Carlo Calenda ha dimostrato che un super centro liberal-democratico e antipopulista esiste. Esiste nelle due più grandi città d’Italia, grazie a lui, grazie a Italia Viva, grazie a Più Europa, grazie a Beppe Sala e a tutti quelli che non si rassegnano al bipopulismo perfetto italiano. Sarebbe bello che questo super centro di ispirazione draghiana potesse dialogare costruttivamente con una destra europea e con una sinistra socialdemocratica.
Ma purtroppo la destra europea non c’è, perché tutta l’area è ostaggio dei sovranisti e anche della legge elettorale che obbliga i partiti a finte coalizioni politiche ormai senza più senso, tanto più in una Repubblica parlamentare.
Finché non ci sarà una destra europea e atlantica, oggi è antieuropea e cremlinica, e finché ci sarà questa legge elettorale, l’interlocutore del super centro che va da Carlo Calenda a Beppe Sala da Mara Carfagna a Matteo Renzi ed Emma Bonino, piaccia o no, è il Partito democratico che però va ingaggiato adesso, già oggi, per convincerlo a scegliere i liberal-democratici invece dell’alleanza strategica con i Cinquestelle.
La strada adesso è in discesa. Del resto, per fare un’alleanza strategica servono almeno due interlocutori, ma uno dei due non c’è più. I Cinquestelle si sono sbriciolati e del patatrac va dato atto sia al Pd sia a Giuseppe Conte, oltre che ai loro ex elettori che dopo averli testati e aver assistito alla geometrica incapacità da buoni a nulla si sono guardati bene dal riaffidargli posizioni di responsabilità.
Basta, fine. Resistono solo ad Alcamo, Tp, cioè a casa mia, dove Conte si appresta a passiare tra il cassaro e Piazza Ciullo in modo da poter vantare almeno un successo, ma nella patria del reddito di cittadinanza – dove per questo le imprese non trovano operai da assumere – si sa che “la fissazione è peggio della malattia”.
Senza i Cinquestelle, però, l’alleanza strategica non si può più fare. Non c’è più alleanza e non c’è più strategia.
I grillini sono residuali, come un tempo era Rifondazione comunista e adesso D’Alema. Il Pd potrà magnanimamente tenerli dentro lo schieramento progressista, offrendogli un diritto di tribuna ma senza diritto di toccare palla, esercitando l’egemonia politica e culturale sul loro nulla-mischiato-a-niente che avrebbe già dovuto esercitare al momento della nascita del Conte due, ma che non ha mai fatto.
Ma se allora era comunque un’operazione difficile, perché i grillini erano al 32 per cento e il Pd al 18, ora che i grillini sono stati spazzati via dagli elettori e Casaleggio si è portato via l’algoritmo, il Pd dovrebbe avere gioco facile a gestirli come in passato ha gestito, e poi consegnato alla spazzatura della storia, Rifondazione comunista o Marco-Rizzo-dei-comunisti-italiani.
Ecco, il Pd potrebbe dare a Giuseppe-Conte-dei-populisti-italiani un seggio da indipendente, e magari uno anche a Fico e uno a Di Maio, il trio favoloso che lunedì sera si è comicamente precipitato a Napoli a mettere il cappello sul neo sindaco Gaetano Manfredi, eletto senza che i loro voti avessero influito alcunché. Insomma, il Pd dovrebbe chiudere definitivamente questa pagina miserabile della sinistra italiana a braccetto con i mozzorecchi e portare avanti le cose serie: il governo Draghi, innanzitutto.
Dopo la débâcle populista e la buona affermazione riformista a Roma e a Milano, Matteo Renzi ha immediatamente lanciato l’idea di «costruire un’area vasta riformista e liberale, tutti insieme» (enfasi mia su «tutti insieme»). Renzi è sempre il più svelto e abile di tutti.
Calenda farà la stessa cosa con un tour di Azione in giro per l’Italia, e la prima conferenza stampa del rieletto sindaco di Milano Beppe Sala lascia intendere che questo è anche il suo progetto. Emma Bonino, figuriamoci.
La pensano tutti allo stesso modo, quindi: pensano tutti che esista un super centro antipopulista liberale e riformista che parla alla sinistra e alla destra dell’elettorato perché capace di dare rappresentanza politica all’agenda Draghi.
Renzi e Calenda, Sala e Bonino, dunque. C’è anche Marco Bentivogli. Manca un segnale di vitalità dentro Forza Italia, a sostegno dei ministri draghiani Mara Carfagna e Renato Brunetta. Manca anche una chiamata a raccolta della diaspora socialista e radicale. Ma ci siamo.
Dentro il Partito democratico, poi, l’area riformista potrebbe finalmente riconquistare un ruolo grazie alla lucidità di analisi di Giorgio Gori, alla competenza di Irene Tinagli, alla serietà di Enzo Amendola e dei gentiloniani e di moltissimi altri più o meno silenziosamente sconcertati dalla precedente resa ai Cinquestelle e ora entusiasti della nuova prospettiva.
Finora un concerto di antipatie incrociate, di idiosincrasie personali e di antichi rancori ha impedito che questo gruppo, molto più omogeneo di quanto appare, si presentasse con una proposta politica comune, ma le elezioni amministrative hanno dimostrato anche ai più scettici che nessuno di loro può fare a meno dell’altro, in particolare ora che al governo c’è Mario Draghi e adesso che con il Pnrr c’è la possibilità unica di rilanciare il paese.
Su analisi e strategia sono tutti d’accordo, ora però vedano di dimostralo.
Per questo li invitiamo tutti sul palco di Linkiesta Festival al Teatro Franco Parenti di Milano, sabato mattina 13 novembre – Renzi, Calenda, Sala, Bonino, Carfagna, Gori, Bentivogli, Tinagli, Amendola, Brunetta, Della Vedova e gli altri – per discutere di come dare rappresentanza politica all’esperienza del governo Draghi e di come sconfiggere definitivamente il bipopulismo. Li aspettiamo.