«Quando ero bambina la si preparava per la festa del paese. Ricordo le file fuori dal forno, che era uno solo, per cuocere la torta, ognuno con la sua teglia in mano». Così racconta la signora Lidia, mentre le fa eco la signora Teresa: «La mia mamma la faceva per la festa del rione, ai primi di ottobre, era un modo per celebrare l’arrivo dell’autunno».
Ogni quartiere, ogni famiglia di Monza ha la sua tradizione legata alla torta paesana, ma sono tante le zone della città, dal rione di San Biagio a molte vie del centro, in cui il dolce si prepara in occasione della festa del Nome di Maria, il 12 settembre. E sono molti i panettieri e i pasticcieri che in questi giorni stanno rispolverando la vecchia ricetta. Una ricetta semplicissima, fatta di pane (possibilmente le michette “posse”, rafferme), latte e cacao.
La ricetta della tradizione
Ingredienti:
1 l di latte
2 michette rafferme
200 g di “biscotti rotti” (frollini, biscotti secchi, brioches e panettone raffermo)
1 fetta di pan d’anice
100 g di amaretti
50 g di uva passa
30 g di pinoli
4 cucchiai di zucchero
6 cucchiai di cacao
Portate a ebollizione il latte. Nel frattempo grattugiate le michette e raccogliete il ricavato in una grande ciotola, insieme con i biscotti rotti, il pan d’anice e gli amaretti spezzettati. Unite l’uva passa, precedentemente ammorbidita in acqua tiepida e poi strizzata, i pinoli, lo zucchero e il cacao. Bagnate il tutto con il latte, mescolate e lasciate riposare per un’ora. Versate il composto ottenuto in una tortiera da 24 cm di diametro ben imburrata; cuocete la torta in forno già caldo a 180 °C per circa 30 minuti: la torta sarà pronta quando uno stecchino, infilato al centro del dolce, ne uscirà asciutto.
Ovviamente, come sempre accade per le antiche ricette di cucina povera, ogni casa ha la sua versione: così c’è chi aggiunge cioccolato fondente grattugiato, chi un bicchierino di liquore all’anice, chi lega l’impasto con un uovo intero (quest’ultima aggiunta spesso non è vista di buon occhio dai puristi).
Dove comprare la torta paesana a Monza
Sono ancora molti i prestinai, come vengono chiamati in dialetto i panifici, e le pasticcerie che ancora preparano la paesana, ciascuno con la sua ricetta, sempre uguale e sempre leggermente diversa.
Assolutamente da assaggiare la torta del Panificio Pasticceria Ravanelli: «La nostra è una ricetta che si tramanda da padre in figlio da oltre cinquant’anni», racconta Romana, a fianco del marito Agostino nella conduzione dell’attività. «Anche qui in San Biagio un tempo le famiglie del quartiere portavano le torte fatte in casa a cuocere nel forno, per il semplice fatto che non c’erano forni in tutte le case. Una tradizione che, come tante, oggi è purtroppo condannata a scomparire». Grande successo tra i monzesi hanno anche le torte paesane del Panificio Le delizie di Via Zucchi, presente con quattro punti vendita nel centro cittadino. E in centro si può gustare anche la paesana realizzata dallo storico Panificio Crivelli. È preparata secondo tradizione anche la torta paesana della Pasticceria Olmea, ma c’è chi spinge più in là.
«La torta paesana nasce come dolce povero, ma è tra i più graditi e i più versatili, tanto che la si può servire scomposta come dessert in un ristorante o proporre come gelato»: Aurora Corigliano è stata la prima gelatiera a proporre questo gusto di gelato, ormai diffusissimo a Monza, nella sua gelateria L’Arengario. Oggi Aurora non lavora più nella gelateria, ma offre la sua esperienza come consulente, e racconta che realizzava il suo gelato prestando attenzione al sapore della torta tradizionale: «In gelateria le ricette devono essere equilibrate. Serve dell’ottimo cioccolato fondente come base: bisogna lavorare sulle varietà, sui profumi più o meno tostati o speziati per ricreare in bocca l’impatto emotivo della torta. E poi ritagli di pan di spagna ammollati insieme agli amaretti e, a finire, uva passa e pinoli. Ma la formula magica non esiste: la chiave è l’amore». E l’amore è il primo ingrediente per preparare anche in casa, una torta che deve avere il sapore dell’infanzia: perché per ogni monzese la miglior paesana è quella preparata in casa sua.