Una squadra di ragazzi al pc scandaglia i dati elettorali, altri postano sui social. Mentre una ragazza abbraccia tutti piangendo di felicità, arrivano i bicchieri per i brindisi. Poi, coperto da un cordone di volontari che lo protegge fino all’ultimo persino dalle telecamere tenute a distanza, arriva lui, Beppe Sala. Nessun gesto trionfale, solo un saluto, prima di unirsi al suo staff per festeggiare.
Quando finalmente entra in sala stampa, sono ormai quasi le 18 e l’incrocio tra i dati dello spoglio delle schede elettorali e le proiezioni che gli istituti demoscopici producono a raffica non lascia più alcun dubbio: quella di Sala è un vittoria schiacciante, con un distacco sul candidato del centrodestra che alla fine si fisserà su quasi 26 punti percentuali.
Ci credeva? Sì, dopo settimane di dichiarazioni prudenti, dopo avere continuato a ricordare che a Milano centrodestra e centrosinistra se la sono sempre giocata sul filo di lana, ora Sala dice apertamente di aver «capito che un risultato così si poteva raggiungere» e dichiara quale è stato realmente al suo avversario: non Luca Bernardo, ma Matteo Salvini. «È lui il principale responsabile della delusione nel centrodestra, lui che andava dicendo non che avrebbero vinto, ma stravinto, appena una settimana fa».
Qui Sala però forse delude chi si aspetta una netta presa di distanze dalle politiche dalla Lega. Il problema, dice, «sono i modi, i comportamenti» che in politica hanno un peso, alludendo ala registro comunicativo di Salvini, ma «è chiaro che c’è una parte della Lega con la quale si può parlare».
Eppure il sindaco ha dei numeri che lo blindano in modo potente a sinistra, con un PD quasi al 34% e la lista dei “fedelissimi” oltre il 9%. Il fatto è che sa di dover essere il sindaco della vera maggioranza dei milanesi, che non è quella dei suoi elettori, ma del quasi 52% che non è andato a votare.
Le analisi post-elettorali ce ne faranno l’identikit nei prossimi giorni, ma è chiaro che si tratta in larga misura di potenziali lettori di centrodestra sconfortati dalla campagna elettorale, prima cosparsa di gaffe e slogan scomposti di Bernardo, poi dalla sua quasi sparizione per lasciare la scena ai leader dei partiti. Non hanno votato Bernardo, ma non si sono convinti ad andare dall’altra parte.
«Sono senz’altro riuscito a parlare ai moderati», dice Sala, ma aggiunge anche che ora dovrà «trovare le forme per far partecipare» quell’elettorato. E promette che lo farà.
È un Sala che non dichiara, ma fa capire: anche una certa consapevolezza dal suo ruolo politico che gli consente di dire che «di Pnrr parla con Draghi» e persino di non disdegnare uno scenario che riguardi il prossimo governo della Regione Lombardia, per la quale «non bisogna pensare di poter fare tutto all’ultimo momento», ma è necessario partire subito, per andare a prendere «non i nostri consensi, ma quelli degli altri».
Il Sala politico dà anche una benevola carezza al Movimento 5 stelle, che esce da questo voto milanese ridotto ai minimi termini, non riuscendo nemmeno a raggiungere il 3%. All’inizio della campagna elettorale, l’alleanza con il M5s sembrava essere tema decisivo per una vittoria certa, oggi che i numeri sono quelli dell’irrilevanza, Sala si limita a dire che è stata un questione di tempi troppo stretti, che «si sarebbe dovuto convergere su un programma comune in poche settimane».
Moderato, ecumenico, però consapevole che il potente risultato del Partito democratico richiede qualche posizione netta su temi «di sinistra». Ma il questo Sala vincitore, oggi sa come accontentare, restando in un perfetto equilibrio politico e si affida agli esempi concreti che tocchino le sensibilità e non compromettano: «Servirà una grande attenzione al decoro della città… ma riguardo ad esempio i senzatetto, pur con il massimo rispetto per chi ha un negozio, serve innanzitutto umanità».
Per scrivere il soggetto del film dei prossimi cinque anni, la politica che ha vinto dovrà dare a Beppe Sala buone idee, ma soprattutto avere ben presente che il regista è lui.