riqualificazione della High Line, una vecchio tratto in disuso della ferrovia sopraelevata trasformato in un parco lineare (si notino le date: i lavori cominciano nel 2006 e l’inaugurazione è nel 2011, ma l’approvazione del progetto è del 2002). Lo stesso si può dire per il progetto di ri-sviluppo Hudson Yards a Manhattan. Tutto questo, immagina l’Economist, sarebbe potuto non accadere se non ci fosse stata la spinta propulsiva della ricostruzione di Lower Manhattan.

A distanza di 20 anni, insomma, New York è una città diversa. È diventata ancora più bella. Oggi a Lower Manhattan la vita è diversa: ci sono meno lavoratori nel campo della finanza (sono diventati un terzo rispetto a prima) mentre si contano più residenti, il cui numero è raddoppiato. Gli ex uffici sono diventati appartamenti, ci sono nuove scuole (il 17% della popolazione è ora costituito da bambini), almeno 31 alberghi in più e, di conseguenza, un flusso maggiore di turisti. La ricostruzione è stata insomma un rinascimento, non solo una reazione e una rivincita. E adesso vedere persone che passeggiano con il cane non è più strano.

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