La Cina sta diventando una minaccia per l’occidente. È presente nell’Artico, nel cyberspazio, sta investendo pesantemente in infrastrutture in tanti Paesi europei. E ogni giorno diventa più forte militarmente, con armi a lungo raggio. La dichiarazione, preoccupata e consapevole, è di Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato.
Intervistato dal Financial Times, Stoltenberg annuncia un prossimo cambio di strategia e approccio da parte dell’Alleanza atlantica: nel prossimo futuro il dossier cinese sarà in cima alla lista di priorità. «Contrastare la minaccia alla sicurezza provocata dall’ascesa della Cina sarà una parte importante della Nato, un significativo ripensamento degli obiettivi originali dell’alleanza occidentale», spiega nell’intervista il segretario generale.
La Nato nasce nel secondo Dopoguerra come alleanza che ha l’obiettivo scongiurare la propagazione della sfera d’influenza sovietica. Per decenni Mosca è stato il pericolo numero uno, ma finita la Guerra Fredda l’Alleanza ha dovuto ristrutturarsi.
Dal 2001 gli Stati che fanno parte del trattato hanno deciso di investire energie e risorse per contrastare la minaccia del terrorismo internazionale. Ma da qualche anno la Cina sta attirando tutte le attenzioni. In più, Europa e Stati Uniti stanno ridefinendo i termini della loro alleanza militare, con Washington sempre meno convinta di poter tenere l’intero Vecchio Continente sotto il suo ombrello.
«Il modo in cui difendere gli alleati della Nato da tali minacce sarà affrontato “a fondo” nella nuova dottrina dell’alleanza che segnerà il prossimo decennio», ha affermato Stoltenberg.
Il vertice Nato in cui si deciderà a nuova dottrina si terrà la prossima estate: nella versione attuale, adottata nel 2010, non è menzionata la Cina.
Stoltenberg, ex primo ministro norvegese, dovrebbe dimettersi l’anno prossimo dopo quasi otto anni alla guida della Nato. Al Financial Times ha detto che «gli alleati cercheranno di ridurre le attività al di fuori dei loro confini e aumentare la loro capacità difensiva interna per migliorare resistere alle minacce esterne».
Il tempismo delle dichiarazioni non è casuale. Recenti investigazioni hanno rivelato che lo scorso agosto Pechino ha testato con successo un missile ipersonico con capacità nucleare: una nuova capacità nell’uso di armi a lungo raggio che ha sorpreso l’intelligence statunitense e ha sottolineato i rapidi progressi militari che la Cina ha compiuto sulle armi di prossima generazione.
Sotto il profilo militare la Cina è un universo in espansione. Pechino ha aumentato il bilancio ufficiale della difesa del 6,8% oltre a dichiarare un obiettivo di prodotto interno lordo del 6% per il 2021.
Secondo le statistiche nazionali ufficiali, il bilancio della difesa cinese dal 1999 al 2008 è cresciuto a un tasso del 16,2% annuo. Tra il 2009 e il 2020 la spesa militare cinese è passata da 70,3 miliardi di dollari a circa 179 miliardi di dollari. E complessivamente tra il 1997 e il 2020 il budget dell’Esercito Popolare della Liberazione (Pla) è cresciuto di almeno il 600% – tenendo conto dell’inflazione.
Questi continui aumenti delle spese militari fanno pensare che Pechino stia diventando sempre più incline a utilizzare la forza (o minacciare l’uso della forza) per realizzare le sue ambizioni nazionali.
L’aumento della spesa militare cinese è, dunque, motivo di preoccupazione su entrambe le sponde dell’Atlantico. Un’inchiesta di National Interest sottolinea che «c’è un metodo chiaro nella leadership del Partito comunista per quanto riguarda la proporzione del Pil assegnata a scopi militari: lo sviluppo dell’Esercito Popolare della Liberazione è stato indissolubilmente legato alle fortune economiche del Paese. È risaputo che durante le fasi iniziali della liberalizzazione economica della Cina, la leadership del Pla ha dovuto sottostare al mandato di Deng Xiaoping: l’esercito doveva subordinare i propri interessi professionali a quelli dell’economia civile e doveva aiutarla a crescere».
Quando l’economia cinese ha iniziato a decollare il Pla ha ricevuto sempre maggiori risorse. Le recenti tendenze nelle spese militari cinesi, insieme ad altre dichiarazioni contemporanee del Pcc sulla difesa nazionale, chiariscono che l’Esercito Popolare di Liberazione vede questa fase soprattutto come una finestra strategica in cui può riorganizzare e ristrutturare le sue forze.
«Almeno sulla carta, il Pla prevede di fare grandi progressi verso “l’informatizzazione” entro i primi anni del 2020, raggiungere la “completa modernizzazione militare” entro il 2035 e diventare un esercito di “classe mondiale” entro il 2049», si legge su National Interest.
Ci sono almeno tre grandi pilastri che reggono le scelte di spesa militare da parte di Pechino. Il primo è quello della cyberguerra. «Anche se il Pla lavora per adottare la “guerra informatizzata” – scrive National Interest – sta già pianificando la prossima fase della sua modernizzazione, definita “guerra intelligente”. Ciò comporterebbe la militarizzazione della cosiddetta quarta rivoluzione industriale (intelligenza artificiale, big data, rete 5G) al fine di creare nuovi vantaggi tecnologico-militari, in particolare rispetto ai militari statunitensi».
In secondo luogo bisogna guardare al mare. L’esercito cinese continua a dare priorità alle operazioni marittime rispetto a quelle terrestri.
Già nel 2015 le linee guida di Pechino dicevano che «la mentalità tradizionale secondo cui la terra supera il mare doveva essere abbandonata in favore di una più attenta gestione dei mari e degli oceani, e della protezione dei diritti e degli interessi marittimi».
È per questo che la Pla Navy (Plan) sta migliorando le sue capacità di proiezione di potenza e operazioni congiunte marittime. E per quanto riguarda la Pla Air Force (Plaaf), sta anche passando dalla difesa aerea territoriale a operazioni più aggressive, migliorando le sue capacità di preallarme strategico, attacchi aerei, difesa aerea e missilistica e operazioni aeree.
In terzo luogo c’è una dimensione più astratta, che riguarda l’ambizione e la volontà di potenza di Pechino. «L’approccio nazionale della Cina verso la modernizzazione tecnologico-militare – si legge nell’inchiesta di National Interest – è guidato da due fattori: motivazione e denaro. La leadership civile-militare cinese è unita attorno all’idea centrale che l’ala armata del Partito debba diventare una moderna forza combattente del ventunesimo secolo». È per questo che il trend di crescita della spesa militare cinese ha cifre così grandi, sproporzionate rispetto a praticamente tutti gli altri Stati del mondo.
Un approccio di questo tipo, retto da grande ambizione e prove di forza sempre più nette, sta creando un certo entusiasmo nell’ambiente militare cinese. Tant’è vero che il giornale ufficiale dell’esercito cinese ha chiesto una «guerra popolare» per contrastare le operazioni di spionaggio statunitensi.
Lo riporta un articolo di Newsweek che cita diverse fonti, come il Washington Post e il quotidiano di Hong Kong South China Morning Post.
Un paio di settimane fa il direttore della Cia, William Burns, ha detto che avrebbe lanciato un nuovo Mission Center in Cina, con l’obiettivo di monitorare e contrastare l’attività di intelligence cinese. Burns ha affermato che quest’operazione «rafforzerà ulteriormente il nostro lavoro collettivo sulla più importante minaccia geopolitica che affrontiamo nel 21° secolo, un governo cinese sempre più ostile».
Secondo il South China Morning Post, la settimana scorsa i media controllati dallo Stato cinesi hanno iniziato a far circolare un videoclip virale sui social, soprattutto sul cinese Weibo: diceva che la Cia sta reclutando madrelingua mandarini, cantonesi, hakka e shanghainesi.
«Il servizio di intelligence degli Stati Uniti, che sta reclutando così sfacciatamente agenti speciali, deve avere dietro obiettivi più sinistri e insopportabili», ha detto il People’s Liberation Army Daily, la pubblicazione ufficiale delle forze armate cinesi, in un post di domenica.
Ed ecco allora la proposta proattiva del quotidiano per proteggere la nazione dalle minacce dell’intelligence: «Combattiamo una guerra popolare contro le spie, in modo che non possano muovere un solo passo e non abbiano un posto dove nascondersi!».