Inspiegabile. È questa la parola che riecheggia nell’aula neoclassica del palazzo di São Bento, nel cuore della città di Lisbona. Il governo portoghese guidato dal socialista Antonio Costa, presidente del Consiglio dell’Unione fino allo scorso giugno, è caduto sulla legge di bilancio per il 2022: è stato decisivo il voto contrario del Partito Comunista Portoghese (PCP) e del Blocco di Sinistra (BE), che fornivano un appoggio esterno all’esecutivo. I no hanno infatti prevalso per 117 a 108, più cinque astenuti.
«Ho fatto tutto ciò che in mio potere per garantire una buona legge di bilancio», ha dichiarato il premier in un discorso improvvisato prima del voto. «Abbiamo migliorato la nostra proposta per quanto riguarda le pensioni ma a sinistra chiedono di trattare argomenti che non c’entrano, come il lavoro. Qual è la giustificazione, la logica, per non portare a termine ciò che è già stato realizzato? Qual è la logica per impedire ulteriori miglioramenti?», ha sottolineato Costa, costretto molto probabilmente adesso a ufficializzare la crisi irreversibile del suo esecutivo di fronte al presidente della Repubblica Marcelo Rebelo da Sousa, nonostante i due anni di legislatura ancora rimasti.
Come si è arrivati alla crisi
La fine del secondo esecutivo di Costa (uno dei soli cinque premier ad aver completato un mandato nella storia del Portogallo) era scritta da tempo. Già nei primi giorni di ottobre, quando il governo aveva presentato la legge di bilancio in Parlamento, si era capito che le trattative all’interno dell’arco della maggioranza sarebbero state complicate. A favore c’era infatti schierato il solo Partito socialista di Costa mentre i partiti che sostenevano dall’esterno l’esecutivo, come il Partito Comunista e il Blocco di Sinistra, avevano sin da subito annunciato che il loro voto si sarebbe unito a quello delle destre, fortemente contrarie alla legge di bilancio presentata dal governo.
La deputata di BE Mariana Mortágua aveva sin da subito avvertito «che se la proposta rimarrà così com’è difficilmente ci saranno le condizioni per votarla». Il voto della sinistra era infatti vincolato alla stipula di un accordo scritto con il governo: come prevedeva la proposta del BE c’erano ben nove emendamenti alla legge di Bilancio, di cui cinque riguardanti la materia del lavoro e il resto dedicati al Servizio sanitario nazionale e alla previdenza sociale. Il tema non è nuovo all’interno della maggioranza: secondo gli alleati di sinistra il governo del PS è infatti venuto meno al cosiddetto patto della geringonça, termine che in lingua portoghese significa “aggeggio”, nel senso di unione eterodossa messa insieme quasi a forza, stipulato nel 2015.
In quell’accordo il premier Costa prometteva di aumentare il salario minimo, recuperare gli stipendi dei dipendenti pubblici e rendere più economici i trasporti pubblici, tutte richieste in cambio delle quali gli alleati gli davano il loro sostegno in maniera compatta. Grazie all’“aggeggio” il governo del 2015 è durato fino al 2019 e poi, dopo la vittoria dei socialisti alle politiche di quell’anno, è giunto fino a oggi. Il vento però sembra diverso rispetto a quello di 6 anni fa, come dimostrato dalle recenti amministrative. Lisbona, governata per 14 anni dal PS, è caduta nelle mani della destra, così come Coimbra. Un’uguale sorpresa è arrivata anche agli alleati, come il Partito Comunista che ha perso una città importante come Évora.
Per questo i due partiti ha non avanzato richieste importanti al governo, che le ha rifiutate giudicandole esose e fuori dal contesto così come quelle dei due partiti verdi come PAN e PEV. «Non potremmo soddisfarle nemmeno con dieci bilanci», è stato l’amaro commento del premier Costa. Come dimostra il voto in aula le trattative alla fine hanno portato soltanto a un timido voto di astensione da parte dei partiti green ma non ha smosso gli alleati storici. «Il Portogallo non ha bisogno di una legge di bilancio qualsiasi, ha bisogno di una risposta del governo ai problemi che si accumulano», ha affermato Jerónimo de Sousa, leader del Partito Comunista.
Cosa succede ora
La strada adesso sembra tracciata. Come ha più volte detto il presidente da Sousa e come riportato anche dal quotidiano lusitano Pùblico, il capo dello Stato ha intenzione di velocizzare al massimo l’intera procedura, visto che il Paese dovrà spendere nei prossimi 5 anni ben 16,6 miliardi di euro del PNRR. L’intenzione è quella di ricevere velocemente il premier, il presidente del Parlamento Ferro Rodrigues, i partiti e infine il Consiglio do Estado, prima di indire nuove elezioni tramite decreto da pubblicare sulla Gazzetta della Repubblica (solitamente il voto è previsto tra i 55 e i 60 giorni dopo la pubblicazione del decreto).
A destare curiosità sono state le tempistiche osservate negli uffici del palazzo presidenziale di Belem, insolitamente attivo durante questa fase. Il presidente da Sousa ha infatti ricevuto negli ultimi giorni il nuovo sindaco di Lisbona Carlos Moedas, l’ex rappresentante della città Fernando Medina e anche l’europarlamentare Paulo Rangel, attualmente in competizione con Rui Rio per il posto di leader del Partito Socialdemocratico (PSD), il partito di destra principale forza di opposizione.
«Ciò che sorprende è che il Presidente abbia detto pubblicamente che senza un bilancio ci sono per forza le elezioni anticipate. Potrebbe farlo in incontri privati con i partiti, dando loro spazio per portare i negoziati ad un altro livello, ma così non ha lasciato loro spazio di ritirata», ha dichiarato Jorge Reis Novais, ex consigliere del presidente della Repubblica Jorge Sampaio, a Pùblico. Tempi eccezionali richiedono però soluzioni adeguate: non era mai successo che un governo eletto alle urne venisse sfiduciato con un voto sfavorevole su una legge di bilancio. Dai tempi del ritorno della Democrazia, con la Rivoluzione dei Garofani nel 1974, l’unica eccezione riguarda il 1978, quando un governo scelto direttamente dal presidente venne sfiduciato dal Parlamento. I tempi erano diversi.
Le nuove elezioni
Una cosa, allora come oggi, sembra simile: il ritorno alle urne: in molti scommettono che l’esito stavolta rischia di essere imprevedibile. Come testimoniato da un sondaggio di Politico Europe effettuato lo scorso 21 ottobre, il PS, guidato da Costa, mantiene ancora la preferenza di gran parte dei Portoghesi, con oltre il 39 per cento delle intenzioni di voto, seguito a ruota dai socialdemocratici, fermi al 27 per cento.
Dietro di loro però c’è il vuoto e in mezzo al crollo dei partiti di sinistra, con PCP e BE stazionari intorno al 5-6 per cento, emerge con forza Chega di Andre Ventura, partito di estrema destra affiliato in Europa alla Lega di Matteo Salvini e al Rassemblement National di Marine Le Pen, che addirittura si issa al terzo posto con il 9 per cento delle preferenze. «Mai più il socialismo: grazie a loro il Portogallo sta assistendo al più grande impoverimento degli ultimi anni. Finalmente i Portoghesi saranno chiamati alle urne», ha dichiarato Ventura in Aula. L’impressione è che stavolta il voto sarà davvero storico.