«La destra più becera e più impresentabile dell’Occidente» dai «principi cafoni»: la spietata quanto veritiera fotografia che di meloniani e salviniani ha fatto Christian Rocca all’indomani dell’incivile boato per l’affossamento del ddl Zan, difficilmente potrebbe essere rigettata da chi ha a cuore diritti civili ed europeismo.
Sussiste un’intima correlazione, infatti, tra gli uni e l’altro, sì da poter fondatamente dire al riguardo: «Simul stabunt vel simul cadent» (Insieme staranno oppure insieme cadranno). Dove infatti i sovranismi antieuropei e nazionalistici si sono imposti, là i diritti civili sono stati e continuano a essere erosi, conculcati, compressi come Polonia e Ungheria insegnano.
Adattare d’altra parte all’attuale situazione il celebre brocardo di Pio XI, che da Claudio Martelli in poi viene spesso ripetuto con formulazione erronea, ci riporta al bel mondo ecclesiastico, che a tale affossamento ha pur sempre in un certo qual modo contribuito e di esso ha gioito. Non certamente, e ci mancherebbe, coi toni sguaiati e volgari dei bettolieri “neri” di Palazzo Madama, ma con quelli ipocriti e untuosamente accoglienti di chi dovrebbe per ministero insegnare l’esatto contrario.
Basti leggere il comunicato del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, su ddl Zan ed esito del voto in Senato per averne contezza.
Non una parola su applausi e urla, che hanno accompagnato l’affossamento di un disegno di legge volto a prevenire e a contrastare violenze e discriminazioni verso persone lesbiche, gay, bisessuali, trans, verso donne, verso disabili. Ma, al contrario, mera esaltazione del «voto del Senato», che per il porporato «offre un’ulteriore considerazione nel segno del concetto stesso di democrazia: una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza. Tra l’approvazione di una normativa ambigua e la possibilità di una riflessione diretta a un confronto franco, la Chiesa sarà sempre a fianco del dialogo e della costruzione di un diritto che garantisca ogni cittadino nell’obiettivo del rispetto reciproco».
Premesso che fa alquanto sorridere un presule che parla di democrazia quando questa è completamente estranea alla struttura di governo della Chiesa cattolica, non si capisce come il fu ddl Zan contro le discriminazioni per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità potesse «perseguire l’obiettivo con l’intolleranza».
Ad agire con intolleranza da un anno e mezzo a questa parte è stato invece l’episcopato italiano proprio a partire dalla presidenza della Cei. Impossibile dimenticarne la prima nota sul tema – diffusa il 10 giugno 2020 e intitolata “Omofobia, non serve una legge” – che ne svelava sin da subito il retropensiero: ci si dilungava sulle derive liberticide della legge senza neppure conoscerne il testo unificato, che sarebbe stato depositato in Commissione Giustizia della Camera venti giorni dopo. Insomma, perplessità, critiche e obiezioni meramente pregiudiziali, mai venute meno fino all’approvazione del ddl a Montecitorio, e poi aumentate a dismisura con l’avvio dell’iter legislativo in Senato.
Di tale escalation di attacchi è stato valido megafono il quotidiano della Cei Avvenire, passato dalla linea di cauto confronto durante il periodo della discussione e dell’approvazione alla Camera a quella di attacco pressoché costante negli ultimi mesi. Indirizzo, quest’ultimo, dato dallo stesso cardinale Gualtiero Bassetti per evitare un nuovo duro pronunciamento della presidenza (che c’è comunque stato il 28 aprile scorso sia pur con toni più soft), come richiesto dal battagliero zoccolo duro ruiniano ancora molto influente in Conferenza episcopale.
Le conseguenze però sono state ancor più disastrose, dato lo stillicidio quotidiano di notizie avverse al ddl e il correlato innalzarsi dei toni in Senato: con chi ha continuato ad agitare lo spettro della legge liberticida secondo il mantra episcopale e chi ha mostrato l’infondatezza argomentativa di tale tesi sulla base, fra l’altro, dell’articolo 4 dello stesso ddl.
Il tutto non senza l’imbarazzante spettacolo di vedere auditi in Commissione Giustizia a Palazzo Madama tunicati di ogni sorta come mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, o suor Anna Monia Alfieri.
Ma è il 22 giugno che s’è raggiunto l’acme di tale battaglia d’intolleranza ecclesiastica con la diffusione della nota verbale della Sezione della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati.
Esprimendo preoccupazioni su «alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato» in quanto «riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato», la Santa Sede veniva in soccorso di una Cei in affanno, attuando così un’inaccettabile ingerenza in ciò che attiene alla sovranità e indipendenza del Parlamento nella sua funzione principe.
L’intervento senza precedenti di Oltretevere ha ovviamente avuto le sue ricadute su parte di quei parlamentari cattolici che, presenti anche nei vari partiti di centrosinistra, si sono subito allineati ai diktat vaticani.
È tra essi che vanno soprattutto ricercati i franchi tiratori del voto della “tagliola”, con buona pace delle reciproche accuse che continuano a scambiarsi Partito democratico e Italia viva in quella che appare sempre più come una guerra dei veleni per regolamento di conti.
Ma la nota verbale ha fatto soprattutto ringalluzzire quella destra peggiore, di cui si parlava all’inizio. A partire dal madonnaro Matteo Salvini che, ancor più dopo l’incontro “consacratorio” in Vaticano con l’arcivescovo Paul Gallagher (quello della nota, per capirci), ha iniziato a ripetere a mo’ di litania in tema di ddl Zan: «La mia posizione è perfettamente in linea con la Santa Sede». Oppure: «Noi abbiamo accolto l’appello del Santo Padre». Ma che fino a ieri posava in t-shirt con la scritta Il mio Papa è Benedetto, esaltava porporati antibergogliani come Burke e Müller, era completamente sordo agli appelli pontifici, questi sì reali ed espliciti, in materia di accoglienza dei migranti e diceva di tutto sulle gerarchie ecclesiastiche e sulle «parole di qualche vescovone o di Famiglia Cristiana o del quotidiano dei vescovi».
Verrebbe insomma da gridare al miracolo, se mai esistessero. Invece è tutto un miserevole gioco delle parti con la benedizione, in questo caso, di Santa Madre Chiesa.